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Luigi Mangione non è più accusato di terrorismo ma rischia comunque la pena di morte L'accusa di terrorismo è caduta nel processo in corso nello Stato di New York, ma è in quello federale che Mangione rischia la pena capitale.

A Roma sta ritornando l’arte contemporanea

Dopo anni di decadenza, sembra proprio che la scena artistica della città sia finalmente entrata in una fase di evoluzione.

05 Gennaio 2021

«La città, lì sopra, cucinava la rabbia nel proprio stesso traffico, negli autobus in avaria già alle nove del mattino. Gli avanbracci scandivano gli insulti dai finestrini aperti. A bordo strada i vigili compilavano multe che nessuno avrebbe mai pagato». Nelle primissime righe del recente La città dei vivi, Nicola Lagioia ci consegna un’immagine – ricorrente per tutto il resto del libro – respingente, soffocante, ai limiti dell’apocalittico, tuttavia  familiare per chi vive Roma d’abitudine. Quella raccontata da Lagioia è una città malconcia, che schiuma rancore e frustrazione: la Roma che, nel 2016, venne travolta da alluvioni, invasioni di gabbiani, topi e cinghiali, sacchi della spazzatura abbandonati ovunque; la Roma turbata dall’efferato omicidio del giovane Luca Varani; la Roma ferita dall’inchiesta “Mafia Capitale”.

A quasi un lustro di distanza da quell’annus horribilis le cose non sembrano granché cambiate. Roma mostra ancora tutte le sue fragilità alla vigilia di un turno elettorale incerto e combattuto, decisivo per le sorti future della città. Durante un anno sciagurato come il 2020, però, la città ha tenuto parzialmente botta. Forse perché la mannaia del Covid-19 è stata meno implacabile; la socialità non è stata bruscamente troncata come invece accaduto in altre “zone rosse”. L’umore rimane basso – come potrebbe essere altrimenti in un momento come questo? – ma intanto in questi mesi Roma sembra essersi scrollata temporaneamente di dosso un complesso d’inferiorità.

C’è un ambito nel quale le cose sembrano essersi messe particolarmente bene: l’arte contemporanea. Soltanto qualche anno fa la situazione era questa: il Macro, il museo d’arte contemporanea, senza una vera direzione dal 2013 al 2019; l’edizione 2012 della Quadriennale addirittura cancellata per mancanza fondi (lasciando, per la prima volta dal 1931, un buco di otto anni); l’esaurimento di alcune iniziative come la fiera The Road to Contemporary Art o il fastoso Premio Terna; in generale, un senso diffuso di abbandono e disinteresse per il settore. Da circa un biennio, al di là degli slogan politici, il vento sembra essere cambiato per davvero. A tutti i livelli, da quello istituzionale fino a quello più underground.

Museo per l’Immaginazione Preventiva è il programma del nuovo direttore artistico del MACRO Luca Lo Pinto: un singolo progetto espositivo concepito per svilupparsi in modo organico fino alla fine del 2022

Non è facile stabilire in quale successione si siano manifestati gli eventi, né quali siano stati i fattori scatenanti di questa parziale rinascita. La nomina di Cesare Pietroiusti a Presidente dell’Azienda Speciale Palaexpo nell’estate del 2018 potrebbe essere uno di questi. Artista visivo e animatore della scena romana, Pietroiusti ha dato un’impronta multidisciplinare e di respiro internazionale alla programmazione del Palazzo delle Esposizioni (memorabili la mostra dedicata al film Manifesto di Julian Rosefeldt – quello con Cate Blanchett a interpretare 13 ruoli diversi, per intenderci –, così come la retrospettiva dedicata a Jim Dine), imprimendo un cambio di marcia anche agli altri spazi espositivi – il Macro e il Mattatoio – che fanno capo al Palaexpo. Per il Macro, dopo l’esperimento altalenante di Macro Asilo, è stato scelto un nuovo curatore, Luca Lo Pinto, che, nonostante la frenata generale dei musei, nel 2020 ha già lasciato intravedere un potenziale notevole; per il secondo si è optato invece per una duplice destinazione d’uso, visto che la sede, nel quartiere Testaccio, ospita sia mostre, sia un corso di alta formazione nell’ambito delle performing arts; alla direzione, lo spagnolo (ma romano d’adozione) Angel Moya Garcia.

Il Palazzo delle Esposizioni ospita in questi mesi Fuori, la XVII edizione della Quadriennale (al momento in stand-by a causa della chiusura dei musei), curata in tandem da Sarah Cosulich e Stefano Collicelli Cagol. Un mandato di tre anni, nel corso del quale Cosulich e Collicelli Cagol hanno lavorato non solo alla (bella e ambiziosa) mostra che conclude il loro percorso, ma a tutta una serie di iniziative volte al sostegno e alla promozione dell’arte italiana, con particolare attenzione agli under 35. In realtà è tutta l’istituzione Quadriennale a essersi scrollata di dosso un po’ di polvere, con la nomina nel 2019 di un nuovo CdA, nel quale, oltre al Presidente Umberto Croppi e Fabio Mongelli, spiccano le presenze di Lorenzo Gigotti, fondatore della casa editrice Nero, e Valentina Tanni, docente e saggista decisamente sensibile alle culture del web. Si tratta di nomine recenti, ma sulla carta capaci di portare ossigeno nelle stanze della Quadriennale, che – a proposito di architettura – nel 2023 troverà una nuova casa negli imponenti spazi dell’Arsenale Clementino di Porta Portese (4 mila metri quadrii).

Tra le iniziative che meritano una segnalazione c’è anche CASTRO, che sta per Contemporary Art STudios Rome. Nato nel 2018 da un’idea dell’artista Gaia di Lorenzo, trent’anni ancora da compiere e formazione londinese, CASTRO mette a disposizione di artisti italiani e internazionali degli studi nel cuore di Trastevere (in un distretto densamente popolata di gallerie: T293, la sede romana di Gavin Brown – ora assorbita da Gladstone – Frutta, Ada). Gli artisti, tutti giovanissimi e selezionati da una giuria internazionale, hanno l’opportunità di restare a Roma per quattro mesi; alcuni decidono poi di fermarsi, integrandosi e dando linfa alla scena culturale cittadina. Il progetto prevede anche un public program particolarmente intenso, con incontri, workshop e animate discussioni pubbliche aperte a tutti gli artisti che vogliano mostrare il proprio lavoro (i cosiddetti “crits” di matrice anglosassone).

Ci sono poi le realtà indipendenti, per lo più gestite da artisti, nate e cresciute negli ultimi anni. Le loro sedi operative si trovano in aree non centrali se non addirittura periferiche: Studioli in un indefinibile complesso di garçonnières a Tor di Quinto; Villa Lontana tra le signorili ville di via Cassia; Numero Cromatico a San Lorenzo; Baleno al Pigneto. A queste, si aggiungono i tre “Spazio”, sempre gestiti da artisti, a metà tra studi e luoghi espositivi: Spazio Y al Quadraro, Spazio in Situ a Tor Bella Monaca, Spazio Mensa all’ex Cartiera Salaria, oltre al nascente Post Ex a Centocelle. Diversi tra loro per tipo di programmazione e obiettivi, oltre a una certa marginalità (la distanza mescolata a pigrizia, a Roma, forma un mix letale: “verrei volentieri, ma come faccio ad arrivare fin laggiù”, si sente spesso dire), tali realtà condividono un carattere eccentrico e sperimentale. Danno alla scena artistica romana una vitalità sotterranea ma pulsante, divisa tra aperture internazionali e attenzione al contesto locale, tra desiderio di apertura e volontà nemmeno troppo celata di rimanere nicchia. Insomma, ce n’è per tutti i gusti.

Roma può tornare a essere una città appetibile e stimolante per un artista emergente, come negli anni Sessanta e Settanta?

Ma non è un modello dal basso come quello di Berlino negli anni ’90. Il peso delle istituzioni più strutturate è sempre rilevante. Galleria Nazionale e MAXXI continuano a essere punti di riferimento importanti, capaci di accrescere il numero dei visitatori e di attirare un pubblico formato non solo da addetti ai lavori, proveniente dalla città così come da fuori. Senza dimenticare il ruolo delle fondazioni d’arte, capaci di produrre mostre sofisticate e di respiro internazionale: Giuliani, Memmo, Nomas, Pastificio Cerere, Volume!, oltre alle più giovani Baruchello (la nuova sede ha inaugurato nel 2017), La Fondazione, Smart e AlbumArte (che pur essendo un’associazione, di fatto propone un programma del tutto analogo a quello di una fondazione). Vale la pena includere in questa mappatura artistica della città anche le accademie straniere, vero unicum di Roma: pur essendo attive da molti anni (l’Accademia di Francia di Villa Medici da oltre tre secoli; quelle americana, britannica e tedesca risalgono agli inizi del Novecento, per dire), esse continuano a ospitare nelle loro sedi – indiscutibilmente tra le più belle di Roma – autori da tutto il mondo, organizzando con frequenza mostre, incontri pubblici, presentazioni, proiezioni aperte alla città.

Sembra insomma che la scena artistica di Roma, a tutti i livelli, sia in una fase di evoluzione. Persino la formazione, annoso problema, è in crescita: oltre al già citato Mattatoio, segnali positivi vengono dal nuovo corso dell’Accademia di Belle Arti sotto la direzione di Cecilia Casorati, dal consolidamento dell’accademia privata Rufa e del Master of Art della Luiss. E nonostante il 2020 l’abbia fatto passare in sordina, promette bene anche l’arrivo della Naba, che ha deciso di aprire nella Capitale una nuova sede dopo quella milanese, sperando di emularne i successi. Mancherebbe, a questo punto, una fiera. Dopo le esperienze di The Road to Contemporary Art (2008-2011) e Granpalazzo (2015-2017), Roma non è stata più in grado di proporre una rassegna di livello dedicata al mercato; chissà che la prima edizione di Arte in Nuvola, in programma a maggio 2021 nella Nuvola progettata da Fuksas all’Eur, non riesca nel tentativo di colmare questa lacuna.

È difficile prevedere a cosa porterà tutto questo fermento. Non è chiaro se siamo di fronte alla prospettiva di un rilancio o a una serie di episodi casuali. Ma di cose ne stanno accadendo, e sembrano tutte andare nella direzione di una sprovincializzazione e di un abbassamento dell’età media di alcuni degli attori presenti sulla scena. Roma può tornare a essere una città appetibile e stimolante per un artista emergente, come negli anni Sessanta e Settanta? Forse è presto per dirlo, ma sappiamo quanto sia importante la presenza di giovani che facciano pubblico e massa critica, che possano far sentire la loro voce, imitando o sfidando con sfrontatezza i “grandi”. Roma è «una città in cui tutto è già accaduto», ricorda con feroce semplicità Nicola Lagioia. È vero. Ma sarebbe bello se la città accogliesse queste effervescenze con entusiasmo e curiosità, togliendosi dalla faccia quell’espressione troppo spesso cinica e disillusa.

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