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Le orche ci vogliono morti?

Una serie di agguati ai danni di yacht privati ha diffuso la convinzione che siano i primi animali a ribellarsi all'uomo, al capitalismo, alla catastrofe climatica: breve storia dell'Orca Uprising, primo movimento rivoluzionario cetaceo.

di Ferdinando Cotugno

Da qualche mese i capitani degli yacht privati che navigano al largo della penisola iberica hanno una paura nuova, qualcosa che non gli avevano insegnato nei corsi per la patente nautica: gli attacchi delle orche. Le immagini delle aggressioni sono diventate virali, ma hanno un sapore diverso dai soliti contenuti con animali da colonnina video dei siti, perché queste orche sembrano avere un’agenda politica anticapitalista e anticoloniale, come se fossero la versione acquatica delle pagine social contro i jet dei ricchi. Ci siamo distratti un attimo e ora Malcom X è un cetaceo. Ma ci arriveremo. I fatti: dal 2020 c’è stata una decina di aggressioni coordinate di gruppi di orche contro barche private, che sembravano avere come unico scopo pratico (talvolta raggiunto) di affondarle. L’ultima è stata ripresa da uno smartphone nella sua interezza, e così le orche sono uscite dal sottobosco delle chat eco-socialiste e sono diventate mainstream. L’incubo dei diportisti. «A problem money can’t solve», un problema che i soldi non possono risolvere, recita un adesivo.

Dan Kriz, che naviga da quelle parti per conto della Reliance Yacht Management, ha detto a Newsweek che dal 2020 gli è già successo due volte: «Ad aprile ero dalle parti dello Stretto di Gibilterra, quando sono stato circondato da otto orche: hanno continuato a spingere contro la barca per un’ora finché non hanno distrutto l’elica. Ci era già successo nel 2020. Quando ho capito che erano loro, quando ho realizzato che erano tornate, ho pensato: per favore, non di nuovo». E invece erano proprio loro, le vendicatrici del Mediterraneo, animali intelligenti e di grandi dimensioni con intenzioni e aggressività in apparenza molto antropomorfe, uno Sharknado con Mark Fisher come sceneggiatore. «Volevano distruggere lo scafo, sapevano quello che stavano facendo, le sentivamo comunicare tra loro sotto la barca».

Questo bizzarro fenomeno ancora alla ricerca di una spiegazione scientifica è diventato il meme ecologista dell’anno grazie a una teoria che ha iniziato a circolare senza ironia tra gli scienziati: «Le orche lo fanno apposta», ha detto Alfredo López Fernandez, un biologo dell’Università di Aveiro, autore di un paper su questa storia. E lo fanno apposta perché sono arrabbiate. «L’ipotesi che sia un comportamento difensivo basato sul trauma prende sempre più piede». L’origin story dell’orca anticapitalista potrebbe essere stata una collisione che avrebbe ferito una di loro, un esemplare chiamato dagli scienziati White Gladis, «gladiolo bianco» (perché la scienza non può raccontare storie, ma trova spesso il modo di suggerirle). White Gladis, che sui social è diventata una specie di Ulrike Marie Meinhof, avrebbe poi insegnato alle altre a reagire e vendicarsi. Non è un’ipotesi incompatibile con l’intelligenza e con la complessa struttura sociale delle orche, animali con sfumature culturali che cambiano da gruppo a gruppo, con comportamenti insoliti, che sperimentano il lutto, praticano la crudeltà e cacciano per sport, con un linguaggio così articolato da essere divisibile in dialetti e tecniche locali di caccia tramandate per generazioni.

E qui finisce la storia della complessità delle interazioni tra una specie carismatica e le attività umane e iniziano le nostre proiezioni. Il partito dell’orca. Alexis Pauline, poetessa queer, le ha definite «madri rivoluzionarie», sui social si parla delle compagne orche, delle orche sabotatrici, su Patreon è partita una campagna per vendere adesivi con sopra scritto «Join the Orca Uprising», unitevi alle sollevazione delle orche. In Italia veniamo dalla settimana da cui veniamo, qui abbiamo proiettato le nostre speranze di cambiamento politico su Magistratura democratica, quindi non possiamo stupirci troppo che vent’anni dopo stiamo proiettando la transizione ecologica sulle orche assassine.

L’ondata di approvazione sta diventando sempre meno ironica, c’è un confine sottile tra il meme e il simbolo, qui siamo già oltre, e infatti già sono arrivati gli ammonimenti, come Jacob Stern su The Atlantic, «Smettete di tifare per le orche, non sono vostre amiche». Insomma, viene un po’ da rovinare il divertimento, a essere una specie di Nanni Moretti malmostoso, «con questi cetacei non vinceremo mai». E la storia delle compagne orche dice qualcosa sulla sentimentalizzazione del selvatico: eravamo qui, due anni fa, a farci insegnare daccapo l’amore e l’amicizia dai polpi, ora proviamo a farci ispirare la rivoluzione dalle orche. E quindi alla fine il vero tema è la rivoluzione stessa, o la sua versione burocratica e atmosferica, la decarbonizzazione. Uno dei processi più complessi che l’umanità abbia mai dovuto affrontare, l’unica brusca trasformazione della società che non arriva con il furore che fa le barricate e incendia le strade, ma con le prescrizioni della scienza, una specie di ricetta medica senza esenzione firmata dal medico di base delle Nazioni Unite.

C’è una stanchezza di fondo, ora che Greta Thunberg ha finito le superiori e quindi tecnicamente non può più fare scioperi scolastici, con Ultima generazione e Just Stop Oil che scivolano lentamente sullo sfondo delle percezioni. Nel furioso metabolismo degli archetipi sono apparse le orche che se la prendono con gli yacht dei ricchi. Un’ipotesi più solida della teoria della vendetta è quella del gioco. Quando una tecnica di caccia viene trasmessa agli esemplari più giovani, questi la ripetono all’infinito: il gioco è uno degli strumenti più efficaci per formare predatori in grado di stare in cima alla catena alimentare. È molto più probabile che sia la curiosità ad attrarle verso gli yacht, e non la rabbia. Quella è solo nostra, è comprensibile e giustificata, ma difficilmente appaltabile alle compagne cetacee. Nel 1993 liberavamo Willy in Free Willy, ora ci siamo convinti che Willy sia tornato a liberare noi.