Cultura | Dal numero

Botox, il colossal hip hop di Night Skinny

Intervista a Luca Pace, che ci racconta il suo nuovo e ambiziosissimo album: 21 tracce, 40 ospiti, sampling ossessivi e un enorme lavoro di comunicazione tutto attorno.

di Federico Sardo

Night Skinny, Luca Pace all’anagrafe, classe 1983, è uno dei più importanti producer in ambito rap in Italia. Attivo dal 2005, si è fatto notare dal grande pubblico soprattutto a partire dal 2017, con l’uscita dell’album Pezzi, primo capitolo di una trilogia continuata nel 2019 con il grande successo di Mattoni, che giunge ora a compimento con Botox, uscito il 16 settembre. La sua è un’identità artistica molto forte, una cifra riconoscibile. Realizza dischi a suo nome, veri e propri colossal sempre più grandi: l’ultimo vede 40 ospiti (in un ampio range che comprende Gué, Fibra, Rkomi, Noyz Narcos, Elisa, Gazzelle, Salmo, Ghali e Coez) incontrarsi su 21 tracce. Un lavoro importante anche sulla comunicazione, che segue con attenzione, tra affissioni, annunci su Instagram, edizioni limitate. Lo abbiamo incontrato qualche giorno prima dell’uscita della sua ultima creatura.

ⓢ Come stai?
Sono più tranquillo che per i dischi precedenti. Il disco mi piace, mi convince in pieno, lo riascolto, e non ho smesso di metterci mano praticamente fino a oggi.

ⓢ Anche in questo disco è centrale il sampling, tua passione e ossessione.
Botox è al 98 per cento un disco di ricerca, praticamente tutti i pezzi contengono dei sample. Mi piace andarli a scovare per esempio nella musica dance. Spippolando e pitchando mi piace che vengano fuori sonorità quasi soul, quelle che si usava campionare negli anni Novanta. Ho abbandonato ogni tipo di trappata perché ormai le fanno tutti, e ho cercato di fare beat rap, ma molto attuali. Mi piace campionare a caso: scoprire una cosa, approfondirla, quindi scoprirne altre dieci. A volte non so neanche bene cosa sto andando a campionare, basta che mi dica qualcosa.

ⓢ Riesci ancora a farti stupire dalla musica?
Io ancora mi gaso per un loop ossessivo che si ripete per tre minuti. Ascolto dischi degli anni Settanta, roba italiana progressive, anni Ottanta, mi piace rimanipolare le cose, attuali o vecchie, a modo mio. E mi piace scoprire nuovi talenti. Non sono di quelli che dicono che la musica era più bella una volta, anzi secondo me è più bella adesso. Mi entusiasmo ancora per le novità, e credo si senta che mi diverto ancora. Uno dei miei più grandi incubi è invecchiare male, fare dischi che non mi stimolano, che non mi rendono felice. Ma il rischio per fortuna mi sembra ancora lontano. Mi diverto e si sente. E riesco a collaborare con Ariete e con Gué allo stesso tempo, per me questa è una cosa importante. Per la prima traccia del disco ho voluto registrare un’orchestra. Sono volato a Budapest senza sapere cosa avrei provato di fronte a sessanta persone che suonavano sopra un mio beat, ero totalmente impreparato a livello emotivo.

ⓢ Il marketing del disco è molto importante: tanti step, molta comunicazione, edizioni speciali. E mi sembra che per te sia anche una passione, un elemento importante da seguire in prima persona.
Sono circondato da molti creativi come Tommaso Garner e Giorgio Di Salvo, persone che a un certo punto hanno segnato un passaggio fondamentale nella mia vita. Non mi dimenticherò mai quando venivano a sentirmi suonare nei centri sociali, e mai mi sarei immaginato che sarei finito a fare un supporto fisico in vendita a 55 euro, una cosa che va al di là di un semplice disco. Il pubblico va anche un po’ educato: non è solo collezionismo, ma un progetto di respiro più ampio. Io per i dischi inizio sempre da un concept e poi ci lavoro intorno. La critica facile è quella che sia solo estetica, ma per me va di pari passo con il contenuto. Non farei mai uscire qualcosa di bello e ben studiato a livello di marketing ma che non mi convince dal punto di vista musicale, questo dev’essere chiaro. Però una volta che sono convinto del contenuto anche l’estetica è importante, vanno di pari passo.

ⓢ Sei partito dal nome anche questa volta?
Sì. Nell’ambiente della musica è tutto un’ansia da feedback, da prestazioni, da numeri. Botox è la nuova droga, è la grandezza di un disco gonfio di collaborazioni, ma allo stesso tempo serve a parlare di finzione. Numeri e classifiche: vince chi ostenta, c’è l’ossessione del successo e di modificare la propria immagine. L’apparenza è una forma di dipendenza: siamo dipendenti dall’ansia per i numeri, si vorrebbe botoxare anche quelli. In Botox conta solo la musica: è tutto vero, no filler.

ⓢ Tanta comunicazione ha anche il suo rovescio della medaglia, soprattutto sui social.
Se sono in viaggio per cinque ore sul treno comincio a rispondere a chiunque, insultando anche, è una mia specialità. La gente mi continua a chiedere perché non c’è quello o quell’altro… Ma i dischi non sono il carrello di Amazon. Ci sono mille ragioni dietro una presenza o un’assenza. Artistiche, professionali, personali… La gente commenta ma non capisce un cazzo, scrivilo. Io ho scritto per il lancio del disco “Non fotto con l’industria”, e allora mi rinfacciano i featuring più popolari, ma io intendo che faccio quello che voglio: nessuno mi viene a dire come fare la copertina o chi mettere nel disco, e il marketing lo faccio io con i miei amici. Per il cartellone in Porta Romana ho deciso con Giorgio Di Salvo che i nomi dovevano essere scritti al contrario e ho discusso con quelli che dicevano “ma non si legge”: il bello è che la gente si deve fermare e guardare meglio. Mi piace fare quello che voglio, e sono contento di aver collaborato con i nomi più popolari, perché sono stati a proprio agio in un contesto rap, nel contesto della musica che piace a me, che è l’elemento fondamentale del disco.

ⓢ Non ami parlare del passato, è come se la tua carriera fosse ricominciata con Pezzi. Non ti voglio chiedere di parlarne, ma di spiegare come mai da lì è iniziata un’altra fase.
È così. Intanto discograficamente prima ho avuto un sacco di problemi, pessime esperienze professionali, e poi c’è stata anche una bella depressione: le cose non andavano, ho attraversato un momento brutto. Sono ripartito lavorando a Pezzi, e da lì le cose sono andate in un altro modo. Quindi sì, quella divisione esiste. In realtà sono molto legato a Zero Kills, non è certo un lavoro che rinnego, però con Pezzi ho messo giù un primo tassello di un percorso che va ancora avanti. Botox è la chiusura di una trilogia. Ma non lavorerò mai più a un disco così corale e così complesso, d’ora in poi solo progetti più semplici. Sempre molto curati, ma senza più l’ansia di voler salvare il mondo e di fare il colossal ogni volta, non mi interessa più. Io faccio musica per divertirmi, ed è per quello che lavoro con tante persone. Ma le dinamiche che stanno dietro all’industria stanno soffocando la possibilità di lavorare in questo modo. Fare un disco come questo è un’impresa a livello discografico, e non potrei farlo da solo, dietro c’è un lavoro estenuante. E il problema non sono certo gli artisti.

ⓢ Ora che hai una posizione consolidata c’è qualcosa che ti manca di quel primo periodo, in cui magari non c’erano soldi?
Non pensare che ora ce ne siano chissà quanti. Io lavoro sempre come se non ci fossero, perché le cose belle e più selvagge quando poi arrivano i soldi si rovinano, almeno in Italia. Fai i video con duemila euro ed escono delle bombe, arrivano i soldi e fai video di merda. La forza di questo disco è che non è una compilation. È il mio disco, con poi tutti i featuring, ma in primis c’è la mia visione, la mia personalità. E io lavoro ancora in modo molto spontaneo: il giorno della vigilia di Natale ero a casa di Geolier a farmi fare un ritornello, e poi ho preso la macchina e sono andato dai miei. Le cose me le vado ancora a prendere come una volta. Cerco di mantenere un buon grado di libertà. Con Elisa abbiamo rifatto la strofa tre volte, e tutti mi dicevano “sei pazzo, non si può dire a una come Elisa che non va bene la prima”, e invece alla fine abbiamo fatto una cosa incredibile, e siamo felici di come è venuta. Non ho grandi nostalgie perché lavoro ancora con molta libertà, ma con in più una posizione e dei rapporti umani consolidati per cui se chiamo Rkomi, lui viene a rappare nel disco anche se sta facendo X-Factor ed è primo in classifica col suo disco da un anno. Io sono migliorato, ognuno ha fatto la sua carriera, ma in studio ci ritroviamo ancora con la voglia e il rapporto di sempre