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Kristin Cabot, la donna del cold kiss-gate, ha detto che per colpa di quel video non trova più lavoro e ha paura di uscire di casa Quel video al concerto dei Coldplay in cui la si vedeva insieme all'amante è stata l'inizio di un periodo di «puro orrore», ha detto al New York Times.
I Labubu diventeranno un film e a dirigerlo sarà Paul King, il regista di Paddington e Wonka Se speravate che l'egemonia dei Labubu finisse con il 2025, ci dispiace per voi.
Un reportage di Vanity Fair si è rivelato il colpo più duro inferto finora all’amministrazione Trump Non capita spesso di sentire la Chief of Staff della Casa Bianca definire il Presidente degli Stati Uniti una «alcoholic’s personality», in effetti.
Il ministero del Turismo l’ha fatto di nuovo e si è inventato la «Venere di Botticelli in carne e ossa» come protagonista della sua nuova campagna Dopo VeryBello!, dopo Open to Meraviglia, dopo Itsart, l'ultima trovata ministeriale è Francesca Faccini, 23 anni, in tour per l'Italia turistica.
LinkedIn ha lanciato una sua versione del Wrapped dedicata al lavoro ma non è stata accolta benissimo dagli utenti «Un rituale d'umiliazione», questo uno dei commenti di coloro che hanno ricevuto il LinkedIn Year in Review. E non è neanche uno dei peggiori.
C’è una specie di cozza che sta invadendo e inquinando i laghi di mezzo mondo Si chiama cozza quagga e ha già fatto parecchi danni nei Grandi Laghi americani, nel lago di Ginevra e adesso è arrivata anche in Irlanda del Nord.

Non voglio andare a vivere in campagna

Intorno a Le meraviglie, il film di Alice Rohrwacher molto applaudito a Cannes, da oggi in sala: bello e poetico, con una componente di primo piano di psicopatia, bambine maltrattate e un'insospettabile vena autobiografica (della regista).

22 Maggio 2014

Nessun animale è stato maltrattato per produrre questo film; molti umani invece sì. Ne Le meraviglie, il film di Alice Rohrwacher che ha preso molti applausi a Cannes, da oggi nelle sale, infanzie tremende in una urfida campagna italiana; e capovolgimenti di stereotipi anche cinematografici classici: casali non ristrutturati, niente travi a vista né mobili decapati, niente file di cipressi né scene corali a tavola con tate secolari, nessuna douceur de vivre; nessuno Speriamo che sia femmina, il film di Mario Monicelli (1986) che preparava mitologie campagnole italiane negli anni Novanta, poi rese glamour con Io ballo da sola (1996) con famiglie nobiliari in decadenze eleganti tra avvento del berlusconismo e rubriche del cuore; e allegre porcellate e imperi dei sensi tra casali ristrutturati benissimo, e scrittori moribondi o anche solo dolenti vestiti Giorgio Armani. Qui, nelle Meraviglie, invece, un simmetrico di cattiveria e psicosi in purezza, e depressioni tra acquitrini e pozzanghere e tettoie di eternit e reti di materassi in cortile, tipo degrado o tipo Romafaschifo.

Un papà tremendo tedesco tiene in ostaggio famigliola post-hippy, sfornando in continuazione figlie femmine e non riservando loro alcuna cura o affetto, riversandoli entrambi invece sulla campagna piatta circostante, e compiendo smargiassate anche sui vicini non biologici che giustamente puntano sui diserbanti chimici e tossicissimi per incrementare un po’ i fatturati. Non Speriamo che sia femmina dunque, ma speriamo che sia maschio: ma il maschio non arriva mai, perché la natura si vendica, e arrivano tante ragazzine, che come nelle  vituperate campagne cinesi sono considerate una disgrazia perché manovalanza non abbastanza nerboruta. Però qui adorano tutte il loro papà squilibrato che le vessa facendo loro trasportare tini di mieli appiccicosi sotto bufere e tormente e alveari con api moribonde causa vicini non biologici che appestano i campi: e i mieli poi da vendere in mercatini deprimenti del sabato e della domenica, con la protagonista pubescente che vorrebbe un po’ truccarsi e divertirsi, e invece deve star lì a badare al miele, mentre nell’aria c’è la modernità, e c’è la televisione, e ci sono gli anni Novanta con Ambra che canta T’appartengo, tipo canto di liberazione o gospel dell’alveare. (C’è un momento Sorrentino, ma molto piccolo, con cammello al posto di fenicottero, però non in post-produzione; e un momento Mignon è partita (1988) quando arriva un piccolo tedesco dropout immigrato e pregiudicato, e scattano amori e tremori.

C’è la televisione, e ci sono gli anni Novanta con Ambra che canta T’appartengo, tipo canto di liberazione o gospel dell’alveare.

Però il film è bello e poetico, e la poesia ha la meglio sulla psicopatia; e qui si sa di rischiare molto, dicendolo: più che dire bene (pre-Oscar) della Grande Bellezza. E “ma tu ci vai, a vedere le Api?”, in questi giorni, è già tormentone con ghigno sarcastico, tra gli amici più cattivisti, per sapere appunto se si sarebbe andati a vedere il film di Rohrwacher. (Risposte di altri perfidi: “No, vado a vedere il comizio di Beppe Grillo”). Si passa per burini sentimentali: del resto quel nome, Rohrwacher: evocativo di cinematografie italiane anni Dieci, con ceti medi e medio alti depressivi, sensiblerie e mali di vivere da Capitale Umano, malesseri postindustriali tra area C e periferie milanesi tra Soldini e tinelli e incomunicabilità e “mi fanno male i capelli”. Quel cognome, Rohrwacher, evocativo di cinema d’autore non divertente. Christian De Sica, simmetrico antropologico, si sfogò qui con Studio raccontando che in un film comme il faut non possono mancare Battiston e soprattutto la Rohrwacher, pronunciando Rohrwacher digrignando i denti e sporgendo in avanti la bocca, e ripetendo quel cognome un po’ abbaiando, come se fosse Rottweiler.

Cinema autoriale italiano punitivo, però di derivazione tedesca, insomma, tipo incomunicabilità imposta dalla troika; e si immaginavano, nel cipiglio, infanzie altoborghese tra bauhaus e Amburgo; e invece, nonostante l’autrice sostiene che non ci sia autobiografia, cercando in Rete ecco spuntare una Azienda agricola Rohrwacher, a Castel Giorgio in provincia di Terni, dove si producono mieli: «millefiori, arancio, acacia», da «agricoltura biologica nomade». E qui su «biologica nomade» il pensiero corre commosso alle povere bambine Rohrwacher su pickup desolati in cerca di sciami giustamente fuggitivi, e a raccogliere mieli sgocciolanti, col papà terrificante pronto a cazziarle in almeno due lingue; e si è sollevati che siano sopravvissute, e si è pronti a perdonare tutto. Anche certi duetti con Battiston in Cosa voglio di più (2010). Però questi mieli biologici nomadi che comprate nei vostri mercatini al Pigneto e in giro dovrebbero riportare una dicitura sugli umani maltrattati, forse ce lo dovrebbe chiedere l’Europa (mentre l’azienda agricola Rohrwacher offre anche da dormire, c’è il numero in Rete, che paura).

Nell’immagine, dettaglio della locandina del film.

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