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Presente e futuro di Eataly, secondo Nicola Farinetti

L'imprenditore racconta come il marchio di famiglia ha affrontato la crisi del Covid-19 e quali sono i prossimi obiettivi.

di Serena Scarpello

Nicola Farinetti, illustrazione di Felix Petruška

Siamo abituati ad associare Eataly a dei momenti di festa: il posto dove comprare il panettone artigianale per Natale, dove trovare quella salsa particolare per una cena speciale, dove andare a fare un giro di domenica per passeggiare nel mercato gourmet. Anche negli ultimi mesi, quando, a Milano, i servizi di consegna dei supermercati della grande distribuzione erano andati in tilt, il sito di Eataly continuava a funzionare nel mezzo del caos generale. Oggi Eataly è guidata da Nicola Farinetti, classe 1984, figlio del fondatore Oscar, approdato a Milano dopo aver lanciato il brand negli Stati Uniti (con i negozi a New York, Chicago, Boston, Los Angeles, Las Vegas) e in Canada (Toronto).

Sei rientrato in Italia poco prima che scoppiasse la pandemia. Qual è stato il tuo primo pensiero?
L’unico pensiero è stato la sicurezza dei nostri ragazzi. Occupandoci di retail, siamo rimasti aperti per tutto il periodo di lockdown, e considerato che all’inizio le indicazioni non erano chiare, anzi proprio non c’erano, devo dire che è stata molto dura.

Sei un amante dei viaggi, dello sport, della fotografia. In che modo il lockdown ha influito su di te?
Innanzitutto, ho corso moltissimo! Mi sono ritrovato a usare (finalmente!) un vecchio tapis roulant che avevo comprato anni fa. Inoltre sono comunque potuto andare in ufficio, vista la vicinanza da casa, e quello mi ha dato una grande libertà. Infine ho potuto trascorrere del tempo con la mia fidanzata, dopo anni che ci vedevamo una volta al mese! Quando abbiamo lanciato la campagna “Le cose che faremo”, io ho detto «Non vedo l’ora di prendere un aereo» e mi hanno dato tutti del pazzo. Ma per me è la cosa che mi libera più di tutte, perché so che atterrerò da un’altra parte, conoscerò delle persone. Sul fronte professionale, infine, essendo arrivato da poco, mi sono ritrovato a creare delle relazioni nuove, ma a distanza. Avere fiducia in qualcuno di solito richiede molto tempo, ma le difficoltà che ci siano ritrovati ad affrontare probabilmente hanno accelerato tutto. In due mesi ci siamo allineati come fratelli.

In che modo Eataly ha risposto a questo periodo di emergenza sanitaria?
Abbiamo molti negozi in stati diversi nel mondo e abbiamo monitorato situazioni molto diverse. Credo che l’unico modo per gestirla, nel mondo della ristorazione, sia lavorare giorno per giorno, cercando di avere una visione a lungo termine, e idee sul medio periodo. Penso che sia ancora abbastanza importante essere concentrati sul presente. In generale l’abbiamo affrontata più o meno nello stesso modo in tutti i Paesi. Unica eccezione, la Svezia, che non ha chiuso anche se poi quando ha detto alla gente di stare a casa, tutti si sono chiusi in casa come abbiamo fatto noi. Quello che cambia da un Paese all’altro sono la fiducia nei governi e gli ammortizzatori sociali, il che per esempio in America ha creato una paura sociale più alta, così come in Brasile. La cosa più strana è stata dover convincere tutti i nostri dipendenti che quello che all’inizio si viveva solo in Italia sarebbe arrivato anche da loro, ma se non ci credevano i governi, perché doveva crederci il responsabile di un negozio? Quindi è fondamentale avere la lucidità e la capacità di allinearsi con il momento che gli altri stanno vivendo, oltre che avere fiducia.

Come è andato il passaggio da una realtà all’altra per te?
Per l’Italia seguivo già tutta la parte di sviluppo sui format quindi molti ragazzi già li conoscevo. E poi ammetto che avevo proprio voglia di tornare nel mio Paese, mi mancava.

Quando hai deciso che saresti entrato in azienda?Innanzitutto mi ritengo molto fortunato ad avere avuto l’opportunità di partecipare a una cosa più grande di me. Quando Andrea Guerra mi chiese di prendere in carico la parte operativa alla guida dell’azienda ho ovviamente accettato subito, con grande entusiasmo. Trascorriamo tutt’ora molto tempo insieme e gli chiedo consigli in continuazione. Non ho mai avuto la smania di fare il capo, ma dall’altra parte mi è forse venuto sempre naturale. Mediamente le cose mi sono andate abbastanza bene, speriamo vada bene anche questa volta.

In che modo il tuo percorso formativo ti ha fatto diventare quello che sei?
Gli studi devo dirti che hanno contato poco, non essendomi laureato. La parte più importante è stata la possibilità di partire dal basso. Io sono un uomo operativo, Eataly è un’azienda di negozi, se tu li hai vissuti e li conosci hai una marcia in più, e non perderai mai il collegamento tra l’ufficio e il negozio, tra cui ritengo non ci debbano essere né muri né porte.

Cosa ti ha insegnato tuo padre?
Oscar [lo chiama per nome, nda] mi ha insegnato la parte più imprenditoriale del lavoro, essendo lui un imprenditore di coraggio e di visione, che si lancia nelle sfide. E l’importanza della creatività nel realizzare un’impresa. È un uomo che ha sempre messo l’idea al centro del processo.

Cosa pensi di aver aggiunto all’azienda?
Penso di aver portato molto sulla parte ristorazione che negli Stati Uniti è davvero importante, un business che funziona. Penso di averla capita e vissuta più degli altri. In questo momento di grande difficoltà sono molto orgoglioso della squadra americana che ho coltivato negli anni, penso sia la soddisfazione di tutte.

Ti vedi qui nel futuro?
Non sono uno che pensa da qui a 15 anni. Oggi noi abbiamo un obiettivo, che poi è il motivo per cui ho preso questo incarico: portare l’Italia nel mondo, in maniera organizzata e sempre in più Paesi, riuscire nel tempo a stabilire la credibilità di un marchio così come le aziende italiane sono riuscite a fare nella moda, nell’automobile, nel design, ma non nel cibo. Dopodiché non penso che lavorerò dentro Eataly tutta la vita. Una cosa che mi ha sempre raccontato mio padre, e che credo sia vera, è che la creatività è una risorsa limitata, dopo un po’ finisce, e se non cambi ambiente, se non fai altro, si esaurisce.

Un tema a cui tieni molto è la sostenibilità.
Oggi più che mai visto che le aziende hanno una responsabilità praticamente illimitata e quello che conta davvero è se riescono ad aggiungere un valore nel mondo o no. Il tema è complicato: è difficile analizzare gli effetti di un cambiamento di consumo, visto che le filiere sono tutte collegate e le variabili infinite. Quello che però noi dobbiamo fare è attivare un miglioramento costante e continuo nel dettaglio. I macrotemi li abbiamo capiti e non sono di facile gestione. Ma come convertiamo tutti i nostri scarti vegetali in qualcosa che si possa usare? Come modifichiamo tutto il packaging di utilizzo che crea Eataly in uno che sia completamente sostenibile? Il nostro progetto sulle api Bee the Future, ad esempio, è un progetto agricolo in cui siamo riusciti a mettere nello stesso piatto Slow food, un’università fantastica [l’Università di Palermo, nda], e 80 allevatori. Certo è un processo infinito. Ma ci crediamo molto.

Ricordo che durante Expo Milano 2015, quando per la prima volta ho conosciuto tuo padre, mi colpirono proprio questa capacità di guardare al dettaglio anche in un contesto di scenario come quello.
Esatto. Ti do un dato banale: noi siamo già riusciti ad arrivare all’80 per cento del riciclato di tutti gli scarti che facciamo all’interno dei nostri negozi. Il 20 per cento è quello dei nostri clienti, di come utilizzano la spazzatura, perché anche questo che sembra una stupidaggine, è in realtà un tema complicatissimo. Sono le piccole cose di tutti i giorni a fare la differenza.

Avete rivisto gli obiettivi di inizio anno?
No, non abbiamo cambiato nulla. Siamo molto convinti che questa situazione non cambierà la filosofia di Eataly e tantomeno dove vogliamo andare. Sicuramente abbiamo avuto una grande accelerazione sull’online, ma questo non ci distoglierà dall’obiettivo di aprire i prossimi negozi di Verona, Londra e Dallas, sul qualche stavamo già lavorando. Siamo anzi convinti che il nostro messaggio sarà ancora più ricercato.