Cultura | Letteratura

Revenge porn e fantascienza: Il futuro futuro di Adam Thirlwell

Lo scrittore inglese ci racconta il suo ultimo libro, appena uscito in Italia per Feltrinelli, e ci spiega come si scrive una storia che inizia con un libretto erotico nella Francia pre-rivoluzionaria e finisce con un viaggio sulla Luna.

di Lorenzo Camerini

È uscito il 9 aprile in Italia Il futuro futuro, ultimo libro di Adam Thirlwell, tradotto da Andrea Buzzi per Feltrinelli. Thirlwell ha quarantacinque anni, è londinese, membro della Royal Society of Literature, collezionista di riconoscimenti, ben inserito nel mondo dell’arte contemporanea, collabora con i quotidiani più influenti del mondo. Raccontato, Il futuro futuro sembra un libro stranissimo: Celine, la protagonista, è la tenutaria di un salotto di scrittori e intellettuali nella Francia decadente di fine Ottocento, subito prima della rivoluzione. Iniziano a circolare pamphlet erotici anonimi su di lei, che la spingeranno a intraprendere viaggi nel tempo e nello spazio, nel futuro e nelle foreste. Un po’ romanzo storico, in parte fantascienza, qualche pennellata di amicizia femminile, altri centomila spunti tenuti insieme dall’intelligenza di Thirlwell. Avrei dovuto incontrarlo in carne e ossa per fargli qualche domanda ma un contrattempo l’ha trattenuto all’ultimo a Londra così ci organizziamo per un’intervista video, in un pomeriggio piovoso dove Milano la ricorda. Risponde da una mansarda, sullo sfondo quello che sembra un camino, muri bianchi e mensole di libri, porta un maglione azzurro e occhiali da vista con montatura nera spessa alla Woody Allen.

Non importa, eccoci qua. È passato un sacco di tempo dal tuo ultimo libro. Sei uno scrittore lento o il mondo cambia così in fretta che non è facile scegliere il soggetto di un romanzo?
In parte sono uno scrittore lento, ma non ho passato tutti gli ultimi otto anni a scrivere Il futuro futuro. Dopo l’uscita del mio penultimo libro Tenero & violento [in Italia edito da Guanda], nel 2015, ho lavorato a lungo per cercare di trarne un adattamento cinematografico. Un anno o giù di lì. Poi mi sono messo a scrivere con Rem Koolhaas una performance sul tema della traduzione, per metterla in scena al Manchester International Festival. Avevo già da un po’ nell’anticamera del cervello l’idea di scrivere Il futuro futuro, ma ho iniziato soltanto alla fine del 2019, e poi è arrivata la pandemia.

Hai smesso di scrivere durante la pandemia?
Non del tutto, però mi sono ritrovato con scarso tempo libero. Mia figlia aveva quattro anni, ti lascio immaginare i problemi. Scrivevo prestissimo, tipo alle quattro del mattino, per due o tre ore. Nel frattempo il libro ha iniziato ad adattarsi, a includere sempre più elementi del presente caotico che stiamo vivendo. Comunque, non ci ho messo otto anni a scriverlo.

Il mondo è cambiato dalla pubblicazione del tuo penultimo libro. I social media hanno preso in ostaggio la nostra vita. In Il futuro futuro non compaiono, i personaggi si scrivono lunghe lettere, e aspettano mesi per la risposta. Pensi che sia difficile inserire i social in un libro?
Oh no, penso che la letteratura dovrebbe includere tutto, non ci dovrebbero essere regole su cosa si può o non si può mettere in un libro. Credo che Il futuro futuro sia in parte, in un certo senso, un libro sui social media, descrive un mondo dove il linguaggio ha preso il sopravvento. Una delle ragioni per la quale ho scritto di libretti pornografici su donne aristocratiche francesi è che ho pensato fosse un modo per parlare delle magagne dei social, e renderle interessanti, senza citarli direttamente. Il problema, quando inserisci strumenti contemporanei in un romanzo, è che potrebbero invecchiare in fretta. Mi sembra un dilemma molto attuale. Persino eventi di due o tre anni fa ci appaiono lontanissimi, e questo vale anche per le tecnologie e la politica. Ero interessato a scrivere di un periodo storico lontano dal nostro ma dove un simile senso di accelerazione del tempo era percepito dalle persone come lo percepiamo oggi. È una delle sfide principali per uno scrittore: come si fa a scrivere un libro che descriva la contemporaneità quando ci sembra di vivere una nuova era ogni tre mesi?

Suggerirei l’esempio di Berlusconi. È stato il personaggio più importante della società italiana negli ultimi trent’anni, è morto l’anno scorso, sembra già appartenere all’epoca di mio nonno.
In Inghilterra è lo stesso. Abbiamo votato la Brexit un anno dopo l’uscita del mio penultimo libro, e io pensavo che dopo avrei scritto qualcosa magari non proprio sulla Brexit, niente di strettamente legato alla politica e all’attualità, ma che avesse a che fare con il sentimento che ci ha condotto a questi sconvolgimenti. Volevo una storia universale, qualcosa che parlasse di come i popoli siano in connessione. In parte è quello che poi ho scritto, ma sono successe così tante cose dal 2016 che nel frattempo Il futuro futuro ha risposto a moltissimi altri stimoli.

Hai scelto una forma parecchio originale per assecondare i tuoi stimoli. Spiazzante nelle prime pagine, Il futuro futuro mantiene una coerenza psichedelica tutta sua. È un qualcosa che pensavi fin dall’inizio, o ti è venuto man mano? Viene prima lo stile o la trama?
Mi verrebbe da dire entrambi. Non sono uno scrittore che si fa molti schemi, spesso mi imbarco in piccoli esperimenti, vedo che cosa mi piace fare. Di sicuro all’inizio non mi immaginavo quella che poi sarebbe stata la forma finale del romanzo, non progettavo di spalmare la trama su un periodo di tempo così lungo. Ero semplicemente interessato a scrivere la storia di una donna che vive, poco prima della Rivoluzione francese, in un mondo di scrittori da strapazzo. Di certo non immaginavo di inserire, per esempio, quella parentesi ambientata sulla Luna. Poi mi sono accorto che c’erano altre cose di cui volevo parlare, ho iniziato a interessarmi a piccole narrazioni e a inserirle nella storia principale, tipo quelle storielle sugli arcipelaghi dell’Oceano Pacifico. A quel punto ho cercato di capire come scrivere una storia con una trama all’incirca coerente, includendo più digressioni possibili.

Già, e la Luna?
Non so come mi sia venuto in mente. In parte è un omaggio a tutti i libri della fine dell’Ottocento che ho letto per documentarmi, quel genere di viaggi spaziali era comune nelle storie dell’epoca. E in parte è perché questo libro parla di persone che cercano di immaginare e teorizzare il proprio futuro, così mi è sembrato appropriato inserire un frammento futuristico.

Nelle tue ricerche per scrivere Il futuro futuro ti sei imbattuto in qualche gioiellino dimenticato della letteratura dell’epoca che ti senti di consigliare?
La notte e il momento, di Crébillon Fils, libertino leggendario. È un dialogo dove un uomo spiega a una donna che per ogni coppia di persone esiste un momento propizio, e se lo azzecchi puoi sedurre chiunque. Lui passa tutta la notte a spiegarle questa teoria, mentre chiaramente ci sta provando. Quello che ho cercato di fare, comunque, è apprendere da tutti questi libri per sovvertirli. Sarebbe stato impensabile, all’epoca, scrivere un libro con una protagonista donna. Ho cercato di scrivere un romanzo del XVIII secolo che non sarebbe potuto esistere in quegli anni.

Ti aspettavi qualche critica scegliendo di scrivere dal punto di vista di una donna? Salman Rushdie, nell’intervista a un quotidiano italiano di qualche giorno fa, ha detto che gli scrittori oggi hanno molti più paletti di quanti ne avessero fino a poco tempo fa. Che ne pensi?
Mmm, dunque, intanto adoro Salman. Credo che questo sia un commento tipico degli scrittori della sua generazione. In parte è vero, sicuramente ero consapevole dei rischi che correvo a scrivere un libro con una protagonista donna. Se l’avessi scritto quarant’anni fa questo tipo di responsabilità non ci sarebbe stata. Comunque, penso che queste preoccupazioni siano sbagliate. Non vorrei contraddire Salman, ma io non lo vedo come un limite. Penso sia ovvio che se scrivo da un punto di vista femminile devo chiedermi come fare per sembrare credibile. Una delle soluzioni che ho trovato è rendere questo problema di rappresentazione una parte del libro, l’ho reso un dilemma per i personaggi. Come ci si immedesima? Anche Celine, la protagonista del libro, fa fatica a immaginare la vita del suo assistente che viene dall’India. Nessuno riesce a capire le altre persone.

Visto che ti parlo da Milano, avrei una curiosità. Ho letto su Wikipedia che nel 2015 sei diventato membro onorario del club metafisico della Domus Academy, qua in città. Vuoi dirmi qualcosa di più?
No no… quello era un ruolo meramente onorario. All’accademia di Domus ci lavorava il mio amico Gianluigi Ricuperati, lui aveva ideato questo progetto, ma che da quel che ne so i corsi non sono mai iniziati.

Ma come! C’è tutto un sito internet, dove il tuo nome è citato insieme a altre undici eminenti personalità delle arti.
Avrei dovuto venire, ma poi alla fine non è successo, non ricordo perché. E poi Gianluigi se n’è andato…

Insomma, è già la seconda volta che avresti dovuto venire a Milano, e poi non se n’è fatto niente.
Vero, ma sono venuto parecchie altre volte, mi piace la città. In un certo senso mi ricorda Londra. Ha molte delle qualità migliori di Londra.

A proposito, pensi che Londra stia perdendo un po’ del suo fascino? Ormai chiedete la dichiarazione dei redditi agli immigrati per decidere se ammetterli.
Quando c’è stata la Brexit, pensavo che sarebbe stata una catastrofe. E lo è stata, ma solo per gli inglesi. Siamo diventati degli isolani, più di quanto lo siamo mai stati. Penso che Londra sia diventata il 20 per cento meno internazionale di quanto non fosse fino a qualche anno fa. È triste. C’è anche da considerare il contesto, la crisi economica, la pandemia. Ormai devi essere ricco per vivere a Londra. È difficile arrabattarsi. Il salario minimo che il governo pretende come requisito per trasferirsi qui è più alto di quanto offrono nella maggior parte dei lavori nel mondo dell’arte. A partire dal 2016, un sacco di miei amici se ne sono andati. Rimane una città molto internazionale, quindi puoi far finta che non stia accadendo nulla, ma gli effetti di questo impoverimento culturale sono comunque visibili. Non c’è più il glamour internazionale di dieci anni fa.

Peccato. Torniamo alla letteratura, com’è la tua routine di scrittura?
Ho bisogno di silenzio, e più divento vecchio più ho bisogno del mio studio. Di pace e tranquillità. Mi piace scrivere dalle nove del mattino alle tre del pomeriggio, di sera non ho più le forze. Soprattutto da quando sono diventato padre. Cerco di barricarmi qualche ora al giorno, e di tenere lontane le distrazioni.

Niente nottate infuse di alcol e sigarette?
Solo per chiacchierare con gli amici.

ⓢ In Il futuro futuro ci sono un sacco di riflessioni e aforismi interessanti sull’arte di conversare. Pensi che sia un’abilità che stiamo perdendo? Ti ritrovi spesso a cene dove tutti i commensali sono contemporaneamente al telefono?
Oh sì, mi succede. Questi telefoni sono chiaramente la cosa peggiore che sia mai stata inventata. Ci sono così tante cose che questi oggettini hanno introdotto nella nostra vita… molte meravigliose, certo, ma ci sono gravi effetti collaterali. Non sono sicuro che la nostra abilità nel conversare sia peggiorata rispetto a vent’anni fa. Di certo una volta c’erano più regole, era una specie di danza dove bisognava rispettare limiti e barriere, tutte dinamiche che a noi oggi sembrano molto ortodosse e convenzionali ma che hanno sfumature affascinantissime. Ciò che più mi turba del mondo dei social media è che mi sembra tutta una conversazione in maschera. Un thread di Twitter, tanto per fare un esempio, cerca di presentarsi come parte di un dialogo, ma a me non sembra mai un vero tentativo di interagire, sempre e solo litigare o ridicolizzare. Le conversazioni a cena fra amici innaffiate dal vino non sono peggiorate, questo no. Molte conversazioni, però, vengono usate oggi per esprimere metafore semplificate, e non servono in nessun modo a iniziare un dialogo. Penso che spesso definiamo conversazioni ciò che in realtà è qualcos’altro.

Tanto per fare un po’ di conversazione, a cosa stai lavorando adesso?
A una sceneggiatura per Philippe Parreno, che ha girato il film Zidane una quindicina di anni fa e che ora sta lavorando a un nuovo progetto con Charlotte Gainsbourg, sto finendo una sceneggiatura per lui. D’estate tornerò a scrivere per me.

Ho letto che sei editor della Paris Review.
È vero, sono nel comitato consultivo, ma in pratica credo che non abbiano mai accolto una mia proposta, quindi ho pochissimo potere.

Detto così, sembra il lavoro ideale.
In realtà è solo un titolo, non è un salario.

Che accoglienza ti aspetti riceva Il futuro futuro dai tuoi lettori italiani?
Sono molto felice che questo libro esca in Italia, non so bene che cosa aspettarmi. Sono sempre stato uno scrittore europeo, e più passa il tempo più ci tengo che i miei lavori escano fuori dall’Inghilterra.

Bè, sei già stato tradotto in trenta lingue.
Sì… non ogni libro, però.

Immagino che intratterrai un sacco di scambi buffi con i traduttori.
In effetti, sì. Il peggio è quando non c’è nessuno scambio, non è mai una buona notizia. Sono sempre stato affascinato dalla traduzione, di solito i paragrafi più ostici da tradurre non sono mai quelli che mi aspetterei. È spesso spiazzante. Ho visto dei miei testi tradotti in coreano, e non ho capito nemmeno quale fosse il titolo.

A un certo punto, in Il futuro futuro, appare una macchina che produce e stampa libri senza bisogno di autori umani. Pensi di aver previsto il futuro, dove ci saranno classifiche letterarie occupate da robot?
Bè, sì e no. È curioso perché quando ho scritto quella parte ChatGPT non era ancora sbucato fuori. Mi sento ottimista, non credo che siamo diretti verso un futuro terrificante e robotico dove gli uomini saranno sperduti. C’è una lezione in filigrana: forse un sacco delle nostre azioni sono molto più ripetitive di quanto ci rendiamo conto. Un manuale d’istruzioni potrebbe tranquillamente essere scritto da un’intelligenza artificiale, sì. Ma l’Ulisse di Joyce? Arriveremo a un punto dove un computer avrà quell’individualismo? In teoria, è anche possibile. A me sembra così lontano, un mondo dove ci saranno abitudini diversissime… mi sento sempre stupido a cercare di immaginare il futuro. Detto ciò, non mi stupirei se fra vent’anni saranno in commercio pessimi thriller scritti da robot.