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Abbiamo davvero bisogno delle sex influencer?

Vorrebbero educare a fare un sesso più consapevole e "self empowered" mentre vendono sex toy.

di Valeria Montebello

Zoë Ligon @thongria

Perché scrivi in un box per i sondaggi su Instagram come ti piace prenderlo in bocca o ti fai convincere a comprare dei clisteri per fare sesso anale? Per sentirmi una minoranza posso cliccare su “Trump” quando profili che vogliono insegnarti la politica estera chiedono un parere sulle prossime elezioni, ma cliccare “anale” quando profili che vorrebbero educarti a fare un sesso più consapevole e “self empowered” ti chiedono una preferenza è troppo. Perché devo dire se mi piace di più il sesso anale o vaginale a un profilo gestito da persone che vendono sex toy? La privacy non è un valore assoluto ma bisogna regolare l’accesso alla propria intimità per potersi definire. Sono lontani i tempi in cui le sex influencer postavano sui loro social foto nude e basta, senza didascalie ironiche o quel fremito d’indignazione politico-sociale, quando l’emoji del pugnetto non significava “Io lotto per i miei diritti di femmina” ma qualcosa di molto più piacevole e sconcio.

I profili migliori, dove prima scintillavano sederi bagnati a bordo piscina, si sono convertiti all’educazione sessuale delle masse, altri stanno spuntando, tutti uguali, con lo stesso stile grafico e gli stessi hashtag. La home di Instagram è intasata da guru che ti spiegano (nei dettagli) come quando e perché farlo, le ultime tendenze sessuali, gli extra da comprare per piacerti di più e fare del buon sesso. Profili di negozi di lingerie, dildo, community che celebrano diversità, diritti e piacere, profili personali con bio tipo “Proud vulva owner” o “Cultivating pleasure & Reducing shame”. “La verginità non è un valore”. Se sostieni di essere vergine sei un’anima da salvare, se dichiari di voler restare vergine sei una nazista eteronormativa. Swipe. “Quali sono i posti più strani dove hai fatto sesso?”. Solo se lo hai fatto sul sedile posteriore della macchina mentre tuo padre guidava e pensava dormissi puoi avere un applauso e uno sticker luccicante sotto la tua risposta. Brava, con questa performance hai sovvertito il patriarkato. Se non fai cose strane non sei nessuno. Se dici che il posto più assurdo dove hai fatto sesso è sotto un cielo stellato non sei nessuno, anzi, nella Story successiva alzeranno gli occhi al cielo. “La mia più grande fantasia sessuale è fare sesso nel mio letto”. Sguardo che ti compatisce.

Prima il modo giusto di comportarsi era non fare pompini – o se li fai non ne parlare – adesso il modo giusto è deepthroat o lascia stare. Non ti fai chiamare troia a letto in modo consapevole? Buu. Non esplori (una delle parole più utilizzate) la tua sessualità con posizioni da contorsionista che potrebbero schiacciarti gli organi vitali? Buu. È un elogio continuo di una libertà che non esiste, perché esclude la ragazza timida che non si sente di fare certe cose o chi vorrebbe eliminare ogni esperienza per non essere condizionato da niente. Perché vogliamo che qualcuno ci dica come fare sesso? Quanto questa “educazione” libera l’immaginazione e quanto invece ha il potere di creare nuovi ideali normativi?

Queste guru del sesso sono tutte femmine. Se un maschio etero cercasse di assumere la posizione di educatore sessuale o di “sexpert”, esperto del sesso, verrebbe percepito come un pervertito maschilista che sta cercando di manipolare le donne per portarsele a letto – no, aspetta, a letto non va bene, per portarsele nella sala d’aspetto di uno studio dentistico. Sono rimasti pochi profili che non vogliono emanciparti, sia perché le persone che li hanno sono insultate in continuazione dalle stesse persone emancipate che rispondono ai sondaggi sul sesso anale, sia perché non sono più cool. Sono profili vintage. La linguetta ammiccante al lato della bocca o il dito sul labbro inferiore messo lì senza ironia sono diventati gesti nostalgici. Sono stati sostituiti da un altri elementi nostalgici come i peli sotto le braccia: le sex influencer sono quasi tutte pelose, c’è un ritorno al passato, le cose di cui parlano somigliano a quello che leggeva mia madre negli anni Settanta in libri come Noi e il nostro corpo, con un pizzico di esibizionismo moralista in più.

In cosa consiste l’esibizionismo moralista? Nel postare una foto del proprio culo senza rispettare il proprio culo, senza prenderlo sul serio. Aggiungendo sotto frasi da fattona in ritiro spirituale o, nel peggiore dei casi, frasi che fanno ridere. Se vuoi mostrare il culo non devi per forza essere ironica e avere i peli sotto le braccia. O un tatuaggio che ti sei fatta consapevolmente, perché ti rappresenta – e non in un’avventura, perché eri ubriaca. Scorrendo i post su queste pagine sembra di ascoltare qualcuna dal palco di un TEDxWoman che pontifica su come essere troie in modo femminista. “Quando è appropriato fare sesso? Dopo 3 o 6 incontri?”. Swipe. Immagini di peni sezionati con i nomi delle varie parti in latino. Swipe. “L’ambra è una pietra che rilascia spiriti vitali nella tua vagina che inizierà a salivare”. Tralasciando il fatto che hanno inserito in una conversazione logica e razionale (meccanismo biologico di lubrificazione vaginale) storie magiche di cristalli, questa frase non stimolerà nessuna lubrificazione, mai. Swipe. “Hai mai provato ad affogare un pene?”. Swipe. “La biologia evoluzionistica ci dice che ciò che troviamo sexy è ciò che sembra essere meglio per la sopravvivenza della specie”. Questo significa che essere in forma e inviare mail ben scritte sono qualità che evocano salute e competenza. Ma la biologia evolutiva può spiegare la fantasia di una gang bang? Immagino che i darwinisti sostengano che fare sesso con dodici ragazzi contemporaneamente ti dia maggiori probabilità di rimanere incinta. Swipe. “Il consenso è necessario per avere ogni tipo di interazione sessuale”. Swipe “Anche una mano sulla spalla, se l’intenzione è molesta, è una violenza sessuale”. L’intenzione molesta si capisce da quanto è sudata una mano? E pensare che a metà degli anni Sessanta uno degli slogan delle femministe capitanate da Camille Paglia era “Vogliamo la libertà di rischiare lo stupro”. Swipe doppio.

“Lo stealhing, togliere il condom senza il consenso della partner, è una nuova violenza sessuale” con sopra una foto di Michaela Coel molto sorridente: nella sua nuova serie, I May Destroy You, le succede. In un’altra puntata fa anche sesso con il ciclo, nella scena vediamo grumi di sangue sul letto. Ok trasformare la repulsione in attrazione, ok lottare contro l’inibizione della società borghese (esiste ancora?) ma non è necessario trasformare ogni scena di sesso in qualcosa di traumatico. Ora che il tabù non è più il sangue mestruale ma l’inesperienza e l’ingenuità, il massimo della trasgressione sarebbe non fare sesso. A spiegare le tecniche per fare sesso, a farlo diventare un sapere scientifico, un “how to” come quelli per costruire un cestino di vimini, si rischia di perdere di vista l’unica cosa importante: la non replicabilità di una situazione, di una faccia, di due mani. Perché devo sapere prima come si fa una cosa che dovrebbe venire naturale? Perché devo conoscere il mio corpo così bene, nei dettagli? Chi vuole conoscerlo davvero? Sapere dov’è il punto G? Qualcuno magari ci arriverà al posto mio. Chi si dichiara esperto, acrobata, chi pensa di poter fare le stesse cose (di mettere in atto delle tecniche) con tutti, di credere che il corpo sia come un’equazione matematica fa passare la voglia.

Ascoltare una con il filtro Beauty Routine che mi dice come godere mi fa lo stesso effetto che la mamma sessuologa nella serie tv Sex Education fa al figlio che non riesce a masturbarsi fino alla fine della prima stagione. Inibisce. Urta. Chiude. Affidarsi a queste regole può essere rassicurante, pensare di sapere come si fa a far godere qualcuno, pensare di avere padronanza totale del proprio corpo e del proprio piacere. Ma l’intimità con se stessi è più potente proprio quando si ha a che fare con qualcosa che non riusciamo a capire, che magari capirà qualcun altro per te. Al posto della domanda sul sesso anale o vaginale proporrei alle sex influencer un’altra domanda da fare ai propri follower: le nostre domande e le nostre spiegazioni vi mettono mai a disagio? Vi confondono? Vi fanno sentire diverse?