I fashion designer ucraini ora fanno vestiti per la guerra
Dallo scorso 24 febbraio, giorno in cui è iniziata l’invasione russa, molti fashion designer ucraini hanno scelto di mettere le loro capacità al servizio del loro Paese, a dare il loro contributo: da più di un mese, molti di loro passano le giornate realizzando reti mimetiche, stivali da combattimento, giubbotti antiproiettile, come racconta il Kyiv Independent. Prima dell’inizio della guerra, Serge Smolin era il designer di Idol, brand di abbigliamento maschile: ora cuce le reti mimetiche usate dai soldati. Dopo essere scappato da Kiev, Smolin è tornato a casa dei suoi genitori, nell’ovest dell’Ucraina, e la prima cosa che ha fatto è stata recarsi alla più vicina base militare per mettersi a disposizione. I soldati gli hanno detto che avevano bisogno di qualcuno che aiutasse con le reti mimetiche militari: Smolin, a quel punto, ha messo le mani su qualsiasi stoffa adatta allo scopo e si è messo al lavoro assieme alla sua famiglia.
La stessa cosa è successa a diversi artigiani che fino a poco tempo fa lavoravano per Kachorovska, marchio di scarpe piuttosto noto in Ucraina. Da quando l’esercito russo ha superato il confine orientale del Paese, Kachorovska è diventato un produttore di stivali da combattimento: le prime 500 paia le hanno realizzate i lavoratori dell’azienda a loro spese. Ora, dopo più di un mese di guerra, producono talmente tanti stivali da avere bisogno di tre fabbriche per far fronte alle richieste di Forze armate e Forze di difesa territoriale. Nebesite e Frolov, invece, sono due brand che adesso producono giubbotti antiproiettile. Tra tutte le necessità delle forze armate ucraine, questa è la più difficile da soddisfare: i materiali necessari a realizzare i giubbotti antiproiettile sono estremamente difficili da reperire in Ucraina in questo momento. Nebesite ha “regalato” i primi 250 giubbotti ai soldati, ma le difficoltà alla lunga si sono fatte tali e tante che è emersa la necessità di trovare fondi per sostenere la produzione. Frolov, dal canto suo, sta provando a costruire una rete di finanziatori esteri: finora il brand è riuscito a raccogliere circa 20 mila euro di “donazioni”, soldi usati per acquistare il metallo indispensabile per realizzare i giubbotti e per pagare i dipendenti che hanno deciso di restare e di contribuire alla difesa del loro Paese in questa maniera.

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