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Il Met venderà delle copie delle sue opere per recuperare le perdite del lockdown
Si chiama “deaccessioning” ed è una pratica molto usata nei musei americani, consiste nel vendere delle opere d’arte conservate nelle collezioni. È quello che sta per fare il Met per fronteggiare la perdita subita durante il lockdown, tra musei chiusi e una consistente diminuzione dei biglietti strappati. Con l’aiuto della casa d’aste Christie’s, il Met metterà all’asta una selezione di opere: «Le opere che usiamo per il deaccessioning sono duplicati, multipli, copie della stessa cosa che abbiamo di qualità migliore», ci ha tenuto a precisare Max Hollein, direttore del museo, ad Artnet, prima che gli acquirenti si potessero immaginare di comprare gli originali di opere custodite al Met come “Christina’s World” di Wyeth o “Il ritratto di Gertrude Stein” di Picasso.

Robert Frank, Parade, Hoboken, New Jersey, 1955 (1955). Foto da Christie’s Images.
La pratica del deaccessioning è stata legittimata dalla Board dei direttori dei musei d’arte americani che permette alle istituzioni di accedere poi ai fondi ottenuti e di utilizzarli per la cura della collezione, più precisamente, nel caso del Met, saranno devoluti allo staff interno. Dal momento che il termine ultimo per la pratica è aprile 2022, il Met ha già pensato a a programmare tre vendite con Christie’s, di cui la prima inizierà il 24 settembre e terminerà il 7 ottobre, a tema fotografia della guerra civile, di cui il Met detiene la collezione più ampia di qualsiasi altra istituzione museale al mondo. Ad esempio, il 6 ottobre sarà possibile comprare alcune immagini di Robert Frank prese dal suo libro The Americans. La più costosa è la fotografia “U.S. 90, En Route to Del Rio, Texas, 1955” che secondo Christie’s può valere tra i 150 e i 250 mila dollari. Le altre fotografie, invece, ritraggono oggetti fermi, paesaggi, e molte non sono di fotografi importanti, potrebbero valere quindi attorno ai mille dollari circa.

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