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I fratelli Duffer hanno spiegato come settare la tv per guardare al meglio l’ultima stagione di Stranger Things I creatori della serie hanno invitato i fan a disattivare tutte le “funzioni spazzatura” delle moderne tv che compromettono l'estetica anni '80 di Stranger Things.
L’incendio di Hong Kong potrebbe essere stato causato dalle tradizionali impalcature in bambù usate nell’edilizia della città Le vittime accertate sono 55, ci sono molti dispersi e feriti gravi. Sembra che il rogo sia stato accelerato dal bambù usato nei lavori di ristrutturazione.
L’Onu ha definito Gaza «un abisso» e ha detto che ci vorranno almeno 70 miliardi per ricostruirla Quasi sicuramente questa cifra non sarà sufficiente e in ogni caso ci vorranno decenni per ricostruire la Striscia.
Anche quest’anno in Russia è uscito il calendario ufficiale di Vladimir Putin Anche nel 2026 i russi potranno lasciarsi ispirare dalle foto e dalle riflessioni del loro presidente, contenute nel suo calendario
Sarkozy è stato in carcere solo 20 giorni ma dall’esperienza è riuscito comunque a trarre un memoir di 216 pagine Il libro dell’ex presidente francese sulla sua carcerazione lampo a La Santé ha già trovato un editore e verrà presto pubblicato.
Nel primo teaser del nuovo Scrubs c’è la reunion di (quasi) tutto il cast originale J.D., Turk, Elliot e anche il dottor Cox al Sacro cuore dopo 15 anni, invecchiati e alle prese con una nuova generazione di medici. Ma c'è una grave assenza che i fan stanno già sottolineando.
Anche il Vaticano ha recensito entusiasticamente il nuovo album di Rosalía José Tolentino de Mendonça, prefetto per il Dicastero per la Cultura e l’educazione del Vaticano, ha definito Lux «una risposta a un bisogno profondo nella cultura contemporanea».
La nuova funzione di geolocalizzazione di X si sta rivelando un serio problema per i politici Non è facile spiegare come mai i più entusiasti sostenitori di Donald Trump postino dall'India o dalla Nigeria, per esempio.

Nostalgia canaglia

Un decennio di studi della nostalgia rivela che la fu «psicosi dell’emigrante» è in realtà uno stato d'animo comunissimo e di effetto positivo.

11 Luglio 2013

Che cos’è la nostalgia? Un momento di défaillance emotiva? Un sintomo di depressione? Un sentimento di cui è preda chi è lontano da casa? Un rifugio mnemonico a uso e consumo delle persone più anziane? Niente di tutto questo, secondo le scoperte di un filone di studi inaugurato anni fa da due professori a Southampton.

In Mentre morivo, una sua opera pubblicata nel 1930, lo scrittore William Faulkner fa dire a un suo personaggio «quante volte mi sono sdraiato sotto la pioggia su uno strano tetto e ho pensato a casa». Il titolo originale del libro, As I lay dying, è un riferimento a un verso presente nell’XI libro dell’Odissea omerica, quando Ulisse discende agli inferi e parla con l’amico Agamennone, ormai un’ombra senza vita.

La Grecia è ricorrente nel tema della nostalgia: la parola stessa, derivante dal greco, è formata da nostos, “tornare a casa” e algos, il dolore tipico causato da questo stato. L’Ulisse di Omero è insieme il capostipite e il simbolo dell’eroe nostalgico che ha ispirato tanti artisti col passare dei secoli.

Nel 1688 Johannes Hofer descrisse un «disturbo neurologico di causa essenzialmente demoniaca». All’epoca la nostalgia era una malattia tout court.

Ma, contrariamente alla sua etimologia, il termine non è stato coniato ad Atene o Corinto: a inventarlo dal nulla nel 1688 fu uno studente di medicina svizzero, Johannes Hofer. In una dissertazione di ambito medico da lui firmata, Hofer coniò la parola per descrivere la reazioni psicofisiche dei mercenari elvetici all’estero all’ascolto di alcune canzoni popolari e alla preparazione di piatti tipici della tradizione locale. Nel suo quaderno Hofer descrisse un «disturbo neurologico di causa essenzialmente demoniaca». All’epoca la nostalgia era una malattia tout court: i medici svizzeri la combattevano a suon di oppio, sanguisughe e passeggiate nei luoghi più incantevoli delle Alpi. Qualcuno, fra i medici dell’esercito, suggerì anche che i soldati nostalgici fossero tali per danni cerebrali dovuti all’incessante rintoccare dei campanacci dei pascoli svizzeri.

A più di tre secoli di distanza, nel 1999, il professor Constantine Sedikides fece una confessione a un collega e amico del dipartimento di psicologia dell’Università di Southampton. Pranzando insieme, Sedikides svelò che, qualche volta a settimana, era colto da un’incomprensibile malinconia: pensava alla sua vecchia casa in Nord Carolina – che aveva abbandonato da poco – agli amici che aveva lì, ai piatti di okra fritto che mangiava a Chapel Hill, cittadina a pochi minuti da Raleigh, la capitale dello Stato. L’accademico però non solo non era depresso né desideroso di tornare alla sua vecchia vita, ma non era nemmeno mai stato esposto al rintoccare di campanacci (a Salonicco, dov’è cresciuto, non ce ne sono tanti come sulle Alpi svizzere). «Gli dissi che vivevo la mia vita guardando avanti, ma a volte non riuscivo a non pensare al passato, ed era gratificante», sostiene oggi Sedikides, aggiungendo che «la nostalgia mi aiutava a pensare che la mia vita avesse radici e continuità e mi consentiva di stare bene con me stesso e vivere bene le relazioni».

Il professore era così determinato nel voler convincere l’amico che sfruttò l’occasione per dedicarsi in maniera approfondita all’indagine di questo stato psicofisico. Da quel pranzo e quella chiacchierata è nato un filone di studi che oggi, anni dopo, conta dozzine di ricercatori impegnati in ricerche empiriche in tutto il mondo. Lo strumento principale usato da queste persone, non a caso, è un questionario che si chiama scala della nostalgia di Southampton.

Le scoperte  dovute al lavoro di Sedikides, del collega Tim Wildschut e di altri ricercatori hanno ribaltato secoli di pregiudizi in materia – che portavano, nel XIX e XX secolo, a descrivere la nostalgia come una «psicosi dell’emigrante» – provando scientificamente che la grande maggioranza delle persone analizzate si sente nostalgica almeno una volta a settimana. E capita anche a bambini di sette anni, che pensano a compleanni e vacanze passate.

La grande maggioranza delle persone analizzate si sente nostalgica almeno una volta a settimana. Capita anche a bambini di sette anni, che pensano a compleanni e vacanze passate.

Una serie di test eseguiti in Olanda e in Cina hanno scoperto che la musica, inducendo nostalgia, è capace di creare calore nel corpo umano. Secondo Wildschut, questa facoltà potrebbe suggerire un ruolo evolutivo ancestrale di questo sentimento: «Se riesci a scegliere un ricordo per mantenere un livello di comfort fisiologico, almeno soggettivamente, può trattarsi di un adattamento incredibile e complesso», ha dichiarato.

Altri esperimenti, come quello di Clay Routledge dell’Università del Nord Dakota, hanno dimostrato che la nostalgia può servire da schermo contro i momenti più bui, quando la tristezza potrebbe altrimenti portare al nichilismo. In questo senso, si tratterebbe di uno stato d’animo dotato di una funzione esistenziale, utile per superare traumi e trovare un senso trascendente agli eventi.

Tutto rose e fiori, quindi? Ovviamente no: inducendo sensazioni dolceamare, l’«idioma dell’esilio» – come soprannominato dalla professoressa di Harvard Svetlana Boym nel suo libro The Future of Nostalgia –è giocoforza un sentimento che porta anche effetti negativi. Quello che Sedikides e il suo gruppo sono riusciti a dirci, però, è che quelli positivi li superano in numero e frequenza. La nostalgia, peraltro, può assumere anche un valore creativo e propositivo: prendete il caso del celebrato chef francese Fernand Point, che considerava la cucina rustica della madre come la migliore possibile e, cercando di emularla in un simbolico (e nostalgico) ritorno alle origini, divenne il padre mitico del movimento della nouvelle cuisine degli anni Settanta.

Di riferimenti alla nostalgia il mondo delle arti è pieno dai tempi del cantore cieco di Ulisse e Troia. Marcel Proust versione pioniere delle neuroscienze, nel suo famoso Alla ricerca del tempo perduto collegò il sapore di una madeleine intinta nel tè alle sue domeniche mattina da ragazzino a Combray, dove zia Leonie non avrebbe potuto immaginare che sarebbe diventato l’uomo logoro e solo che era quando lo scrisse, e ne fece la base di una riflessione sull’esistenza. In C’era una volta in America De Niro-Noodles esce di prigione dopo undici anni e torna al vecchio bar del Lower East Side newyorchese che frequentava da ragazzo. Alla domanda del gestore Moe, «che cos’hai fatto in tutti questi anni, Noodles?», risponde con un laconico, celeberrimo e altrettanto proustiano «sono andato a letto presto».

C’è però un’ultima citazione eloquente sulla nostalgia che vale la pena ricordare. Una volta Jorge Valdano, storico giocatore e dirigente del Real Madrid, definì Roberto Baggio «un eccellente giocatore, con un’aura di malinconia», quasi a voler rimarcare come quel velo di tristezza apparente fosse uno dei punti di forza della grandezza del campione. E devo ammettere che, quando lo riascolto, in qualche modo è gratificante per davvero.

Nell’immagine, un tavolo imbandito per la colazione, 1955 circa. Hulton Archive/Getty Images

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