Cose che succedono | Politica

Perché tutte le destre stanno parlando di remigrazione

Il deputato leghista Rossano Sasso si è tolto la soddisfazione di essere il primo parlamentare italiano a pronunciare la parola remigrazione durante una discussione alla Camera. «Dal Parlamento italiano un messaggio per chi odia l’Italia e viola la legge: remigrazione unica soluzione». A chi si riferisce Sasso è facile capirlo: agli immigrati, ai figli di immigrati, ai nipoti di immigrati, a tutte le persone di cui ha scritto Davide Coppo in questo pezzo sulla morte di Ramy Elgaml e sulla crisi di Milano. Non sarebbe niente di nuovo – difficile rimanere sorpresi di un deputato leghista che dice queste cose – se non fosse per l’uso di quella parola, remigrazione.

Non è una parola nuova, remigrazione: si usa da tempo nel mondo accademico e nello studio dei flussi migratori. Solo recentemente, però, è diventata una parola d’ordine delle destre di tutto il mondo, in Europa prima e negli Stati Uniti poi. I primi a usarla sono stati degli esponenti di Alternative für Deutschland. Alla fine del 2023 in Germania scoppiò uno scandalo quando si scoprì che diversi notabili dell’estrema destra – tra cui, appunto, membri di AfD – si erano ritrovati all’Adlon Mansion di Potsdam per discutere progetti di deportazione di massa di “stranieri” (parola con la quale in quel caso venivano indicate tutte le persone non bianche). In quell’occasione, per la prima volta, molte persone scoprirono il nuovo uso che della parola remigrazione si stava iniziando a fare negli ambienti dell’estrema destra.

Nei mesi successivi, la parola è stata pronunciata sempre più spesso e sempre più pubblicamente. Il Partito della libertà d’Austria ne ha fatto uno dei punti chiave delle sue campagne elettorali e, nello scorso giugno, è arrivato a chiedere persino la nomina di un Commissario europeo alla remigrazione. Il suo leader, Herbert Kickl, ne è un fervente sostenitore. L’AfD della Turingia ha usato la parola sui suoi manifesti elettorali: “Sommer, sonne, remigration”, sullo sfondo un aereo della compagnia Deportation airline, un ovvio riferimento a quelle che finora in italiano abbiamo chiamato espulsioni, rimpatri, respingimenti. Ma la logica è quella dell’escalation linguistica: usare queste parole non basta più, bisogna trovare qualcosa di più forte. Ma non si può nemmeno usare la parola deportazione, perché troppe tragedie nella storia dell’umanità hanno avuto anche questo nome. E, quindi, bisogna trovare una parola che sia allo stesso tempo nuova e forte: remigrazione, appunto.

Foto di Sean Gallup via Getty Images

 

 

A sdoganare definitivamente il termine, come sempre, è stato Donald Trump. Nello scorso settembre, in piena campagna elettorale, il futuro Presidente degli Stati Uniti scriveva su X che «As president I will immediately end the migrant invasion of America. We will stop all migrant flights, end all illegal entries … and return Kamala’s illegal migrants to their home countries (also known as remigration)». In meno di tre mesi, è arrivata, inevitabile, la traduzione italiana. È utile, dunque, ricordare cosa si intende per remigrazione: deportazione.