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Melissa Panarello vuole parlare di soldi

Intervista alla scrittrice che nel 2003 scandalizzò l'Italia con 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire e oggi, col suo nuovo libro, torna a scardinare un altro tabù.

di Giulio Silvano

Da quando nel 2003 Melissa Panarello ha pubblicato il suo esordio,100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, ha scritto diversi romanzi, saggi, libri per bambini, graphic novel, podcast e oroscopi. Ora torna in libreria con un libro per Bompiani, un romanzo dove racconta di una scrittrice, Melissa, che dopo anni incontra Clara, l’attrice che la interpretò nella trasposizione cinematografica del suo romanzo.

Storia dei miei soldi è un libro sul successo, sull’autodistruzione, su Roma, sull’erotismo, sulla famiglia e, soprattutto, sui soldi.
È la prima volta che mi espongo in modo così forte, denudandomi così. Dopo anni in cui giravo intorno a questi temi sono andata dritta al punto. L’ho scritto in tre anni, che per me è molto. E quindi ho avuto modo di elaborare. Ci sono stati grandi momenti di vuoto in cui l’ho lasciato maturare. Perché prima scrivevo molto velocemente.

ⓢ È vero che ti hanno rubato il manoscritto di questo libro?
Dopo aver finito le bozze una redattrice di Bompiani mette in copia un’agente di Milano dicendo queste sono le bozze finali per Francoforte. Ma quella in copia non è più la mia agente da anni. Poi dalla casa editrice mi girano una mail, una richiesta all’editore che diceva: «sono Melissa Panarello mi manderesti per favore le bozze che le giro all’agente». La mail era di Melissa Panarello ma scritto Panarelllo, con tre L. Chissà se era il famoso ladro di manoscritti, quello che poi è stato scagionato, se continua a rubare i libri prima che escano. Non ci fa niente, non ci guadagna niente, li legge e basta. Mi sembra una cosa estremamente poetica.

Il tuo rapporto coi soldi è iniziato presto. «Quando sono nata mi hanno ricoperto di soldi perché portava bene. Ero in vita da poche ore, sul corpo erano sparse decine di banconote da cento e cinquantamila lire».
È una cosa autobiografica. In Sicilia c’è questa usanza di mettere un filo alle figlie femmine quando nascono, nella culla, con l’augurio di diventare brave massaie. Ai figli maschi invece si mettono sopra i soldi. E a me hanno messo i soldi perché i miei genitori giustamente pensavano che sarebbe stato meglio fare i soldi che non fare la calza. Quel giorno mio padre aveva guadagnato diversi milioni con il suo lavoro, vendendo la sua merce, scarpe e vestiti, e mi misero tutti quei soldi addosso. Entrambi i personaggi del libro, Clara e la narratrice Melissa, hanno avuto questa esperienza. È un’investitura. Ti battezzo col denaro, ti cresco in nome del denaro. E il nostro rapporto familiare, coi miei genitori, è sempre stato regolato dal denaro.

La narratrice si chiama Melissa. Il nome del tuo partner e dei tuoi figli sono veri. Così come, forse, molte altre cose. È autofiction? Narrative non-fiction?
È un libro che non si può definire auto fiction. È una matrioska di narratori. È qualcosa di più complesso. Ma la decisione di mettermi in mezzo con il mio nome, con i nomi delle persone che amo, viene da un esperimento che ho fatto con uno dei miei ultimi libri, quello sull’astrologa Lisa Morpurgo. Lì mi ero sentita a mio agio a giocare con questi specchi, con questo continuo palleggiarsi tra un’esperienza umana e l’altra di due donne diverse. Donne che sono accomunate da qualcosa, si toccano, si sfiorano per un momento e poi come in delle sliding doors, le vite si dipanano in altre forme. E anche qui ho usato quest’espediente, facendo poi quello che ho fatto in ogni mio romanzo: raccontare sempre due donne, molto diverse, due che sono allo stesso tempo una. Un gioco sul doppio, che a volte si sdoppia a volte si unisce. Questo gioco di specchi nella mia vita sta continuando, anche dopo aver scritto il libro.

Avevi avuto molto successo con Cento colpi di spazzola. La narratrice racconta: «Non ero sicura che mi avesse riconosciuto, e chissà se si ricordava di me. I miei libri, adesso, erano meno famosi di un tempo, e mi si vedeva poco in giro, poche apparizioni televisive, qualche articolo di giornale».
Qui si parla anche molto di ambizione. Il mio alter ego nel romanzo, Melissa, non nutre un’ambizione particolare. Ha già avuto molto successo, non ha quella fame di rincorrere qualcosa. L’ha avuto ed è pacificata. È un tema che mi tocca parecchio, per come avevo vissuto quell’esperienza. Clara invece pur avendo molto successo, un successo che in qualche modo pensava di non meritarsi, l’ha vissuto con molta sofferenza. Pur non avendo grandi ambizioni, anche se non sapeva bene cosa volesse fare, chi volesse essere, ha sofferto molto il fallimento. Questo la intrappola in un non luogo da cui non riesce a uscire. Fondamentalmente è una disgraziata.

C’è una questione di genere?
I soldi non possono essere pensati allo stesso modo in mano a un uomo o in mano a una donna. Sostanzialmente perché i soldi in mano a una donna sono sempre stati associati alla prostituzione. Soprattutto se, come le due protagoniste, i soldi che hanno fatto sono in qualche modo legati al sesso. Clara ha avuto successo con un film erotico, Melissa anche lei è venuta fuori con un libro erotico. Pensare soldi = prostituta è un pensiero che non sarebbe venuto se i soldi li avesse fatti un uomo. E anche il modo in cui Clara gestisce il denaro è legato al suo genere. Alle donne non viene data la possibilità di educarsi rispetto ai soldi, non viene data alcun tipo di educazione economica. Perché appunto, le donne nella tradizione devono tenere la matassa di cotone e non il denaro.

Clara viene giudicata e insultata per via dei suoi ruoli erotici nel cinema. Così come era successo a te con il tuo esordio. Oggi con i social sarebbero diversi gli attacchi?Adesso l’odio è più esibito, non è più feroce ma è alla portata di tutti. Prima magari lo sapevo soltanto io che la gente mi odiava. Me lo scrivevano, a volte proprio a mano, o al massimo per mail. Ora l’odio è messo in vetrina, per dimostrare anche quanto sei fico. È fico odiare perché fa di te una persona molto intelligente, molto scaltra perché hai capito dov’è l’inghippo. Non è cambiato l’odio ma è cambiata la forma. Sicuramente quello che non è cambiato è il modo in cui vengo ferita da quell’odio. È vero che se mi odia qualcuno e lo so solo io è un conto, se questa condiziona altre cento persone, finisce che mi becco l’odio di tutti. Oggi non so con Cento colpi cosa sarebbe successo, con i social. Probabilmente sarebbe esploso tutto, sarei esplosa io. Se l’odio già era così forte vent’anni fa, dove al massimo ti insultavano sui giornali o in televisione, figurati adesso.

Ma perché c’era stato così tanto odio per Cento colpi di spazzola?
Primo perché una donna giovane parla di sesso. Non solo, ha successo facendo questa roba qui, e questo non può essere tollerato. Di nuovo, perché fa di te una prostituta. Hai scritto un libro sul sesso e ci sei diventata ricca. È diventato il tuo mestiere. Sei come una prostituta e quindi ti devo insultare perché le prostitute si insultano.

Entrambe, Clara e Melissa passano per la maternità. Ma questo le cambia in modo diverso.
Che ti piaccia o non ti piaccia la maternità è potente, cambia il tuo corpo e il rapporto col tuo corpo, e quindi con tutta la realtà. Così come i soldi anche la maternità è fatta di materia, non è qualcosa di astratto, esiste. Riguarda il corpo e il sangue. Clara nella maternità vede la propria rinascita, una donna privata dell’amore per molto tempo. Non ha più niente a cui aggrapparsi e vede nel figlio la speranza in un futuro fatto di amore. È come se potesse riposarsi. Mentre il mio alter-ego, Melissa, vive la maternità con meno ansia. È una possibilità della sua vita. È un’esperienza umana. Non si dimentica di tutto il resto. Non diventa la sua ragione di vita. Clara è più drastica, vive in maniera più feroce ed estrema.

Nel libro il rapporto con i genitori è regolato dal denaro. I genitori sono dipendenti dai figli.
Quando la ragazza non può più dare denaro alla madre, la madre non vuole più avere a che fare con lei. È un rapporto di nutrimento al contrario. La madre non dà niente. Ma lei ci torna perché è impossibile non tornare da lei. Perché la madre è l’origine e all’origine si vuole sempre tornare. La madre è un porto dove vuole sempre tornare, ma che si rivela sempre più agitato del mare aperto.

I tuoi genitori leggeranno questo libro? L’hanno già letto?
Non lo so e non me lo chiedo, come per tutti i miei libri. Non so mai cos’hanno letto o cos’hanno pensato. Non ne parlo mai con loro, con mia madre non parlo e basta, da anni.

ⓢ «Ti porto i miei estratti conto. Altro che romanzi, è lì che trovi le storie della gente». Però in Italia non ci sono tanti romanzi su questo tema. Basta guardare gli ultimi Strega. Ce ne sono molti di più sul dolore, sulla malattia, su Mussolini… C’è ancora la vergogna di parlare dei soldi, di cui parli nel libro?
Crea tanta vergogna parlare di soldi, è simile a come è sempre stata la vergogna sul sesso, ma il sesso ormai è stato completamente sdoganato. La narrazione sul sesso è alla portata di tutti, non è più un tabù. I soldi continuano a esserlo per tante ragioni diverse. Ti vergogni se ce li hai di famiglia, perché non li hai fatti tu, ti vergogni di avere delle cose acquisite dai tuoi genitori, perché non sono roba tua. Ti vergogni se sei povero, e non vuoi passare per quello che non può permettersi le cose. Ti vergogni meno se li fai tu nel corso della vita, se te li sei guadagnati. Allora in quel caso li ostenti anche. Ma può succedere solo per una generazione, perché poi quella successiva ha i genitori coi soldi e si vergogna. Solo una generazione può non vergognarsi del proprio denaro. E poi i soldi creano vergogna, come il sesso, perché hanno a che fare con la materia. Sono entrambe parole sessuali, sono considerate cose sporche. Non si possono associare soprattutto alle donne, perché riguardano qualcosa di sporco che non possono maneggiare. I soldi sono un tabù che racconta non solo della tua parte vulnerabile, che giustamente non vuoi scoprire, ma parla anche della tua storia. Da dove vieni, dove sei, dove sarai, con chi ti sei legato. Le scelte spesso sono regolate dal denaro, a volte dal cuore, ma meno di quanto si possa pensare. Una volta che hai compreso bene che ruolo hanno i soldi nella tua vita, puoi vivere bene. Ci si chiede sempre: i soldi fanno la felicità? Possono essere una maledizione, possono realizzare i desideri. Ma una volta che il desiderio è realizzato, non sei più felice. A volte è meglio tenersi il desiderio. Con questo non voglio dire che essere poveri sia bello.

A un certo punto c’è proprio la lista dei bonifici, ed è come leggere una storia. Come quando hanno trovato le spese di Emanuela Orlandi in Inghilterra e ti fai il film leggendo solo la lista, ti immagini la sua vita in base alle spese.
La prima cosa che fai quando una persona scompare è vedere i movimenti bancari. Anche quando è scomparsa Giulia Cecchettin – sapevamo probabilmente che fine avesse fatto, poverina – ma anche lì la prima cosa è stato guardare se il ragazzo aveva fatto dei prelievi o speso dei soldi. Il denaro ti dice sempre dove sei. È una mappa. Lo dovremmo fare tutti ogni tanto, dovremmo guardare i nostri conti correnti, non per capire se siamo ricchi o poveri, ma per vedere dove siamo stati. È quella la storia dei soldi. La nostra storia è dove siamo stati e cosa abbiamo fatto. Ti dice chi sei e come vivi.

«E poi eravamo a Roma, e a Roma nessuno è mai veramente qualcuno», dici a un certo punto. È un romanzo romano?
Questa storia non poteva accadere in un’altra città, sicuramente non a Milano. Roma ha questa cosa che ti fa sentire sempre in famiglia anche quando stai lavorando, anche quando firmi i contratti. E quindi non hai mai la sensazione di lavorare veramente. Il lavoro viene visto come qualcosa che non è strettamente legato all’essere pagati. “Tanto siamo in famiglia, a che ti servono i soldi, tanto ti voglio bene”. Come vediamo nella storia di Clara è in famiglia che iniziano i furti, figurati poi nel mondo del lavoro. Roma è tipo Beautiful, ci si conosce tutti. La nostra bolla qui è molto grande, ne fanno parte attori, scrittori…. tanta gente che gravita intorno all’ambiente culturale. E in quanto grande famiglia allargata non ci paghiamo perché ci vogliamo bene.