Intervista a Gianluca Diegoli, esperto di marketing e autore di Seguimi!.
Il tentativo del governo nepalese di vietare i social è finito con 19 morti, le dimissioni del Presidente del Consiglio e il Parlamento in fiamme
In 48 ore il Paese è piombato nel caos, il governo è stato costretto a fare marcia indietro e a chiedere pure scusa.
L’oscuramento voluto dal governo nepalese di alcuni popolari social network – Facebook, YouTube e X – è durato meno di ventiquattro ore, è costato la vita a diciannove persone e la poltrona al primo ministro Khadga Prasad Sharma Oli, mentre in alcuni quartieri della capitale Kathmandu è ancora in vigore il coprifuoco imposto dalle autorità locali per mantenere l’ordine pubblico ed evitare violenze di piazza. È questo il tragico bilancio seguito all’entrata in vigore di una legge, voluta fortemente dal governo nepalese dopo che sui social era montato il malcontento prima e la protesta poi contro la stile di vita lussuoso e la dilagante corruzione della classe politica nepalese.
Di fronte allo scontento della popolazione, il governo ha provato a difendersi con una legge considerata da molti liberticida, soprattutto per le piattaforme internazionali come TikTok, Instagram, X e YouTube. Il provvedimento, infatti, impone alle piattaforme di iscriversi ad apposite liste del ministero delle Telecomunicazioni e di avere un referente locale che faccia da responsabile (cioè da controllore) dei contenuti pubblicati dagli utenti nepalesi sui loro account, in modo da evitare la diffusione di “contenuti d’odio”. TikTok ha deciso di accettare questa nuova legislazione, ma altre piattaforme statunitensi, come Facebook e X, si sono rifiutate.
Ieri, lunedì 8 settembre, nella mattinata è scaduto il termine imposto dal governo alle aziende per regolarizzare la loro posizione e è quindi, di conseguenza, scattato il bando ai danni di social utilizzati ogni giorno da milioni di nepalesi per informarsi, divertirsi e comunicare. A poche ore dall’oscuramento di Facebook e YouTube, migliaia di giovani sono scesi per le strade della capitale e delle principali città del Paese, per una protesta contro la censura e contro la corruzione. Protesta che le polizia ha represso lanciando lacrimogeni e sparando sulla folla con proiettili di gomma: il caos generato ha portato al ferimento di centinaia di persone e alla morte di ben diciannove giovani manifestanti, come ricostruito da Bbc. Il culmine delle proteste si è raggiunto con l’assalto della sede del Parlamento, data alle fiamme.
Il prezzo in vite umane, del tutto inaspettato, ha portato il governo a tornare immediatamente sui suoi passi, a eliminare il divieto di accesso ai social e a dichiararsi pronto ad «affrontare le istanze della Generazione Z». Troppo poco e troppo tardi per l’opinione pubblica: il Guardian riporta già la notizia delle dimissioni del primo ministro KP Sharma Oli, tra i bersagli principali della protesta.
Etsy Witches, witchtok, gli antri su Instagram e le fattucchiere di Facebook. Per quanto maldestre e talvolta in malafede, le streghe online ci dicono come sta cambiando il nostro rapporto con internet e con la realtà.
Il caso SocialMediaGirls scoppiato in seguito alla denuncia della giornalista Francesca Barra è solo l'ultimo di una ormai lunga serie di scandali simili. Tutti prova del fatto che se non regolamentata, la tecnologia può solo fare danni.