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06:16 sabato 25 ottobre 2025
Da quando è uscito “The Fate of Ophelia” di Taylor Swift sono aumentate moltissimo le visite al museo dove si trova il quadro che ha ispirato la canzone Si tratta del Museum Wiesbaden, si trova nell’omonima città tedesca ed è diventato meta di pellegrinaggio per la comunità swiftie.
Yorgos Lanthimos ha detto che dopo Bugonia si prenderà una lunga pausa perché ultimamente ha lavorato troppo ed è stanco Dopo tre film in tre anni ha capito che è il momento di riposare. Era già successo dopo La favorita, film a cui seguirono 5 anni di pausa.
Al caso del furto al Louvre adesso si è aggiunto uno stranissimo personaggio che forse è un detective, forse un passante, forse non esiste È stato fotografato davanti al museo dopo il colpo, vestito elegantissimamente, così tanto che molti pensano sia uno scherzo o un'immagine AI.
L’azienda che ha prodotto il montacarichi usato nel colpo al Louvre sta usando il furto per farsi pubblicità «È stata un'opportunità per noi di utilizzare il museo più famoso e più visitato al mondo per attirare un po' di attenzione sulla nostra azienda», ha detto l'amministratore delegato.
I dinosauri stavano benissimo fino all'arrivo dell'asteroide, dice uno studio Una formazione rocciosa in Nuovo Messico proverebbe che i dinosauri non erano già sulla via dell’estinzione come ipotizzato in precedenza.
Nelle recensioni di Pitchfork verrà aggiunto il voto dei lettori accanto a quello del critico E verrà aggiunta anche una sezione commenti, disponibile non solo per le nuove recensioni ma anche per tutte le 30 mila già pubblicate.
Trump ci tiene così tanto a costruire un’enorme sala da ballo alla Casa Bianca che per farlo ha abbattuto tutta l’ala est, speso 300 milioni e forse violato anche la legge Una sala da ballo che sarà grande 8.361 e, secondo Trump, assolverà a un funzione assolutamente essenziale per la Casa Bianca.
L’episodio di una serie con la più alta valutazione di sempre su Imdb non è più “Ozymandias” di Breaking Bad ma uno stream di Fortnite fatto da IShowSpeed Sulla piattaforma adesso ci sono solo due episodi da 10/10: "Ozymandias" e “Early Stream!”, che però è primo in classifica perché ha ricevuto più voti.

Noi e il paradosso della cultura

Nelle sue derivazioni, ci sta aiutando a sopravvivere al nostro isolamento. Ma bisogna pensare a come poter salvare lei, quando tutto sarà finito.

03 Aprile 2020

La celebre frase “con la cultura non si mangia”, attribuita a Tremonti, è oggi più vera che mai, tutti gli ambiti della cultura sono esposti al rischio del collasso: sipari chiusi e attori fermi, cinema vuoti e set bloccati, musei deserti, giornali e riviste che faticano a trovare inserzioni e quindi a finanziarsi, libri senza librerie con festival e presentazioni rimandate, concerti adieu. La celebre frase “con la cultura non si mangia”, attribuita a Tremonti, però, non è mai stata insieme tanto ambigua: la cultura – da quando si vive reclusi – è una delle poche presenze che nutre, assumiamo grandi dosi quotidiane di prodotti culturali di tutti i generi. Se negli ospedali i malati vengono curati con le medicine e con l’ossigeno, uno dei sollievi a casa – e rimedio all’impazzimento – è il consumo di film streaming, serie tv, libri già posseduti e mai aperti, ebook, opera lirica ascoltata in salotto. Dai primi giorni di quarantena la cultura si è mostrata come un farmaco per i non-malati, terapia per riparare i viventi. O almeno per non farli deflagrare.

Stiamo nel mezzo di un paradosso: proprio nel momento in cui si assiste a una fame straordinaria di prodotti culturali, scarseggiano le forze per tenerli in vita quando la pandemia sarà passata. Bisogna dire che mai come in questo periodo in ogni settore si stanno facendo sforzi per andare avanti con soluzioni alternative, e che la Cultura ha perso la sua “c” maiuscola. Dalle prime ore di reclusione, con lo tsunami di consigli su libri da leggere e film da vedere, l’offerta culturale si è mescolata alle ricette su focacce da infornare e su come scolpire addominali sui tappeti di casa. Per l’emergenza, la cultura si è svestita della sua tipica sacralità, spogliandosi di ogni tono politico e pedagogico, presentandosi come uno dei vari rimedi da tenere nel kit di sopravvivenza per periodi assurdi.

Nel saggio pubblicato da Laterza nel 2018, Con la cultura non si mangia (Falso!), si ragionava su come far crescere il Pil investendo nella cultura, dimostrando che la cultura non è sempre a perdere. Lì Paola Dubini scriveva: «Abbiamo bisogno della cultura come dell’aria». Già, l’aria. Ora che l’aria aperta è un miraggio, non ci resta che la cultura, alta o bassa che sia, senza tante distinzioni. Così come nelle case l’alternanza tra cene elaborate e junk food ha fatto luce sul potere del cibo di rasserenare – qualsiasi piatto oggi ci appare una specialità di comfort food – così la cultura ha mostrato un lato latente altrettanto gratificante: uno sconfinato e consolante palinsesto che palpita di intelligenza e spirito ludico. Cultura per tranquillizzarsi, per svagarsi, per provare piacere, per addormentarsi. Mai come in questo periodo è chiaro che leggere o visitare mostre non renderà persone migliori ma a volte preserva dalla noia e dall’abbrutimento. Chi è sano (a margine della sofferenza per la tragedia che assedia chiunque) sente la necessità di sopravvivere alla quarantena con ogni mezzo. Il risultato è che le giornate hanno la struttura delle Mille e una notte, in cui ogni giorno una storia rimanda a un’altra, ogni contenuto culturale ci traghetta nella giornata successiva, in cui ci aspetterà un’altra storia per intrattenerci, e così di giorno in giorno. Il problema è che Sherazade – la voce planetaria che ci intrattiene – per continuare a raccontare deve mantenersi in vita.

Come procedere? Circolano tante proposte, tra cui “un piano di salvezza culturale nazionale”. Ottimo pensare al domani di musicisti, fotografi, artisti, biblioteche, gallerie. Ma oggi? L’unico libro che viene in aiuto sembra essere Trattato di funambolismo, di Philippe Petit, dove si racconta come allenarsi per camminare su un cavo, sospesi nel vuoto. Petit è l’uomo che passò a piedi sul filo teso tra i due campanili di Notre-Dame a Parigi, e che anni dopo azzardò la stessa impresa passeggiando tra le Torri Gemelle di New York. Nel suo trattato scrive: «La traversata dovrà essere eseguita a velocità costante, senza la minima perdita d’equilibrio. Se prima si posava lo sguardo sul cavo a qualche metro davanti a sé, ora bisogna guardare continuamente all’estremità dell’installazione».

Oggi per poter continuare a pensare e a scrivere sceneggiature, suonare nelle orchestre, allestire mostre o progettare libri bisogna non guardare mai giù, dove tutto è incerto e anche una piccola increspatura appare spaventosa, e imparare ad avanzare come Philippe Petit: «Quando sarete sopra il lago non guardate la superficie delle acque, il movimento dell’onda fa completamente perdere l’equilibrio».

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