Attualità | Social

Ansia da Spotify Wrapped

Come un'infografica che alla fine dell'anno riassume i nostri consumi musicali è diventata l'ennesimo incubo performativo dell'età di internet.

di Silvia Percudani

È un mercoledì mattina qualunque, prima ancora di svegliarmi del tutto prendo il telefono e il mio pollice va istintivamente a sfiorare l’icona di Instagram. In cima allo schermo una sfilza di foto profilo che non vedevo da parecchio tempo mi segnala che ho più Story del solito da visualizzare. Un mio compagno delle medie con cui non parlo da anni improvvisamente sente il bisogno impellente di condividere, anche con me, la classifica dei brani che ha ascoltato a ripetizione nel 2023. Qualche emoji a forma di bomba aggiunta da lui decora l’infografica, a dimostrazione del fatto che è compiaciuto dei suoi gusti musicali. È dall’anno scorso che in concomitanza con l’uscita di Spotify Wrapped, il riassunto annuale multicolor degli ascolti di ogni utente, Instagram e Twitter si trasformano in una grande libreria musicale. Malgrado Spotify Wrapped sia arrivato solo nel 2019, questi quattro anni sono stati sufficienti per far emergere il lato di questa funzionalità che ha meno a che fare con il piacere della condivisione e che ha sempre più a che fare con la performatività tipica dei social.

Nel 2019 c’erano solo una stagista e la sua idea. L’artista Jewel Ham ha raccontato che durante uno stage presso Spotify le è stato chiesto di sviluppare un suo progetto, senza supervisione né indicazioni chiare su cosa l’azienda si aspettasse da lei. Dal 2016 esisteva una versione prototipo di Spotify Wrapped: ogni dicembre arrivava nella casella di posta elettronica un’infografica personalizzata simile a quella di oggi, ma con un aspetto molto formale e, soprattutto, visibile solo a una persona. Fu Ham a capire che poteva diventare un fenomeno contemporaneamente identitario e comunitario. Quell’anno era tornato di moda l’oroscopo, e in particolare i meme a tema astrale, e Ham capì che le persone non volevano davvero sapere qualcosa in più sulle costellazioni, volevano sapere qualcosa in più su di sé. E la categorizzazione dei segni non era altro che un pretesto per creare delle micro comunità. Capì che lo stesso si poteva ottenere anche con i gusti musicali, bisognava solo rendere le infografiche attraenti e condivisibili. «Che ridere, ho inventato io il concetto di Spotify Wrapped quando ero una stagista da loro, certo che da allora non sono più tornati indietro» scriveva Ham su Twitter nel 2020. Il suo consiglio? «Non lavorate per le multinazionali, ragazzi ;)».

Quattro anni dopo Instagram è uno spazio molto diverso: più patinato, molto commerciale. Caratteristiche di cui prima o poi risentono tutti i contenuti che incrociano la strada di Instagram: nemmeno Spotify Wrapped è rimasto indenne. Negli anni scorsi erano apparsi i primi segnali, come ad esempio un thread su Reddit dal titolo “What are your Spotify Wrapped anxities?“, scorrendo rapidamente i commenti si legge di decine e decine di persone preoccupate per quello che il loro stesso account Spotify avrebbe detto di loro. Oppure qualcuno l’anno scorso aveva messo tra i buoni propositi quello di seguire i consigli di un articolo chiamato “Not happy with your Spotify Wrapped results? How to prepare for next year“, che spiegava come ascoltare in modalità nascosta i brani che l’utente considerava “imbarazzanti”. Un giornale universitario americano ha addirittura invitato chi era interessato a modificare il risultato del proprio Spotify Wrapped a creare delle playlist da riprodurre di notte, senza volume. Ed effettivamente ci ho messo poco a trovare casi simili anche all’interno della mia bolla. Una ragazza che seguo su Instagram ha condiviso nelle Storie una classifica di cui evidentemente non andava fiera scrivendo, «chiaramente i miei cuginetti che mi prendono il telefono…», mentre un’influencer ha lasciato un questionario anonimo per chi avesse voluto confessare i propri peccati musicali. Anche i tantissimi meme ispirati a Spotify Wrapped dimostrano che c’è la tendenza a considerare questa classifica un metro di giudizio del prossimo ma anche di sé stessi, come se ci fosse una musica degna di essere mostrata in pubblico e una che al contrario dovrebbe rimanere segreta.

@francioposa

Dov’è Pino Daniele? Quella band sconosciuta che seguo solo io???? Dove??? SONO DIVERSO DALLA MASSA IOOO NON LO SO PERCHÉ C’È CAPO PLAZA QUI

♬ Meraviglioso amore mio – Arisa

Secondo Robyn Caplan, una ricercatrice della Duke University, sarebbero sempre di più le persone che credono alle cosiddette “folk theories”, spiegazioni grossolane che tanti danno del funzionamento degli algoritmi. Grazie a queste teorie potremmo convincerci, ad esempio, che qualche ora di musica classica sia sufficiente a far credere all’app che siamo degli appassionati. Se da una parte cercare di capire il funzionamento di qualcosa che ci condiziona così tanto è comprensibile, dall’altra il fenomeno più interessante è proprio questa necessità degli utenti di essere validati da un’app, che deve rispecchiare esattamente quello che diciamo di essere nella vita reale. Anche quando non è così. Qualcuno è arrivato a usare Photoshop per nascondere i propri risultati. A cui sono seguiti articoli di questo dal titolo “How to photoshop your Spotify Wrapped results if your top artist is ‘embarrassing’. L’altra piaga riguarda questa distinzione tra contenuti “alti” e “bassi”, una distinzione risalente all’epoca dei “guilty pleasure” che ci ricordano che sì, ci si può lasciare andare a dei contenuti “bassi” ma solo ogni tanto e mai a cuor leggero. Un’espressione che sta lì a ricordarci che in realtà dovremmo dare più valore al nostro tempo libero e riempirlo con ciò che ci rispecchia davvero i nostri gusti. A prescindere dall’infografica che un’app ne trarrà alla fine dell’anno.