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La Spagna introdurrà un abbonamento mensile di 60 euro per viaggiare con tutti i mezzi pubblici in tutto il Paese È il secondo Paese in Europa che prende un'iniziativa simile: prima c'era stata la Germania, il cui abbonamento mensile costa anche meno.
Amazon installerà nei Kindle una AI che ti spiega i libri se non li hai capiti
 La nuova funzione si chiama "Ask This Book” e servirà ai lettori confusi, distratti o non proprio sveglissimi.
Il distributore americano Neon ha organizzato una proiezione per soli manager di No Other Choice di Park Chan-wook, che è un film su un uomo che uccide manager Con tanto di lettera indirizzata a tutti i Ceo delle aziende Fortune 500, invitati a vedere il film il 17 dicembre a New York alle ore 17 locali.
Zohran Mamdani ha fatto una performance in un museo di New York invitando i cittadini a dirgli quello che vogliono da lui Ispirandosi alla celebre performance di Marina Abramović, il sindaco ha offerto colloqui di tre minuti a chiunque volesse parlargli.
Negli anni ’60 la Cia ha perso un ordigno nucleare sull’Himalaya e ancora non l’ha ritrovato Nel 1965, sulla vetta di Nanda Devi, l'intelligence americana ha perso un dispositivo alimentato a plutonio. È ancora lì, da qualche parte.
Cosa c’è nei primi sei minuti dell’Odissea di Christopher Nolan che sono già stati mostrati nei cinema americani Questo "prologo" è stato proiettato in diverse sale negli Usa e ovviamente è già stato piratato e diffuso online.
I Talebani in Afghanistan hanno un nuovo nemico: i giovani che si vestono da Peaky Blinders Quattro ragazzi di 20 anni sono stati sottoposti a un «programma di riabilitazione» dopo aver sfoggiato outfit ispirati a Tommy Shelby e compari.
Il neo Presidente del Cile José Antonio Kast ha detto che se Pinochet fosse ancora vivo voterebbe per lui Ed evidentemente anche questo è piaciuto agli elettori, o almeno al 58 per cento di quelli che hanno votato al ballottaggio e che lo hanno eletto Presidente.

Perché Mindhunter è una serie diversa dalle altre

La serie di Netflix prodotta da Fincher ha una struttura narrativa insolita: ecco perché bisogna vederla.

18 Ottobre 2017

Cosa rende un film sui serial killer immediatamente riconoscibile? Forse il sopralluogo del protagonista sulla scena del crimine: una casa ampia e luminosa dove una famiglia viveva felicemente. Oppure  l’immancabile scena dell’autopsia: l’espressione sul volto della vittima trasmette un senso di calma, ma le parole del medico evocano una morte violenta che non possiamo fare a meno di immaginare. Altri elementi ricorrenti sono la caccia all’uomo, la corsa contro il tempo prima che l’assassino torni a uccidere, un amico in pericolo, l’intreccio tra alto e basso, come i delinquenti da due soldi che filano con i politici di alto rango. Ebbene, tutto questo in Mindhunter non c’è, nonostante i serial killer siano al centro del racconto.

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Quando Charlize Theron, una dei produttori della serie di Netflix, ha messo sul tavolo di David Fincher il libro Mindhunter: Inside the FBI’s Elite Crime Unit, Fincher, autore anche di Se7en, ha detto: «Serial killer? Charlize, per favore», nel senso di «Charlize, per favore, che palle i serial killer». Quel che davvero lo ha affascinato della lettura, ha detto il regista al Financial Times, sono stati gli sforzi di alcune menti dell’Fbi per far nascere la moderna psicologia criminale negli anni Settanta, mentre la burocrazia e una mentalità conservatrice remavano contro. Nel corso della serie assistiamo agli screzi tra i capi dell’agenzia e i due protagonisti o al muro di separazione tra l’Fbi e le università: la prima chiamata a mantenere l’ordine, le seconde agitate della contestazione studentesca. Assistiamo anche a discussioni sul metodo: è meglio improvvisare ogni intervista o fare a tutti i killer le stesse identiche domande? Entrare in Mindhunter è davvero come aprire un manuale di psicologia criminale. La parte teorica è l’interrogatorio con l’assassino: un tour de force di campi e controcampi in cui la forza drammatica è affidata interamente al dialogo. La parte pratica è il caso investigativo, in cui ciò che abbiamo imparato dal serial killer di prima torna riflesso in un secondo omicida. Tutto questo è stato calato in un intreccio di trame e sottotrame che iniziano e finiscono nell’arco di una puntata, o che si aprono a metà stagione e si chiudono ben prima dell’ultimo episodio (e a volte non si chiudono proprio).

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Alcune testate internazionali hanno esaltato la serie ma criticandone l’inizio. Secondo Vox, ad esempio, una partenza poco decisa lascia lo spettatore confuso riguardo alla direzione del racconto. L’intera struttura è disarticolata e c’è poco di trasversale nelle dieci puntate. Molte scene, invece, sono organizzate attorno a un tavolo e si presentano quasi come una variazione sul tema: i poliziotti diventano sempre più bravi a fare le domande giuste, mentre ogni interrogatorio è una raccapricciante incursione nella testa di un mostro con uno specifico profilo piscologico. In questo, Mindhunter ricorda Zodiac, un flop e il film più bello di Fincher, che ha la struttura aperta e confusa di un’inchiesta giornalistica che non arriva da nessuna parte.

Cosa tiene insieme gli episodi? La risposta arriva nel finale di stagione, quando realizziamo di aver accompagnato i protagonisti in un lungo processo di maturazione, e di essere entrati in contatto con un ampio catalogo di menti criminali. A parte questo, Mindhunter non dà molti incentivi per andare avanti, è quasi un vecchio telefilm con gli episodi a sé stanti. Non c’è un vero crescendo, né una trama incalzante, ed è per questo che mancano cliffhanger entusiasmanti. Probabilmente è la conseguenza (non necessariamente negativa) di un approccio serio e riflessivo alla psicologia criminale.

Prima degli anni Settanta c’erano Norman Bates o il mostro di Düsseldorf, ma ancora non esistevano i dialoghi degli incontri tra Hannibal Lecter e la poliziotta Clarice («Che cosa fa quest’uomo che cerchi, Clarice?» «Uccide le donne» «No, questo è accidentale. Qual è la principale cosa che fa? Uccidendo che bisogni soddisfa?») o l’ossessione per le uccisioni rituali degli anni Ottanta e Novanta. Tenendo fuori il luogo del delitto (che raramente vediamo) i cadaveri (che osserviamo solo in foto), la corsa contro il tempo e tanto altro, Mindhunter cancella i modi di raccontare quelle storie, cioè i codici del sottogenere delle uccisioni seriali. E allora cosa resta? Restano le ore passate in prigione ad ascoltare l’omicida parlare di sé, i nastri delle registrazioni, la ricerca, lo studio, l’impresa, l’immedesimazione nel mostro che esorcizza i nostri istinti peggiori. In altre parole, prima del filone sui serial killer, c’è solo la fascinazione nei confronti di quello che sarebbe diventato un mito moderno. Ed è lì che esiste Mindhunter.

foto Mindhunter
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