Cultura | Editoria

Il processo sul futuro dell’editoria americana

Penguin Random House compra Simon & Schuster, il governo americano blocca tutto perché non vuole monopoli, Stephen King si schiera dalla parte del governo e tutti odiano Amazon: storia del processo che potrebbe cambiare il futuro dell'editoria Usa.

di Studio

Foto di Mark Mainz/Getty Images

Lunedì negli Stati Uniti è cominciato uno dei più importanti processi degli ultimi anni. Le parti in causa: l’amministrazione Biden e due delle cinque più importanti case editrici americane, Penguin Random House e Simon & Schuster. L’oggetto della causa: l’acquisizione di Simon & Schuster da parte di Penguin Random House, un’operazione da 2.18 miliardi di dollari che, come scrivono Alexandra Alter, Elizabeth A. Harris e David McCabe sul New York Times, cambierebbe radicalmente il mercato letterario americano.

Secondo il governo, in peggio. L’argomento dell’amministrazione Biden è l’argomento di tutti i governi che portano avanti importanti politiche antitrust. Se Penguin Random House dovesse davvero acquisire Simon & Schuster, nascerebbe un monopsonio: un venditore capace di esercitare un potere eccessivo sui suoi fornitori (il monopolio, invece, è il venditore capace di esercitare quello stesso potere eccessivo sui consumatori). Nel mercato editoriale i fornitori sono gli scrittori e, in questa parte dei mercato editoriale, quelli che vengono definiti top sellers: scrittori che vendono tante copie, che fanno guadagnare tanti soldi e che meritano quindi anticipi superiori ai 250 mila dollari. John Grisham, EL James, Margaret Atwood, Nora Roberts, Barack e Michelle Obama, per capirci. Se le case editrici capaci di investire queste somme – le cosiddette Big Five: Penguin Random House, Simon & Schuster, Hachette, Macmillan e HarperCollins – diminuiscono da cinque a quattro, di conseguenza nel mercato editoriale ci sarà meno competizione attorno ai libri dei top sellers e questo porterà a una diminuzione delle cifre pagate per assicurarsi quegli stessi libri. «Ci saranno meno scrittori che riusciranno a vivere di scrittura», questa la sintesi fatta dal Justice Departement degli Stati Uniti in un’udienza preliminare. A sostegno della sua tesi, l’amministrazione Biden può portare alcuni numeri che non lasciano molto spazio a interpretazioni. Penguin Random House è la più grande casa editrice americana, ogni anno pubblica circa duemila libri. Acquisendo Simon & Schuster, aggiungerebbe al suo catalogo altri mille titoli. Se l’accordo siglato tra le due aziende nel 2020 dovesse essere giudicato regolare, nascerebbe un colosso dell’editoria che da solo produce il 49 per cento dei cento libri più venduti in America (al momento Penguin Random House ne produce il 38 per cento, Simon & Schuster l’11). Senza considerare il fatto che Penguin Random House, che già possiede la più importante rete tipografica, di trasporto e distribuzione del mercato, acquisirebbe anche le strutture e infrastrutture dell’ex concorrente.

Il contro-argomento di Bertelsmann, l’azienda che possiede Penguin Random House, è che nessuna delle preoccupazioni del governo è realistica. Permettere la nascita di un venditore più grande e più forte non avrà alcuna conseguenza negativa né sui consumatori né, soprattutto, sui fornitori. Anzi, un’azienda che si ingrandisce significa un mercato che si fa più competitivo che significa anticipi più alti per gli scrittori e prezzi più bassi per i lettori. Il governo, poi, sostiene Bertelsmann, non se ne intende di mercato editoriale, sopravvaluta l’importanza delle “aste” tra le Big Five per accaparrarsi i manoscritti dei top sellers ed esagera la frequenza con la quale le due case editrici in questione, Penguin Random House e Simon & Schuster, si trovano in diretta competizione per un libro. C’è poi una parte del contro-argomento di Bertelsmann che non è direttamente rilevante ai fini di questo processo ma che è rilevantissima nel dibattito sul futuro dell’editoria americana (e non solo americana). Il mercato editoriale moderno, sostengono gli avvocati e dirigenti di Penguin Random House e Simon & Schuster, non è fatto solo dalle Big Five, dalle decine di case editrici minori e dalle centinaia di quelle indipendenti. Il mercato editoriale, oggi, è fatto soprattutto dai colossi di Big Tech: Apple, Disney, solo per citarne due, e ovviamente Amazon.

Nella sua newsletter On Tech, la giornalista del New York Times Shira Ovide ha spiegato perché Amazon, in questo processo, è «l’elefante nella stanza». Fondamentalmente, Bertelsmann sta cercando di raccontarsi come il futuro paladino dell’editoria americana, l’avversario finalmente forte abbastanza da rimettere al suo posto il “bullo” Amazon dopo anni di soprusi e angherie. Per farlo, però, sostiene Bertelsmann, c’è bisogno che l’acquisizione di Simon & Schuster vada in porto: solo in quel caso, infatti, l’azienda avrà l’arsenale ampio e profondo a sufficienza per dichiarare guerra all’uomo più ricco del mondo. Di fatto, per Bertelsmann chiodo scaccia chiodo: lo strapotere di Amazon – è su Amazon che la maggior parte dei lettori americani scoprono e comprano libri, è su Amazon che tutti gli scrittori americani devono vendere i loro libri, fatti che permettono all’azienda di Bezos di influenzare il mercato quasi come un monopolio – può essere contenuto e ridotto solo da uno strapotere equivalente. Gli eccessi del capitalismo si combattono con ancora più capitalismo. Per rispondere a questa bislacca tesi, Ovide ha intervistato Barry Lynn, executive director dell’Open Markets Institute, un’organizzazione che promuove leggi antitrust più stringenti e meglio applicate. Per Lynn, l’unica maniera per limitare lo strapotere di aziende come Amazon sono le leggi dello Stato. In più, aggiunge Lynn, l’argomento di Bertelsmann è obsoleto e i fatti lo hanno spesso smentito. Quanto AT&T decise di acquistare l’allora Time Warner, disse di doverlo fare per riuscire a competere con Google e Facebook. Negli ultimi anni, nell’industria musicale ci sono state moltissime acquisizioni e fusioni, tutte giustificate con la necessità di competere con Spotify. Nel 2012, Bertelsmann, allora proprietaria della casa editrice Random House, acquistò Penguin: la spiegazione fu che l’accordo era necessario per reggere la concorrenza di Amazon. Ancora oggi, Google, Facebook, Spotify e Amazon restano i monopoli usati per giustificare la creazione di altri monopoli.

A decidere se l’accordo tra Penguin Random House e Simon & Schuster è regolare sarà la giudice Florence Pan della United States District Court for the District of Columbia. Se Pan dovesse decidere che l’acquisizione viola le norme antitrust americane, Bertelsmann dovrà pagare duecento milioni di dollari di penale al Paramount Group, l’azienda che possiede Simon & Schuster. Per quest’ultima, poi, il futuro sarebbe incerto: Paramount Group ha già annunciato che, in ogni caso, non ha più intenzione di investire nella casa editrice, che a quel punto potrebbe essere venduta a un terzo soggetto, con conseguenze – soprattutto sui lavoratori – a oggi impossibili da prevedere. Appena cominciato, il processo ha già avuto un momento memorabile: la testimonianza di Stephen King, chiamato dal Departement of Justice. King si è detto preoccupato delle conseguenze che la nascita di questo colosso dell’editoria potrebbe avere sulle case editrici più piccole, quelle dove «i giovani scrittori si stanno facendo le ossa». A un certo punto della sua testimonianza, gli è stato riferito l’argomento di Penguin Random House secondo il quale quest’ultima e Simon & Schuster continueranno a competere sul mercato editoriale come fossero due entità separate, anche se appartenenti alla stessa multinazionale della cultura, cosa che permetterebbe di evitare tutte le nefaste conseguenze da lui immaginate. «La trovo una tesi un tantino ridicola – ha risposto lo scrittore – è come dire che marito e moglie si fanno concorrenza nell’acquisto di una casa».