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10 anni di Punta della Dogana

Insieme a Palazzo Grassi, il museo di François Pinault ha ospitato alcune delle mostre di arte contemporanea più importanti in Italia.

di Studio

Una barca si dirige verso Punta della Dogana a Venezia l'8 novembre 2006. Nel settembre dello stesso anno Francois Pinault ha ottenuto l’amministrazione dell’edificio battendo la concorrenza della Fondazione Solomom R. Guggenheim (Alberto Pizzoli/Afp/Getty Images)

Sopra all’edificio da cui Punta della Dogana prende il nome c’è una torre sovrastata da una statua che rappresenta la Fortuna e ruota indicando la direzione del vento, simboleggiando l’instabilità della sorte. Ai tempi della Repubblica di Venezia il complesso seicentesco che sorge sul sottile triangolo che divide il Canal Grande e il Canale della Giudecca veniva utilizzato come sede doganale per il commercio navale. Negli anni ‘80 del Novecento il grande edificio cadde in disuso, finché un miliardario e collezionista francese cambiò il suo destino: nel 2007 François Pinault decise di trasformarlo in un centro di arte contemporanea collegato a Palazzo Grassi, acquistato nel 2005.

Tadao Ando, l’architetto che ha disegnato gli spazi di Punta della Dogana, nel 2009 (foto di Alberto Pizzoli/Afp/Getty Images)

L’uomo che bisogna ringraziare per alcune delle più belle mostre mai ospitate dal nostro Paese – compresa quella in corso a Palazzo Grassi, la prima mostra italiana completamente dedicata Luc Tuymans, uno dei migliori pittori viventi –  ha ormai 83 anni e 4 figli. Nel 1963 fondò a Rennes la sua prima impresa nel campo del commercio di legname e riuscì a potenziarla a tal punto che nel 1988 venne quotata in Borsa. Nel 1999 entrò nel settore dei beni di lusso, acquisendo il controllo del gruppo Gucci (Gucci, Saint Laurent, Bottega Veneta, Boucheron e altri marchi). Quattro anni dopo lasciò la direzione operativa al figlio François-Henri che trasformò il gruppo, ribattezzato Kering nel 2013, in uno dei leader mondiali nel settore del lusso (oggi ha Gucci, Saint Laurent, Balenciaga, Alexander McQueen, Bottega Veneta, Boucheron, Brioni e altri). Parallelamente, nel 1992 Pinault padre fondò Artémis, società di capitali interamente controllata da lui e dalla sua famiglia. Artémis possiede anche la casa d’aste Christie’s, la rivista Le Point, la squadra di calcio Stade Rennais, la compagnia crocieristica di lusso Ponant e Artémis Domainem che comprende numerosi vigneti della regione di Bordeaux.

La Collezione Pinault è una delle cinque collezioni d’arte moderna e contemporanea più grandi del mondo ed è costituita da pitture, sculture, fotografie e video appartenenti ai movimenti artistici dell’Arte Povera, del Minimalismo, del Post-minimalismo e della Pop Art: più di tremila opere in tutto, che spaziano dal XX al XXI secolo. Il progetto culturale di Pinault si articola intorno a tre assi: l’attività museale a Venezia, un programma espositivo fuori sede, iniziative di sostegno agli artisti e di promozione della storia dell’arte. Le mostre a Venezia prevedono il coinvolgimento attivo degli artisti, invitati a creare opere in situ o a realizzare commissioni specifiche. A Palazzo Grassi e Punta della Dogana si è aggiunto nel 2013 il Teatrino, sempre realizzato dal fidato architetto giapponese Tadao Ando (responsabile della ristrutturazione dei due musei), che propone un importante programma culturale e didattico nel quadro delle partnership strette con le istituzioni e le università veneziane, italiane e internazionali.

Tadao Ando ha rivisitato tutti gli ambienti conferendo loro connotati di tipo industriale che ben si sposano con l’edificio antico: cemento, mattoni a vista, elementi in vetro e metallo. Dal 2009 Punta della Dogana ha affiancato la programmazione di Palazzo Grassi proponendo mostre realizzate in entrambi i musei, come nel caso della prima collettiva dedicata alle opere della collezione Mapping the Studio: Artists from the François Pinault Collection, a cura di Francesco Bonami e Alison Gingeras (durata dal 6 giugno 2009 al 10 aprile 2011) e della grandiosa esposizione di Damien Hirst, Treasures from the Wreck of the Unbelievable, a cura di Elena Geuna, di cui avevamo scritto qui.

Martin Bethenod, direttore di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, attraversa l’opera di Gonzalez-Torres il 28 agosto 2010 (Vincenzo Pinto/Getty Images)
L’opera di Felix Gonzalez-Torres, fotografata in occasione di Luogo e Segni, la mostra in corso che celebra i 10 anni di Punta della Dogana

Altre volte il complesso ha ospitato esposizioni autonome, come nel caso di Slip of the Tongue, a cura dell’artista vietnamita Danh Vo (in collaborazione con Caroline Bourgeois, fidata curatrice delle mostre della collezione Pinault dal 2007), o di Luogo e Segni, ideata da Mouna Mekouar, curatrice indipendente, e Martin Bethenod, il direttore di Palazzo Grassi e Punta della Dogana, che celebra i 10 anni del museo, riunendo un centinaio di opere di 36 artisti. Inaugurata il 24 marzo, l’esposizione prende in prestito il titolo di un’opera di Carol Rama e si ispira agli scritti dell’artista e poetessa Etel Adnan, che evocano il carattere apparentemente sfuggente degli elementi naturali. La memoria dei luoghi, e in particolare quella di Punta della Dogana, è uno dei temi centrali della mostra, che comprende una serie di opere che istituiscono legami tra questa e le precedenti mostre della Pinault Collection, ad esempio l’emozionante tenda di perline bianche e rosse di Felix Gonzalez-Torres, “Untitled (Blood)” del 1992. L’esposizione mette in scena i cambiamenti d’atmosfera e le trasformazioni ambientali che interessano l’edificio, circondato dall’acqua, dalla luce e dai suoi bagliori.

Jeff Koons molto allegro all’ingresso di Punta della Dogana (4 giugno 2009, foto di Marco Sabadin/AFP/Getty Images)

Un altro tema è quello delle affinità elettive tra gli artisti, in particolare quelle che legano Etel Adnan a numerosi artisti presenti in mostra, siano esse relazioni di ammirazione e di ispirazione reciproca, o più intime, di amicizia e amore. Le “conversazioni” di Roni Horn e Felix Gonzalez-Torres, di Simone Fattal ed Etel Adnan, di Liz Deschenes e Berenice Abbot, di Tacita Dean e Julie Mehretu, di Philippe Parreno ed Etel Adnan, per citarne solo alcune, disegnano una costellazione di legami affettivi e di complicità artistica. Un modo per ricordare che oltre agli oggetti – le opere d’arte – e i luoghi – Venezia, una città quasi aggressiva nel suo modo di partecipare a ogni mostra che ospita – ci sono anche e soprattutto le persone. François Pinault, certo, ma anche tutte le menti di cui il grande collezionista si è fidato: da Tadao Ando a Martin Bethenod e Caroline Burgeois, a tutti gli artisti che sono passati e che passeranno qui nei prossimi decenni.