Le storie, le interviste, i personaggi del nuovo numero di Rivista Studio.
La storia di Maria Tifoide, la paziente zero più pericolosa di sempre
Il modo in cui le misure drastiche adottate in Cina iniziano a dare i loro frutti, mentre la vaghezza e la confusione delle indicazioni date in Italia ha creato seri problemi, sta alimentando il dibattito su quanto sia giusto limitare la libertà individuale al fine di proteggere la salute pubblica. In Corea del Sud una congregazione religiosa al centro di uno scoppio di contagi è stata accusata di omicidio, mentre in alcune parti della Cina vengono date ricompense per chi segnala i vicini malati. Da ieri sera è inevitabile che anche in Italia chiunque circoli spensierato per le strade per motivi che non siano di lavoro, salute o necessità primarie (acquistare farmaci o cibo) nonostante le nuove norme comunicate il 9 marzo, si becchi, come minimo, la disapprovazione di parenti e amici. Forse è anche per spaventare gli ultimi incoscienti rimasti che il Guardian ha ricordato la storia di Mary Mallon, meglio ricordata come Maria Tifoide, una donna che durante l’epidemia di tifo che si sparse per New York all’inizio del XX secolo, scatenò molteplici focolai nella città e venne identificata come l’untrice per eccellenza e rinchiusa a vita. Così, come racconta questo libro del 1997 di Judith Walzer Leavitt, che ripercorre la vita di Maria Tifoide, costretta a vivere isolata fino alla morte per il bene della comunità.
Completamente asintomatica, Mallon lavorava come cuoca per le famiglie benestanti, e portava l’infezione batterica ovunque, facendo ammalare una famiglia dopo l’altra. I suoi datori di lavoro e altri membri dello staff domestico iniziavano ad accusare nausea e febbre, alcuni morivano. Portatrice ignara del batterio, Mallon passava da una famiglia all’altra. Nel 1906 cucinava per la famiglia di Charles Henry Warren, un banchiere, nella loro casa in affitto a Oyster Bay, Long Island. Quando sei delle 11 persone della famiglia si ammalarono, i proprietari assunsero George Soper, un ingegnere civile, per indagare. Attraverso un processo di eliminazione, Soper rintracciò Mallon come la fonte del tifo: sette delle otto famiglie per cui aveva lavorato erano state contagiate. Una volta identificata come “paziente zero” Mallon venne costretta a vivere per più di 20 anni nell’area di contenimento di North Brother Island. Mallon morì nel 1938, a 69 anni, ormai entrata nella memoria popolare come “la donna più pericolosa d’America”, un’untrice che aveva bisogno di essere isolata e rinchiusa e che è rimasta di fatto prigioniera fino al giorno della morte.

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