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L’unico a volere il water d’oro di Cattelan andato all’asta è stato un parco di divertimenti Lo ha comprato per dodici milioni di dollari: è stata l'unica offerta per un'opera che ne vale dieci solo di materiale.
Angoulême, uno dei più prestigiosi festival di fumetti al mondo, quest’anno potrebbe saltare a causa di scandali, boicottaggi e tagli ai finanziamenti L'organizzazione è accusata di aver provato a insabbiare un'indagine su uno stupro e centinaia di artisti hanno deciso di non partecipare in protesta. L'edizione 2026 è a rischio.
Il guasto di Cloudflare è stato così grave che ha causato anche il guasto di Downdetector, il sito che si occupa di monitorare i guasti su internet Oltre a X, ChatGPT, Spotify e tanti altri, nel down di Cloudflare è andato di mezzo anche il sito a cui si accede quando tutti gli altri sono inaccessibili.
Il nuovo film di Sydney Sweeney sta andando così male che il distributore si rifiuta di rivelarne gli incassi Christy sembra destinato a diventare il peggior flop dell'anno, il quarto consecutivo nel 2025 dell'attrice.
Diversi grandi hotel sono stati accusati di fare offerte ingannevoli e fuorvianti su Booking L’authority inglese che si occupa di pubblicità ha scoperto che quelle convenientissime offerte non sono mai davvero così convenienti.
Gli scienziati hanno scoperto che il primo bacio sulla bocca è stato dato 21 milioni di anni fa E quindi non se l'è inventato l'homo sapiens ma un ominide, un antenato comune di uomini, scimpanzé, gorilla e orango, animali che infatti si baciano.
Non si capisce bene perché ma Nicki Minaj è andata alle Nazioni Unite a parlare dei cristiani perseguitati in Nigeria Sembra che a volerla lì sia stato Trump in persona, dopo che in più occasioni Minaj gli ha espresso pubblico supporto sui social.
La nuova tendenza nell’industria del beauty è vendere prodotti di bellezza anche a bambine di 3 anni Da anni si parla di Sephora Kids, ma adesso ci sono storie che riguardano bambine addirittura più piccole.

Nostalgia canaglia

Un decennio di studi della nostalgia rivela che la fu «psicosi dell’emigrante» è in realtà uno stato d'animo comunissimo e di effetto positivo.

11 Luglio 2013

Che cos’è la nostalgia? Un momento di défaillance emotiva? Un sintomo di depressione? Un sentimento di cui è preda chi è lontano da casa? Un rifugio mnemonico a uso e consumo delle persone più anziane? Niente di tutto questo, secondo le scoperte di un filone di studi inaugurato anni fa da due professori a Southampton.

In Mentre morivo, una sua opera pubblicata nel 1930, lo scrittore William Faulkner fa dire a un suo personaggio «quante volte mi sono sdraiato sotto la pioggia su uno strano tetto e ho pensato a casa». Il titolo originale del libro, As I lay dying, è un riferimento a un verso presente nell’XI libro dell’Odissea omerica, quando Ulisse discende agli inferi e parla con l’amico Agamennone, ormai un’ombra senza vita.

La Grecia è ricorrente nel tema della nostalgia: la parola stessa, derivante dal greco, è formata da nostos, “tornare a casa” e algos, il dolore tipico causato da questo stato. L’Ulisse di Omero è insieme il capostipite e il simbolo dell’eroe nostalgico che ha ispirato tanti artisti col passare dei secoli.

Nel 1688 Johannes Hofer descrisse un «disturbo neurologico di causa essenzialmente demoniaca». All’epoca la nostalgia era una malattia tout court.

Ma, contrariamente alla sua etimologia, il termine non è stato coniato ad Atene o Corinto: a inventarlo dal nulla nel 1688 fu uno studente di medicina svizzero, Johannes Hofer. In una dissertazione di ambito medico da lui firmata, Hofer coniò la parola per descrivere la reazioni psicofisiche dei mercenari elvetici all’estero all’ascolto di alcune canzoni popolari e alla preparazione di piatti tipici della tradizione locale. Nel suo quaderno Hofer descrisse un «disturbo neurologico di causa essenzialmente demoniaca». All’epoca la nostalgia era una malattia tout court: i medici svizzeri la combattevano a suon di oppio, sanguisughe e passeggiate nei luoghi più incantevoli delle Alpi. Qualcuno, fra i medici dell’esercito, suggerì anche che i soldati nostalgici fossero tali per danni cerebrali dovuti all’incessante rintoccare dei campanacci dei pascoli svizzeri.

A più di tre secoli di distanza, nel 1999, il professor Constantine Sedikides fece una confessione a un collega e amico del dipartimento di psicologia dell’Università di Southampton. Pranzando insieme, Sedikides svelò che, qualche volta a settimana, era colto da un’incomprensibile malinconia: pensava alla sua vecchia casa in Nord Carolina – che aveva abbandonato da poco – agli amici che aveva lì, ai piatti di okra fritto che mangiava a Chapel Hill, cittadina a pochi minuti da Raleigh, la capitale dello Stato. L’accademico però non solo non era depresso né desideroso di tornare alla sua vecchia vita, ma non era nemmeno mai stato esposto al rintoccare di campanacci (a Salonicco, dov’è cresciuto, non ce ne sono tanti come sulle Alpi svizzere). «Gli dissi che vivevo la mia vita guardando avanti, ma a volte non riuscivo a non pensare al passato, ed era gratificante», sostiene oggi Sedikides, aggiungendo che «la nostalgia mi aiutava a pensare che la mia vita avesse radici e continuità e mi consentiva di stare bene con me stesso e vivere bene le relazioni».

Il professore era così determinato nel voler convincere l’amico che sfruttò l’occasione per dedicarsi in maniera approfondita all’indagine di questo stato psicofisico. Da quel pranzo e quella chiacchierata è nato un filone di studi che oggi, anni dopo, conta dozzine di ricercatori impegnati in ricerche empiriche in tutto il mondo. Lo strumento principale usato da queste persone, non a caso, è un questionario che si chiama scala della nostalgia di Southampton.

Le scoperte  dovute al lavoro di Sedikides, del collega Tim Wildschut e di altri ricercatori hanno ribaltato secoli di pregiudizi in materia – che portavano, nel XIX e XX secolo, a descrivere la nostalgia come una «psicosi dell’emigrante» – provando scientificamente che la grande maggioranza delle persone analizzate si sente nostalgica almeno una volta a settimana. E capita anche a bambini di sette anni, che pensano a compleanni e vacanze passate.

La grande maggioranza delle persone analizzate si sente nostalgica almeno una volta a settimana. Capita anche a bambini di sette anni, che pensano a compleanni e vacanze passate.

Una serie di test eseguiti in Olanda e in Cina hanno scoperto che la musica, inducendo nostalgia, è capace di creare calore nel corpo umano. Secondo Wildschut, questa facoltà potrebbe suggerire un ruolo evolutivo ancestrale di questo sentimento: «Se riesci a scegliere un ricordo per mantenere un livello di comfort fisiologico, almeno soggettivamente, può trattarsi di un adattamento incredibile e complesso», ha dichiarato.

Altri esperimenti, come quello di Clay Routledge dell’Università del Nord Dakota, hanno dimostrato che la nostalgia può servire da schermo contro i momenti più bui, quando la tristezza potrebbe altrimenti portare al nichilismo. In questo senso, si tratterebbe di uno stato d’animo dotato di una funzione esistenziale, utile per superare traumi e trovare un senso trascendente agli eventi.

Tutto rose e fiori, quindi? Ovviamente no: inducendo sensazioni dolceamare, l’«idioma dell’esilio» – come soprannominato dalla professoressa di Harvard Svetlana Boym nel suo libro The Future of Nostalgia –è giocoforza un sentimento che porta anche effetti negativi. Quello che Sedikides e il suo gruppo sono riusciti a dirci, però, è che quelli positivi li superano in numero e frequenza. La nostalgia, peraltro, può assumere anche un valore creativo e propositivo: prendete il caso del celebrato chef francese Fernand Point, che considerava la cucina rustica della madre come la migliore possibile e, cercando di emularla in un simbolico (e nostalgico) ritorno alle origini, divenne il padre mitico del movimento della nouvelle cuisine degli anni Settanta.

Di riferimenti alla nostalgia il mondo delle arti è pieno dai tempi del cantore cieco di Ulisse e Troia. Marcel Proust versione pioniere delle neuroscienze, nel suo famoso Alla ricerca del tempo perduto collegò il sapore di una madeleine intinta nel tè alle sue domeniche mattina da ragazzino a Combray, dove zia Leonie non avrebbe potuto immaginare che sarebbe diventato l’uomo logoro e solo che era quando lo scrisse, e ne fece la base di una riflessione sull’esistenza. In C’era una volta in America De Niro-Noodles esce di prigione dopo undici anni e torna al vecchio bar del Lower East Side newyorchese che frequentava da ragazzo. Alla domanda del gestore Moe, «che cos’hai fatto in tutti questi anni, Noodles?», risponde con un laconico, celeberrimo e altrettanto proustiano «sono andato a letto presto».

C’è però un’ultima citazione eloquente sulla nostalgia che vale la pena ricordare. Una volta Jorge Valdano, storico giocatore e dirigente del Real Madrid, definì Roberto Baggio «un eccellente giocatore, con un’aura di malinconia», quasi a voler rimarcare come quel velo di tristezza apparente fosse uno dei punti di forza della grandezza del campione. E devo ammettere che, quando lo riascolto, in qualche modo è gratificante per davvero.

Nell’immagine, un tavolo imbandito per la colazione, 1955 circa. Hulton Archive/Getty Images

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