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Hollywood per come la conoscevamo è finita?

Lo sciopero degli sceneggiatori prima e degli attori adesso è la crisi del modello produttivo diventato dominante in questi anni: troppi film e troppe serie, scritti e interpretati da persone che guadagnano troppo poco. E che ora non ne vogliono più sapere.

di Francesco Gerardi

In questi giorni ho letto una di quelle battute che fanno ridere perché dicono una verità. Qual è la differenza tra un attore e uno sceneggiatore, ci si chiede nella prima parte di questa battuta. Che quando un attore decide di scioperare se ne accorgono tutti, si risponde nella seconda parte. E in effetti, è difficile lasciarsi sfuggire l’intero cast di Oppenheimer che abbandona la prima londinese del film un attimo prima dell’inizio della proiezione, giusto il tempo di assolvere un’ultima volta ai doveri del red carpet – come spiega Silvia Schirinzi qui – e poi via, a casa a preparare i cartelli da mostrare durante i picchetti assieme agli altri attori (ovviamente le gallery non si contano, ovviamente in tutte c’è Susan Sarandon, che sono sicuro non esca di casa senza un cartello di protesta per qualsiasi evenienza), come ha spiegato poi ai giornalisti Christopher Nolan, che è in sciopero pure lui.

Allo scoccare della mezzanotte di giovedì 13 luglio è cominciato lo sciopero indetto da Sag-Aftra, il sindacato degli attori di Hollywood. È una data allo stesso tempo ufficiale e simbolica: lo sciopero in realtà è cominciato quando la presidente del sindacato Fran Descher – Francesca Cacace della Tata, e si capisce che un suo biopic sarà la prima cosa da fare non appena sceneggiatori e attori torneranno al lavoro – è diventata virale grazie a un discorso in cui mandava a farsi benedire piattaforme streaming, studios cinematografici, Ceo di Big Film & Tv e, in sostanza, l’intera industria dell’intrattenimento americano (per chi ama l’anticapitalismo tagliato a fette spesse come il sottoscritto, i social di Descher sono una delizia, una leccornia, una prelibatezza). L’ultimo sciopero di importanza paragonabile Sag-Aftra lo aveva indetto nel 1980. L’ultima volta che Sag-Aftra e Wga (Writers Guild of America, il sindacato degli sceneggiatori) avevano scioperato assieme era il 1960. Il presidente di Sag-Aftra era Ronald Reagan – ve lo immaginate Reagan a capo di una lotta sindacale? – quello di Wga non se lo ricorda nessuno, a ulteriore prova del discorso che si faceva prima sulla differenza tra un attore e uno sceneggiatore. Anche perché non c’è mai stato un ex sceneggiatore diventato Presidente degli Stati Uniti, a ulteriore prova del discorso che si faceva prima sulla differenza tra un attore e uno sceneggiatore.

Ho provato a indagare i motivi che hanno portato alla rottura della trattativa tra Sag-Aftra e l’Alliance of Motion Picture and Television Producers (Amptp), l’associazione che riunisce e rappresenta tutti i più importanti produttori hollywoodiani e le più grandi piattaforme streaming. Ci ho provato perché pensavo che anche dall’altra parte ci sarebbero state delle ragioni, perché i tempi sono difficili e la concertazione quasi impossibile e la lotta di classe praticamente inevitabile. Poi mi sono imbattuto in un’intervista al Ceo di Disney Bob Iger del giornalista David Faber di CNbc, un’intervista molto ripresa e commentata da attori e sceneggiatori in sciopero. Secondo Iger, le richieste di attori e sceneggiatori sono semplicemente «irrealistiche» e la loro decisione di indire lo sciopero «molto problematica». Spiega, Iger, che l’industria dell’intrattenimento non si è ancora ripresa dalla crisi causata dalla pandemia. E ora ci si mettono pure gli sceneggiatori. Dice, Iger, che l’industria dell’intrattenimento sta vivendo un periodo di magra, con tanti film costati un patrimonio che al botteghino hanno poi incassato spiccioli. E ora ci si mettono anche gli attori.

@apnews

“I think that’s a shame, Bob!” “Guardians of the Galaxy” actor Sean Gunn questions Bob Iger’s salary after the Disney CEO’s comments on the Hollywood actors strike. #seangunn #guardiansofthegalaxy #bobiger #actorsstrike #hollywood

♬ original sound – The Associated Press – The Associated Press

L’intervista è stata molto ripresa e commentata da attori e sceneggiatori in sciopero, dicevo. Tra questi, ci sono quelli più dialoganti, diciamo l’equivalente odierno dei sindacalisti democratici. Sean Gunn – lo avrete visto nei Guardiani della galassia oppure ve lo ricorderete in Una mamma per amica – è uno di loro. Su TikTok gira molto un suo video risposta a Iger, in cui l’attore si rivolge direttamente al Ceo appellandolo con un enfatico (e sarcastico) «BOB!». L’industria dell’intrattenimento sarà in crisi, ma tu quest’anno porterai comunque a casa 27 milioni di dollari, BOB!, mentre io non ho mai visto un soldo per nessuna delle repliche degli episodi di Una mamma per amica in cui ho recitato. L’industria dell’intrattenimento starà vivendo un periodo di magra, BOB!, eppure tu concedi interviste da un ritiro per miliardari a Sun Valley, Idaho, al quale partecipano anche Mark Zuckerberg e David Zaslav (Ceo di Warner Bros.), mentre il 95 per cento degli attori iscritti a Sag-Aftra non riesce a vivere del mestiere di attore e non ce la fa più a sopravvivere al costo della vita losangelina. «Penso che sia un cazzo di schifo, BOB!», spiega Gunn. Altro che “ribellione dei privilegiati”, come ha spiegato anche il New York Times. Iger ha anche detto che da ora in poi Disney produrrà meno “contenuti” (ormai neanche lui se la sente più di chiamarli film, un po’ come Robert Downey Jr.) Marvel e Star Wars. Perché bisogna tagliare i costi, ha detto. E che, i costi da tagliare siamo noi, hanno risposto sceneggiatori e attori. È colpa nostra se Iger e colleghi – «quelli che non creano niente», così li chiamano gli scioperanti – hanno buttato miliardi in Ant-Man: Quantumania The Flash, in Indiana Jones ed Elemental?

E questo era il rappresentante dell’ala democratica del sindacalismo hollywoodiano. Veniamo ora all’uomo diventato il riferimento dell’altra ala, quella rivoluzionaria: Ron Perlman (uno degli attori feticcio di Guillermo Del Toro, basti questo a riassumere una carriera ormai troppo lunga per essere messa in liste di film fatti). Un’indiscrezione circolata durante il fine settimana voleva che un innominato dirigente Disney – secondo alcuni Iger stesso – avesse detto che per i produttori lo sciopero non era un problema perché tanto presto o tardi sarebbe arrivato il momento in cui gli scioperanti non avrebbero più avuto soldi per pagare il mutuo o l’affitto. «Ascolta bene, stronzo. Ci sono molti modi di perdere la propria casa. Certe volte è una questione di soldi. Altre volte di karma. Altre volte ancora è questione di scoprire chi è il bastardo che ha detto questa cosa – e lo sappiamo, chi è – e dove abita», dice Perlman in un video diventato ovviamente virale.

@nowthis

Earlier this week, an anonymous studio exec told Deadline that the AMPTP’s strategy was ‘to allow things to drag on until union members start losing their houses.’ ‘Hellboy’ and ‘Sons of Anarchy’ actor Ron Perlman’s response? ‘There’s a lot of ways to lose your house. One of them is figuring out who the f*ck said that. And where he f*cking lives.’ #ronperlman #hollywood #wgastrike #sagaftra

♬ original sound – nowthis

È la fine di Hollywood per come la conosciamo? C’è chi dice che Hollywood per come la conoscevamo è già finita da un pezzo. Precisamente, da quando i nuovi mostri – le piattaforme streaming – sono arrivate sul mercato. Sono tantissime le testimonianze sia di sceneggiatori che di attori che in questi giorni raccontano cosa significhi davvero (soprav)vivere oggi a Hollywood. Lo sceneggiatore Cody Zagler ha detto che per l’episodio di She-Hulk (uno degli show più visti su Disney+, stando a quanto dice la stessa Disney+) è stato pagato 396 dollari. Brittani Nichols, sceneggiatrice della sit-com Abbott Elementary, ha spiegato meglio una delle due richieste fondamentali degli sceneggiatori (oltre quella di non essere chiusi in stanze minuscole fino a fine lavoro: è la storia delle mini room, di cui avevamo scritto qui): ricevere una fetta più grande dei cosiddetti residual, i profitti che i produttori fanno ogni volta che un film o una serie tv viene riproposto. Nichols spiega che prima delle piattaforme streaming, i residual venivano calcolati in base agli introiti pubblicitari: se tanti inserzionisti volevano uno spazio nel mezzo di un episodio di una serie o della trasmissione di un film in tv, lo sceneggiatore riceveva una sua degna quota. «Se Abbott Elementary viene riproposto su Abc [il network generalista tradizionale sul quale è stato inizialmente trasmesso, ndr], chi scrive, per contratto, può incassare fino 13.500 dollari all’anno. Se viene riproposto su una piattaforma streaming, quella cifra si abbassa a 700 dollari all’anno». Qualcuno di voi ultimamente ha visto una serie in tv, su un canale generalista tradizionale? Col senno di poi, ovviamente, era tutto prevedibile: si capiva tutto già dai tempi di Orange Is the New Black, ha scritto Michael Schulman in un pezzo sul New Yorker

Per gli attori la questione è sostanzialmente la stessa: una più equa redistribuzione dei guadagni e compensazione del loro lavoro. C’entrano i residual anche per loro, ovviamente: come ha detto Gunn, lui i suoi per Una mamma per amica non li ha mai visti. E c’entra, come tutto in questi tempi, anche l’intelligenza artificiale. Nella proposta di accordo avanzata da Amptp c’era anche l’idea di permettere ai produttori di acquistare, al costo della paga per un giorno di lavoro, il volto di un attore e di poterlo poi riutilizzare «all’infinito, per l’eternità» grazie all’AI. Il 95 per cento degli attori iscritti a Sag-Aftra viene pagato circa 200 dollari per un giorno di lavoro (Black Mirror una cosa l’ha azzeccata, anche nella sua ultima, pessima stagione). Luke Cook, parte di questo 95 per cento, sta facendo una serie di tiktok in cui spiega i perché e i percome dello sciopero. In uno di questi, dice che la questione dell’AI è quella che basta a capire tutto: «Perché so che la maggior parte degli attori che conosco quell’offerta, quei 200 dollari, penserebbe ad accettarla. Perché l’affitto lo devono pagare».