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13:59 lunedì 8 settembre 2025
La canzone più usata quest’estate su TikTok Italia è un pezzo di otto anni fa di Andrea Laszlo De Simone “Fiore mio” è Song of the Summer 2025 su TikTok, fatto che ha sorpreso prima di tutti De Simone, che non è nemmeno iscritto al social.
Father Mother Sister Brother di Jim Jarmush ha vinto il Leone d’oro alla Mostra del Cinema di Venezia A The Voice of Hind Rajab di Kawthar ibn Haniyya il Gran premio della giuria, Toni Servillo vince la Coppa Volpi per la sua interpretazione in La grazia, di Benny Safdie la Miglior regia con The Smashing Machine.
Marco Bellocchio girerà un film su Sergio Marchionne Le riprese inizieranno nel 2026 e si svolgeranno in Italia, Stati Uniti e Canada, i tre Paesi della vita di Marchionne.
Il responsabile per la Salute della Florida ha detto che eliminerà tutte le vaccinazioni obbligatorie Non solo quelle legate al Covid ma anche quelle che riguardano le fasce più giovani, dal morbillo all’epatite B.
Lena Dunham ha annunciato la data di uscita del suo nuovo libro, Famesick Un memoir scritto nell'arco di sette anni che parla di «malattia, dipendenza e sofferenza amorosa».
A Broadway è arrivato il musical dell’Italian Brainrot e durante la prima ovviamente è successo di tutto Tung Tung Tung Tung Tung Tung Tung Tung Tung Sahur è stato arrestato, il pubblico l'ha presa male, la protesta è arrivata fino a Times Square.
Drake ha girato un lungometraggio in cui se ne va in giro per i luoghi di culto di Milano C'è anche la Bocciofila Caccialanza di via Padova, dove incontra Sfera Ebbasta.
Trump vuole cambiare il nome del ministero della Difesa americano in ministero della Guerra Non il più rasserenante dei messaggi per il mondo, il fatto che il segretario alla Difesa Pete Hegseth diventi segretario alla Guerra. 

Questi fantasmi

Muore Alan Vega dei Suicide, un'altra icona rock del secolo scorso, e i social sembrano sempre più i sepolcri foscoliani della contemporaneità.

19 Luglio 2016

Muoiono uno dopo l’altro facendo dei social i sepolcri foscoliani della contemporaneità. Sono le rockstar del secolo scorso, il secolo del rock, anagraficamente tutte nate tra la fine degli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta. Nel caso di Boruch Alan Bermowitz, meglio conosciuto come Alan Vega, il termine – “rockstar” – è un po’ improprio, se “star” di certo non lo è stato mai e di “rock” possedeva giusto l’intenzione presleyana del cantato e l’ossatura rockabilly di certe composizioni. Siamo qui in un ambito diverso, siamo nel mischione più mitologico che reale della New York degli anni Settanta. Ma, attenzione, non siamo nella New York della new wave, né del suo rovescio strapazzato, la no wave. E neppure nella New York del punk. Alan Vega non era venuto al mondo per fare il musicista e non aveva fondato il duo dei Suicide assieme a Martin Rev per imitare i suoi idoli giovanili.

Era un artista in senso molto ampio: aveva cominciato a farsi notare nei circoli avanguardisti della metropoli americana grazie a installazioni con tubi al neon e aveva pensato alla musica molto tardi, quando aveva capito che era il medium più veloce per arrivare alla gente e far parlare di sé. Nato nel 1938 in un quartiere ebraico, per decenni aveva detto di essere nato nel 1948. Il suo è uno strano caso di uomo invecchiato di dieci anni in un minuto: nel momento in cui ne fu resa pubblica la vera data di nascita, nel 2009. Il rock è la musica delle eccezioni, delle eccentricità, dei cerchi concentrici e allora non deve suonare troppo strano che nella sua mitologia, che ne è il più fedele degli specchi, proprio perché deformante, una cosa in fondo poco rock come i Suicide occupi dei posti possibili il più scomodamente privilegiato: quello del fenomeno di culto. E tra i fenomeni di culto, tra i più di culto in assoluto. Le coordinate sono quelle accennate e non potrebbero che raccontarci questa storia: musicisti non-musicisti, il crogiuolo newyorkese, la famosa urgenza espressiva. E poi: una produzione discografica asciugata, tirata al massimo, pochissime tracce disordinate e sparse lungo tanti anni. Per contro, l’aura del diamante grezzo, dell’avanguardia, del raccontare il proprio tempo standone fieramente fuori, dell’abbattimento dell’opposizione musica-vita.

Le sette tracce dell’esordio omonimo datato 1977, con una copertina tra le più riconoscibili e iconiche di sempre, entrano di diritto tra i testi sacri di un microcosmo che al di là dei generi e dei sottogeneri ha in una capacità generativa transgenerazionale la sua vera forza: si parla di disco seminale per la genealogia rock. Figli dei Velvet Underground (prototipo del gruppo le cui pochissime copie vendute genereranno però tutte altrettante band, secondo la definizione di Brian Eno), figli degli Stooges (che per Vega sono la folgorazione sulla via non di Damasco ma del NY State Pavilion, siamo nel 1969), il fantasma tremolante della voce di Vega e le ruvide staffilate dei synth di Rev, in un gioco di ribaltamenti figura-sfondo, faranno dei Suicide uno di quei nomi che è obbligatorio citare tra le proprie influenze. E se questo appare logico per le orde d’oro del rock alternativo americano degli ultimi trent’anni almeno o per quei gruppi che tanto le analisi formali, quanto i comunicati stampa e le dichiarazioni pubbliche ci raccontano come “figli di” (i Soft Cell di Marc Almond su tutti, teatro di storie parimenti morbose immerse in atmosfere parimenti viziose e viziate), stupisce nel caso in cui le parole di ammirazione provengano da personaggi che non ti aspetti, come Bruce Springsteen o Boy George.

La nervosa ombra lunga dei Suicide arriva fino alle sorprendenti cover di artisti diversissimi tra loro eppure tutti screziati da quegli stessi riflessi, come a dire che oltre il suono del singolo c’è sempre altro: Neneh Cherry che esalta il velluto narcotico di “Dream Baby Dream“, una sorprendente M.I.A. che fa esplodere il motore di Ghost Rider (nella sua “Born Free“), Dirty Beaches che di quel medesimo pezzo manifesto ingigantisce le melmose radici blues. Anche loro oggetto di quelle operazioni retromaniache e avantnostalgiche che da qualche anno spopolano,  ovvero suonare per intero proprio quell’album lì, quello mitologico, Rev e Vega hanno riportato la sigla Suicide sui palchi, stanchi certamente, a tratti, bolsi mai. Vega è morto nel sonno a 78 anni e che abbia trovato finalmente la pace che irrequieto ha cercato per anni stentiamo anche solo ad augurarcelo. La sua morte di appartato guerriero rock è stata annunciata da uno dei suoi tanti figli naturali: Henry Rollins, frontman dei Black Flag, il faro dell’hardcore californiano.

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