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L’episodio di Stranger Things in cui Will fa coming out è diventato quello peggio recensito di tutta la serie E da solo ha abbassato la valutazione di tutta la quinta stagione, nettamente la meno apprezzata dal pubblico, almeno fino a questo punto.
Il progetto europeo di rilanciare i treni notturni sta andando malissimo Uno dei capisaldi del Green Deal europeo sulla mobilità, la rinascita dei treni notturni, si è arenato tra burocrazia infinita e alti costi.
Un’azienda in Svezia dà ai suoi lavoratori un bonus in busta paga da spendere in attività con gli amici per combattere la solitudine Il progetto, che per ora è solo un'iniziativa privata, prevede un’ora al mese di ferie e un bonus di 100 euro per incentivare la socialità.
Diverse celebrity hanno cancellato i loro tributi a Brigitte Bardot dopo aver scoperto che era di estrema destra Chapell Roan e altre star hanno omaggiato Bardot sui social per poi ritirare tutto una volta scoperte le sue idee su immigrazione, omosessuali e femminismo.
È morta la donna che restaurò così male un dipinto di Cristo da renderlo prima un meme, poi un’attrazione turistica Nel 2012, l'allora 81enne Cecilia Giménez trasformò l’"Ecce Homo" di Borja in Potato Jesus, diventando una delle più amate meme star di sempre.
C’è un’associazione simile agli Alcolisti Anonimi che aiuta le persone dipendenti dall’AI Si chiama Spiral Support Group, è formato da ex "tossicodipendenti" dall'AI e aiuta chi cerca di interrompere il rapporto morboso con i chatbot.
I massoni hanno fatto causa alla polizia inglese per una regola che impone ai poliziotti di rivelare se sono massoni Il nuovo regolamento impone agli agenti di rivelare legami con organizzazioni gerarchiche, in nome della trasparenza e dell’imparzialità.
Il primo grande tour annunciato per il 2026 è quello di Peppa Pig, al quale parteciperà pure Baby Shark La maialina animata sarà in tour in Nord America con uno show musicale che celebra anche i dieci anni di Baby Shark.

Napoli è uno stato d’eccezione

La proposta di De Magistris della moneta autonoma sfrutta, come altre sue proposte, un sentimento diffuso in città.

07 Settembre 2018

Un cruccio. Se il sindaco Beppe Sala dichiarasse Milano città autonoma economicamente e culturalmente, con una propria moneta e… No; un momento, un momento. Troppo assurdo. Riformuliamo. Come mai è pressoché inconcepibile che il sindaco di Milano auspichi la secessione della città che amministra, mentre se lo fa il sindaco di Napoli Luigi de Magistris, come accaduto lunedì scorso tramite un lungo post su Facebook, l’affare suona al massimo bizzarro? Bizzarro, sì; vale a dire nulla di serio se confrontato alle spinte indipendentiste di Lombardia e Veneto, benché più radicale nelle intenzioni espresse con la veemenza e il piglio del rivoluzionario capo del movimento per la costituzione dello Stato libero di Bananas. Beh, ovvio, si dirà: perché Napoli è un caso a se stante, no? Giusto, giusto. Giusto, eppure non del tutto vero.

Napoli occupa sì un posto del tutto speciale nell’immaginario nazionale. Non si discute. Cionondimeno non è affatto un checché di «a se stante». Napoli, infatti, rappresenta una sorta di specchio al negativo nel quale l’Italia è abituata a riconoscersi, ovvero rispetto al quale sentirsi qualcos’altro. Nel bene e nel male. Nel bene, perché l’immagine di Napoli è quella dell’abisso. Criminalità, inciviltà, immondizia, espedienti, passare col rosso, andare in tre sui motorini senza casco, i falsi invalidi, i parcheggiatori abusivi, l’alimentazione sregolata, l’invadenza, il cancro. E allora non viverci è una benedizione, così da poter osservare i napoletani annaspare nel loro habitat naturale di ragù e sporcizia mentre ballano la tarantella. Nel male, perché l’immagine di Napoli è anche quella della città più allegra, spensierata, scanzonata, vivace, verace e ospitale: «vibrant», come è in voga scrivere nelle guide turistiche internazionali o nei commenti su TripAdvisor. E allora non viverci è un rammarico. Che peccato non farsi contagiare a vita dall’energia solare dei napoletani, sempre pronti alla battuta in dialetto pur di rinviare i problemi al giorno seguente, oppure per scordarsi rapidamente il passato. Tanto simm’e Napule, paisà!

A conti fatti, è un po’ come se Napoli fosse il campo Rom d’Italia. Uno spazio circoscritto ai confini della civiltà occidentale, nel quale ci si arrangia tutti i giorni, mentre si suona a mani nude, e si canta notte e dì. In altre parole, Napoli è uno stato di eccezione, nel senso di un luogo in cui le regole che valgono per tutti gli altri sono sospese fino a data da destinarsi. Uno stato d’eccezione, però, che, proprio in quanto tale, è assolutamente necessario. Per chi? Per molti. Serve al sindaco de Magistris, che di fronte al fallimento amministrativo della sua esperienza di governo della città decide di sfuggire alle sue responsabilità e recidere qualsiasi nesso con la realtà, per proiettare le proprie velleità di leader politico nazionale sul piano della riscossa popolare dei napoletani.

La sua retorica fa appello non solo ai meccanismi del consenso basati sullo scontro tra cittadini ed élite, bensì a un sentire condiviso da molti napoletani, complici di questa pantomima. Alcuni, affezionati all’idea naif di essere i simpatici saltimbanchi nel teatro dell’Unità d’Italia: quelli svegli, quelli più furbi di tutti, cui però puntualmente vengono negati i diritti fondamentali che altrove sono la base del vivere quotidiano, dal lavoro, alla mobilità, al verde pubblico, al godere di una città sempre più scippata dalla turistificazione delle zone più belle, e dalla speculazione immobiliare.

Altri, infervorati dal revanchismo neoborbonico, secondo cui prima del 1861 Napoli era il migliore dei mondi possibili: gli indignati, quelli che per decenni hanno vissuto nel complesso d’inferiorità di essere solo dei terroni, e che oggi mettono in atto un banale meccanismo di compensazione che li conduce a un complesso di superiorità in virtù del quale pensano di essere i migliori del pianeta. I primi, accarezzati da quella comicità in stile Made in Sud, che mette in scena il napoletano, e per estensione il meridionale, vile, sgraziato, truffaldino, sguaiato e ignorante. Cosicché il resto d’Italia possa ridere dei subumani che abitano le lande desolate al di là del Garigliano. I secondi, sobillati da schiere di blogger, pseudo-storici improvvisati, scrittori e opinionisti che sulla difesa di Napoli hanno costruito, dal nulla, attività professionali più o meno redditizie. E serve, senza dubbio, all’industria culturale che vive della spettacolarizzazione del crimine globale. È a Napoli che avvengono i delitti più efferati. È a Napoli che la criminalità organizzata la fa da padrona. È nelle periferie di Napoli che chi nasce sano finisce anch’egli di morte violenta per non essere riuscito a salvarsi da un destino infame già scritto nelle stelle. E dove, se no?

Per intenderci, è come se Napoli producesse una merce unica. Una merce da esportazione con la quale competere nel mercato mondiale delle identità territoriali: la napoletanità. Ma poi, in fondo, questa napoletanità, cos’è? Bah. Difficile a dirsi così, su due piedi. Forse è il caso di consultare la Treccani. Ed eccoci serviti: «L’insieme delle tradizioni, degli usi, delle qualità e degli atteggiamenti spirituali che costituiscono il patrimonio storico della città di Napoli e dei Napoletani». Un po’ vago, no? Una sorta di piattaforma girevole sulla quale di volta in volta può essere agganciato il male, Gomorra, ad esempio; oppure il bene, come la saga diversamente-dickensiana di Elena Ferrante. Una meta-narrazione, volendo, capace di tradurre qualsiasi novità in tradizione culturale consolidata. Al netto di qualsiasi considerazione sul valore di questi prodotti culturali. Con la serie Gomorra sono bastati pochi anni, staremo a vedere con L’amica geniale. Insomma, la napoletanità serve un po‘ a tutti. Eccetto a quanti non vivono di sfruttamento della napoletanità. Ossia, la stragrande maggioranza dei napoletani. E delle napoletane, s’intende.

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