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Com’è nato il libro che ha fatto conoscere Michela Murgia

Lo racconta Massimo Coppola, fondatore di Isbn e suo primo editore.

di Giulio Silvano

Michela Murgia è stata una protagonista del dibattito culturale e politico degli ultimi decenni. Ha vinto il premio Campiello con il suo romanzo Accabadora, ha avuto dei programmi in Rai, ha scritto opere teatrali, saggi e articoli, prendendo il posto che fu di Giorgio Bocca e poi di Roberto Saviano sull’Espresso con la rubrica “L’antitaliana”. La maggior parte dei suoi libri sono stati pubblicati da Einaudi e, l’ultimo, Tre ciotole, da Mondadori. Ma il suo esordio è avvenuto su un blog, anonimo, che è diventato un libro, il libro che ha lanciato la sua carriera. A pubblicarlo fu nel 2006 Isbn, casa editrice fondata da Luca Formenton, Giacomo Papi e da Massimo Coppola, che ne fu anche direttore editoriale. Coppola racconta a Rivista Studio la genesi di quel romanzo, Il mondo deve sapere, e il suo rapporto con la scrittrice che si è spenta a Roma il 10 agosto.

È morta Michela Murgia. Quando eri direttore editoriale di Isbn avevi pubblicato il suo esordio Il mondo deve sapere, nel 2006. Due anni dopo verrà portato sul grande schermo da Paolo Virzì, con il titolo Tutta la vita davanti.
L’altra sera scorrevo i tweet di cordoglio, io non ci sono riuscito. Questa è l’occasione per riuscire a dire qualcosa, ma con un caveat. Sarà narcisismo o la naturale reazione all’insensatezza della morte ma non possiamo che parlare di noi quando parliamo di qualcuno che se n’è andato. Da un lato mi sembra una cosa naturale, dall’altro mi sembra evitabile. Tengo molto a questa premessa. L’insensatezza e l’assurdità della fine sono irriducibili ad altro. Ma insomma, contraddicendomi, eccomi qui.

Raccontaci come è nato quel primo libro, avevate trovato voi il blog di Michela Murgia dove raccontava dell’esperienza nei call center che sarebbe poi diventato Il mondo deve sapere?
All’epoca facevo una serie di documentari su MTV, Avere vent’anni. Parlava di gente normale. Stavamo preparando la seconda serie e cercavamo qualcuno che raccontasse la storia dei call center che a quel tempo erano la forma per eccellenza del precariato, dello sfruttamento, di quei lavori temporanei sui quali poi si è discusso tantissimo. Partivamo da un punto di vista molto politico, cioè il disinteresse totale dei sindacati verso quella categoria di persone completamente indifese mentre se c’erano licenziamenti in una fabbrica il sindacato si attivava e la cosa andava in prima pagina. Quindi, cercando qua e là con Alberto Piccinini, che faceva il coautore di Avere vent’anni, ci imbattiamo in un blog anonimo. A quel tempo i blog erano una forma di espressione molto usata, i social non avevano ancora il ruolo che hanno oggi. Appena l’ho letto ho pensato che sarebbe stato un grande romanzo. 

È stato semplice pubblicarlo?
Michela era in una posizione molto difensiva, forse non sapeva nemmeno chi fossimo. Ottenni alla fine il suo numero di telefono, e mi ricordo benissimo il primo contatto. Ero a girare il programma di MTV in quel periodo, in un alberghetto triste e l’ho chiamata dicendole «Non voglio solo intervistarti e raccontare la tua storia nel programma, ma vorrei anche pubblicare il tuo blog in forma di romanzo con Isbn edizioni». Sulle prime era un po’ scettica, mi ricordo il suo scetticismo, poi la convinsi e fu tutto molto veloce. Il romanzo era già tutto lì. Rispetto ad altri autori che hanno pubblicato con me per primi, qui ci fu molto poco editing. La scrittura era già lì, la potenza era già lì. Quando la incontrai mi trovai di fronte una persona insolitamente agguerrita. Non era una scrittrice, era qualcosa di più. 

Il mondo deve sapere fu un caso importante nel panorama editoriale.
Fu una cosa potente. Il romanzo ebbe un insolito successo. Lei ricevette subito un’offerta da parte di Einaudi. Lì entrai un po’ in conflitto perché io ero gelosissimo, mi dispiaceva perderla subito. Lei voleva avere il maggior impatto possibile, questo lo si è visto col tempo. Ce l’ha avuto questo impatto, proprio nel suo non essere una scrittrice ma nell’essere un’attivista che usava ogni forma espressiva per sostenere le sue cause sempre condivisibili. Sempre con forza e con intelligenza. Era un essere umano peculiare. Mi sarebbe piaciuto specchiarmici, perché potevi vedere come la sua forza e la sua debolezza si alimentassero a vicenda. 

Come andò dopo che lasciò Isbn per Einaudi?
Confesso che ci rimasi male, il mio socio del tempo Giacomo Papi fu molto più comprensivo, mentre io ero più duro e puro, indie. Anche troppo passionale e ingenuo a dirla tutta. Poi la cosa si è ricomposta. 

Vi aspettavate quel successo dal libro?
Io sono sempre ottimista sulle cose che faccio. Sentivo che il libro aveva una forza pazzesca. E allora Isbn era una rampa di lancio. Me lo aspettavo il successo. Quando faccio le cose mie prevale il terrore ma quando produco cose degli altri prevale ottimismo e ho più speranza. La misura del successo fu straordinaria, contribuì tantissimo a far conoscere la nostra casa editrice.

Senti una forma di responsabilità nell’aver scoperto una scrittrice che sarebbe diventata così centrale nel dibattito culturale e politico italiano?
Per chi fa un mestiere culturale se incontri un oggetto come quel blog, non puoi non voler interagire. E poi sarebbe stata solo questione di tempo. È stata una questione di incroci fortunati, ma il merito è tutto suo. Le sarebbe accaduto magari un anno dopo, due anni dopo. Sono felice di aver pubblicato il suo primo romanzo, ma lo considero uno scambio alla pari. Lei ha dato alla casa editrice e a me quanto noi abbiamo dato a lei. Sarebbe accaduto lo stesso, ne sono convinto.

E da allora nella prosa di Murgia hai visto cambiamenti ed evoluzioni, o è rimasta la forza, anche politica, del blog?
Il fatto che Michela sia stata in grado di mettere insieme il successo letterario e la sua voglia di avere un impatto sulla società, di cambiarla, di interloquire, di dire, di mostrarsi fa sì che per me lei non sia una scrittrice ma qualcosa di più. È qualcuno che vuole avere un impatto nel presente, cambiare le cose mentre succedono. Non tanto mirare al pantheon dei grandi letterati ma a quello di chi ha voluto cambiare le cose. 

Oggi sarebbe possibile trovare un libro con questo impatto sui social, se i social li consideriamo l’evoluzione del blog? O il medium stesso lo rende impossibile?
Nel caso di Michela c’era un intero romanzo nel blog. Qualcuno potrebbe dirti: anche su Facebook puoi farlo. E a breve si potrà fare anche su Twitter, cosa che mi fa abbastanza ridere. Ma, semplicemente, anche il piccolo sforzo di scrivere su un blog, crearlo da zero, non avere cioè la piattaforma già lì bella pronta con la pagina aperta, va considerato. I piccoli passi che devi fare per metterti nella posizione di essere ascoltato, un tempo, erano grandi passi. Poi è diventato sempre più banale. In questo si vede la determinazione di Michela. È andata a lavorare in questo call center e si è aperta un blog dove voleva raccontarlo. 

Avete continuato a sentirvi?
Abbiamo fatto una lunghissima telefonata sul processo Saviano di recente. Erano sempre intensi i rapporti con Michela. C’era stata una lunga cesura dopo che eravamo entrati in conflitto per il passaggio a Einaudi. Prima c’era un rapporto quotidiano che poi dopo un po’ di tempo è tornato a farsi assiduo e confidenziale. È tornato anche grazie a Sandro Veronesi. Quando Veronesi ha iniziato a fare, con Corpi, una lotta politica a cui abbiamo partecipato entrambi, io e Michela abbiamo riiniziato a telefonarci ed è stato bello ritrovarci in una lotta di quel tipo. Il legame è tutto umano nella misura in cui l’umano è politico, cosa che descrive benissimo Michela. 

Il mondo deve sapere può essere ancora uno strumento di lotta o è rimasto semplicemente un documento del passato?
Il libro ha ancora tutta la sua forza. Puoi mutare i paradigmi del sistema ma il cuore di quella vicenda, che è poi lo sfruttamento, la messa in commedia del capitalismo ultra aggressivo di tipo americano, non è cambiato. Oggi potrebbe essere un rider e non un operatore di call center. Poi per loro, nei call center, le cose sono un po’ cambiate come ora stanno iniziando a cambiare per i rider. Le cose come quelle che ha fatto Michela sono essenziali perché ci sia questo cambiamento.