Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.
Electric Literature ha raccolto alcune delle recensioni letterarie più assurde e cattive

Esistono recensioni di libri memorabili, e recensioni memorabili di libri. Philippa K. Chong, autrice di Inside the Critics’ Circle si è occupata del secondo gruppo per Electric Literature, stilando una lista delle recensioni più perfide e cattive mai scritte, assegnando loro un voto da 1 a 10 su una “absurd scale” che definisce l’assurdità e crudeltà delle review.
È il caso di Cat Person: racconti di Kristen Roupenian, recensito sul New York Times da Parul Sehgal, «un libro noioso dove pedofilia, necrofilia, rapimenti di bambini, omicidi di massa non portano a niente». Quando nel 1925 H. L. Mencken parlò del Grande Gatsby su Chicago Tribune, lo definì come «una storia poco importante, dove i personaggi sono semplici marionette, spesso sorprendentemente realistici ma tuttavia non del tutto vivi». Segue, secondo la scala, la recensione di Sandra Newman su Città in fiamme di Garth Risk Hallberg, che sul Guardian scrisse a proposito del romanzo di debutto dello scrittore: «I passaggi sono lenti e inerti, pieni di una “ricerca dell’anima” che interrompe l’azione. È un libro certamente impressionante, ma non riesco a spiegarmi tutto questo successo. Avrebbe potuto avere 200 pagine in meno». What the Dog Saw di Malcom Gladwell fu descritto da Steven Pinker sul New York Times come «l’opera di un uomo che è diventato l’autore dei best seller. Ma resta comunque un genio minore che commette errori incredibili».
La recensione di Peter Kemp del Cardellino di Donna Tartt sul Sunday Times ha meritato un 8 su 10: «Donna Tartt è una di quelle che non vogliono abbandonare una formula vincente. Non c’è sforzo in lei», scrive il critico, prima di denigrarne anche i lettori. «Probabilmente sono troppo stupida per capire una singola parola di questo libro», ammette Emily Hill a proposito di The Power of Cute di Simon May sullo Spectator, aggiudicandosi un 9 su 10. La supera la review di Michiko Kakutani su Zona disagio di Jonathan Franzen, sul New York Times: «Mr. Franzen rivolge il suo sguardo spietato su se stesso e riesce a darci un odioso autoritratto dell’autore come un giovane idiota: petulante, pomposo, ossessivo, egoista e incredibilmente egocentrico».

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