Cultura | Dal numero

Sesso e rivoluzione

La sessualità è sempre stata un campo storico aperto al cambiamento, un campo di battaglia: il presente sembra più libero, ma il passato ci insegna che le categorie sono in continua evoluzione.

di Lorenzo Bernini

Questo articolo è tratto dal numero 52 di Rivista Studio, Ripensare tutto, in cui abbiamo cercato di raccontare come in questo momento storico ci sia bisogno di esplorare nuove idee e rimettere mano a concetti consolidati, provando a riscriverli.

Niente, nel sesso, sarà più come prima. La rivoluzione è compiuta. Certo leggiamo di certe strane polemiche, di una parte del femminismo italiano contraria al Ddl Zan, di Joanne Rowling che di quel femminismo è paladina, del ripensamento della Corte suprema degli Stati Uniti sullo statuto costituzionale del diritto all’aborto. E un po’ ci fa impressione “Giorgia-sono una donna-sono una madre-sono cristiana” che in Spagna inveisce contro l’aborto, e assieme contro l’ideologia del gender e contro la lobby Lgbt. Ma questi sono residui di un passato al tramonto, pensiamo. Poi vediamo Trace Lysette sfilare sul red carpet del festival di Venezia, e Porpora Marcasciano, Nicole De Leo e le altre pioniere del movimento trans italiano in Le Favolose di Roberta Torre, e ancora veniamo a sapere che la crisi di genere raccontata da Emanuele Crialese ne L’immensità è la sua, e ci risintonizziamo sul presente.

Persino Meloni, dalla campagna elettorale in poi, si è data una regolata. Il mondo è ormai libero e disinibito, il mondo è ormai fluido e trans. Niente, nel sesso, sarà più come prima. Ma com’era prima? E prima quando? Alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso, Simone de Beauvoir inaugura una ricerca sulla possibilità di reinventare la soggettività femminile: donne non si nasce, afferma, si diventa. Pochi anni dopo, Frantz Fanon riflette sull’impatto del colonialismo sulla sessualità denunciando il mito razzista dello stupratore nero. Michel Foucault non cita né una né l’altro, ma è debitore a entrambi quando a metà degli anni Settanta afferma che la sessualità non è un dato stabile della natura umana, ma muta nella storia.

Quindici anni dopo si sviluppa tutto un filone di studi femministi, Lgbti, di genere, transgenere, queer, di cui snodo essenziale è la tesi di Judith Butler secondo cui il genere è una performance dettata da norme sociali, e quindi queste norme possono essere sovvertite. E come darle/dargli torto? La sovversione oggi è diventata regola. (Uso la doppia formula perché Butler ha recentemente dichiarato di preferire il pronome “they”: né “she”, né “he”). Il cambiamento è stato repentino. Nel 1990 l’Oms ha depennato l’omosessualità dalla lista dei disturbi mentali, nel 2018 anche l’incongruenza di genere. Nel 2006 le principali associazioni di endocrinologia pediatrica del mondo si sono espresse contro gli interventi di normalizzazione chirurgica genitale sui neonati intersex. In Italia, dal 1982 è possibile cambiare sesso anagrafico, dal 2015 è possibile farlo senza ricorrere alla chirurgia, dal 2016 le coppie lesbiche e gay possono unirsi civilmente. Tutto questo è rivoluzionario, e la posizione acquisita dalle persone trans e non binarie nel mondo della cultura, oltre che dello spettacolo, lo dimostra. Nel film di Torre, un’orgogliosa Marcasciano rivendica il passato di prostituzione, suo e delle altre protagoniste, come una necessità e assieme una scelta di libertà in una realtà che non concedeva alle donne trans altri spazi di sopravvivenza. Oggi sono molte le figure intellettuali transfemminili e transmaschili a cui possiamo rivolgerci per comprendere il cambiamento: Marcasciano stessa in Italia, e altrove – per fare solo pochi nomi – Susan Stryker, Jack Halberstam, Paul Preciado, Finn Mackay… Che cosa ci dicono, dunque? E come andavano le cose, prima?

Il mondo è ormai libero e disinibito, il mondo è ormai fluido e trans. Niente, nel sesso, sarà più come prima. Ma com’era prima? E prima quando?

Un testo classico per comprenderlo è Making Sex di Thomas Laqueur, scritto nel 1990 sulla scia di Foucault. Leggendolo, si viene introdotti in una cultura medica in cui il sesso è uno, quello maschile: anche le donne sono di sesso maschile, ma di un sesso mal riuscito, sono embrioni mal maturati. Che stranezza, che cultura sarà? La nostra, da Galeno e Aristotele fino alla prima modernità: una cultura maschilista sicuramente, che tuttavia rendeva l’intersesso – un tempo nominato ermafroditismo – una condizione non poi così eccezionale. Questo modello monosessuale tramonta soltanto con la rivoluzione scientifica del XVII secolo che conduce alla

“scoperta dei sessi”, al plurale: anche questo potrà suonare strano, ma solo da allora si comprende che i sessi hanno anatomie differenti. Sì, ma quante? Nell’Ottocento, la sessualità diventa una questione non solo di corpo, ma anche di identità: due dimensioni strettamente legate. I tribunali dell’Inquisizione punivano la sodomia con il rogo, ma questa era intesa come un peccato contro la volontà divina, non come un’identità. Come qualcosa che si fa, non come qualcuno che si è.

Persino l’ermafroditismo era pensato come trasgressione delle leggi di natura, esito di un patto o di un amplesso con il diavolo. Nell’Ottocento le atipicità del sesso si solidificano invece in tare ereditarie permanenti, senza troppa differenza tra omosessualità ed ermafroditismo. Tutto, si ritiene, ha origine organica: si tratta, in un certo senso, di tanti sessi diversi. A sfidare questa concezione innatista è Sigmund Freud all’inizio del Novecento, sostenendo che le inclinazioni sessuali non dipendono solo dal patrimonio genetico, ma maturano nella prima infanzia attraverso processi di identificazione con le figure genitoriali. Ma neppure Freud distingue con nettezza desiderio omosessuale e transidentità, considerandoli gradazioni differenti dell’“inversione”, nella psiche, delle componenti maschili e femminili. Soltanto negli anni Cinquanta viene teorizzata quella distinzione tra sesso biologico, orientamento sessuale e identità di genere che ancora utilizziamo.

Il modello monosessuale tramonta soltanto con la rivoluzione scientifica del XVII secolo che conduce alla “scoperta dei sessi”, al plurale: anche questo potrà suonare strano, ma solo da allora si comprende che i sessi hanno anatomie differenti

E, se le teorie degenerazioniste di matrice ottocentesca funzionarono da giustificazione per lo sterminio delle minoranze sessuali nei lager e nei gulag; se nel Secondo dopoguerra la psicodinamica di Freud ha ispirato terapie “riparative” – inefficaci e pericolose – volte a convertire desiderio e identità in una “sana” eterocissessualità; la distinzione tra sesso e genere si traduce, inizialmente, in terapie ormonali e chirurgiche che riconducono le trasgressioni di genere a una netta alternativa tra maschile e femminile, i corpi intersessuali a corpi che rispettano gli standard dell’endosessualità. È solo a questo punto che sul modello omosessuale del passato trionfa il modello bisessuale moderno, secondo cui i generi, come i sessi, devono essere due e solo due.

Maschi e femmine, donne e uomini. Biologici o chirurgicamente modificati. Eterosessuali od omosessuali. Ma le persone direttamente interessate non sono certo rimaste a guardare la propria cancellazione: sul finire dell’Ottocento, facendo leva sulla propria patologizzazione, gli antesignani dei movimenti Lgbtqia+ reclamavano la depenalizzazione della sodomia: se non danneggiano altri, perché punire condizioni patologiche immutabili che non dipendono dalla volontà? Negli anni Settanta del Novecento, queste rivendicazioni non bastano più. Anche le minoranze sessuali, con le donne, con le minoranze razzializzate, con i giovani antiautoritari, prendono parte alla protesta. Maturano allora quelle richieste che ci conducono al presente: la depatologizzazione, la possibilità di cambiare genere anagrafico, e di cambiarlo senza obbligo di chirurgia, il divieto delle mutilazioni genitali sui neonati intersex, l’accesso ai diritti matrimoniali per le coppie lesbiche e gay, l’approvazione di leggi antidiscriminatorie… Emergono da allora nuove soggettività, chiedono riconoscimento nuovi generi: non solo lesbiche e gay, ma anche bisessuali, asessuali, pansessuali, non solo donne e uomini transessuali, ma persone non binarie, transgender, agender, genderfluid, queer… Con loro, le persone intersex rivendicano la propria facoltà di scegliere, di non subire mutilazioni sessuali non consensuali.

La complessità del sesso-genere non può essere ridotta a una rappresentazione lineare: deve essere rappresentata come un insieme di punti in uno spazio multidimensionale

Partecipando a questo movimento, nel 1993 la biologa Anne-Fausto Sterling propone un nuovo modello: non monosessuale, non bisessuale, ma pentasessuale, che tra i maschi e le femmine prevede l’esistenza, senza stigma di patologia, di ermafroditi maschili (con due testicoli e atipicità genitali), di ermafroditi femminili (con due ovaie e atipicità genitali), di ermafroditi tout-court (con un testicolo e un’ovaia, oppure con gonadi di tessuto misto). Nel 2000, ci ripensa. La complessità del sesso-genere non può essere ridotta a una rappresentazione lineare: deve essere rappresentata come un insieme di punti in uno spazio multidimensionale. La rivoluzione dell’ordine giuridico, dell’ordine simbolico, dell’ordine scientifico ora è compiuta per davvero. Ad annunciarlo nel novembre 2019 è Preciado di fronte a una platea di 3500 psicoanalisti, in una conferenza appassionata all’École de la Cause freudienne tradotta in italiano nel libro Sono un mostro che vi parla (Fandango Libri), dedicato a Butler. Non riesce però a pronunciarla per intero, tante sono le contestazioni in sala, a cui poi fa eco un ampio dibattito, non sempre sereno, nella comunità degli psicoterapeuti. La rivoluzione oggi è compiuta, è vero. Basta pensare al festival di Venezia.

Niente, nel sesso, sarà più come prima. Del resto, niente, nel sesso, è mai stato davvero “come prima” – e prima quando, poi? La sessualità è sempre stata un campo storico aperto al cambiamento, un campo di battaglia. Il sesso per l’umano ha sempre rappresentato una dimensione misteriosa, perturbante, tanto indefinibile quanto mobile. In un senso, oppure nell’altro. Nella Berlino degli anni Venti, a Mosca dopo la rivoluzione bolscevica, soffiavano venti di libertà. Poi venne Hitler, poi venne Stalin, poi vennero i lager e i gulag. All’entusiasmo politico degli anni Settanta, negli anni Ottanta fece seguito la crisi dell’Aids, che portò con sé un’ondata di feroce omolesbobitransfobia. La storia certo non si ripete, e la rivoluzione oggi è compiuta. Vero. Ma intanto l’estate scorsa la cronaca italiana è stata funestata da due suicidi: lo studente quindicenne Sasha a Catania, la professoressa Cloe Bianco in provincia di Belluno. Entrambi erano trans. Mentre ammiriamo la bellezza di Lysette sul red carpet, allora, faremmo bene a non ignorare le reazioni che ha suscitato la conferenza di Preciado, né il seguito mondiale di Rowling. Faremmo bene a non dimenticare la sentenza della Corte suprema degli States. E neppure Meloni in Spagna.