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Dua Lipa e Callum Turner si sono innamorati grazie a Trust di Hernan Diaz Il premio Pulitzer 2023 è stato l'argomento della prima chiacchierata della loro relazione, ha rivelato la pop star.
In dieci anni una città spagnola ha perso tutte le sue spiagge per colpa della crisi climatica  A Montgat, Barcellona, non ci sono più le spiagge e nemmeno i turisti, un danno di un milione di euro all’anno per l'economia locale.
Ai Grammy dal 2026 si premierà anche l’album con la migliore copertina È una delle tante novità annunciate dalla Record Academy per la cerimonia dell'anno prossimo, che si terrà l'1 febbraio.
Ronja, la prima e unica serie animata dello Studio Ghibli, verrà trasmessa dalla Rai Ispirata dall’omonimo romanzo dell’autrice di Pippi Calzelunghe, è stata diretta dal figlio di Hayao Miyazaki, Goro. 
Ogni volta che scoppia un conflitto con l’Iran, viene preso come ufficiale un account dell’esercito iraniano che però non è ufficiale Si chiama Iran Military, ha più di 600 mila follower ma non ha nulla a che fare con le forze armate iraniane.
L’unico sopravvissuto al disastro aereo in India non ha idea di come sia riuscito a salvarsi Dopo l’impatto, Vishwash Kumar Ramesh ha ripreso i sensi in mezzo alle macerie: i soccorritori l’hanno trovato mentre cercava il fratello.
L’Egitto sta espellendo tutti gli attivisti arrivati al Cairo per unirsi alla Marcia mondiale per Gaza I fermati e gli espulsi sono già più di un centinaio e tra loro ci sono anche diversi italiani.
Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Luciano De Crescenzo e il classico napoletano

Ha creato un nuovo immaginario della napoletanità, citatissimo ma per niente scontato.

19 Luglio 2019

«Indovinate chi abbiamo l’onore e il piacere di avere con noi in studio? Il Fratello di Parascandolo!», «Gli uomini si dividono in uomini d’amore e uomini di libertà», «Si è sempre meridionali di qualcuno», «Ah, e po’ vulevo dì ‘n’ata cosa: ma tutto sommato, nun è che fate na vita ‘e mmerda?», «Professore, permette un pensiero poetico?», «Un muratore del Tremila cosa crederà di aver trovato? Un’opera d’arte o nu’ cess  scassat?», «Come sto? Sembrate Argentina!». E potrei andare avanti ancora a lungo. Sono tutte citazioni di Luciano De Crescenzo che per più di una generazione sono di uso comune, hanno aiutato i ragazzi a parlarsi, a capirsi e a riconoscersi, hanno dato un terreno comune a genitori e figli, quando potevi accendere le tv locali e sperare che, tra un film di Totò e uno di Nino D’Angelo, quel giorno ci fosse anche Bellavista. Sono riuscite a fare una cosa complicatissima, di cui si parla sempre senza riuscire mai a realizzarla: sono riuscite a portare avanti una tradizione nel presente, senza sclerotizzarla o narcotizzarla.

Quei libri e quei film hanno lavorato la Napoli dell’immaginario e ne hanno costruita una nuova. C’erano i soliti caratteri, i personaggi della commedia, le maschere, però c’erano in una versione moderna, nuova e attuale. Felice Sciocciammocca o il professore di Questi Fantasmi, ma in mezzo al traffico, alla crisi dell’Alfasud, e alle scorze di melone buttate da una cafona in mezzo alla strada. Per questo stabilivano un patrimonio condiviso, un limite entro cui muoversi, una comunità di appartenenza, se riconoscevi quelle citazioni avevi la simpatia del tuo interlocutore. Ti facevano stabilire vicinanza e appianavano le differenze. Per questo quando si provava a far entrare qualcuno in quel mondo gli si mostravano i film di De Crescenzo, per permettergli di capire quello che aveva plasmato l’ironia comune e, forse, di capirci meglio, e di farci capire. Come ogni volta che trovi un nuovo o una nuova fidanzata e, come prima cosa, gli fai guardare il tuo film preferito.

Se Napoli conserva ancora un’unicità è proprio quella di saper trasformare in classico ciò che riesce a generare. Totò è un classico, certo, ma anche Troisi è ormai un classico, perfino la sceneggiata di Mario Merola è un classico, lo sono i film di Nino D’Angelo col caschetto, Gomorra, Pino Daniele, i De Filippo e la macchietta napoletana coi doppi sensi. Napoli sa trasformare anche nel brevissimo termine qualcosa in un classico e De Crescenzo è diventato immediatamente uno di questi classici qui. C’era da un anno e sembrava ci fosse da sempre. A ogni visione continuava a dire qualcosa e, così, lo guardavamo a ripetizione. Bellavista stesso era un classico, un ruolo intramontabile, quello del maestro, un carattere che continua a esistere nella vita comune e a cui ancora molti provano a ispirarsi, fanno i Bellavista. Ma erano classici, erano “tipi”, anche Salvatore e Saverio, i suoi buffi discepoli. Tipi che De Crescenzo aveva saputo creare con attente osservazioni, come le signorine arcigne che, però, si spaventavano per il milanese, il poveraccio che voleva sparare i fuochi a tutti i costi, il portiere che non s’alzava mai – una figura mitologica metà uomo e metà sedia – il delinquente che spiegava tutto con le mani nonostante fosse in manette, i piccoli truffatori che incassavano i soldi del pedaggio autostradale durante uno sciopero.

Quando si incontrava De Crescenzo in giro (fin quando è stato bene lo si incontrava spesso anche per strada) dava sempre l’impressione di godersi la vita che si era costruito. Con un’impronta e una capacità davvero da filosofo greco. Con lo spirito epicureo e il riso di un cinico, sembrava saper mettere in pratica quanto spiegava: un disincanto mai rassegnato, un’allegria placida senza le bizze dell’euforia. E la coincidenza tra il suo modo di esporre, tra quanto scriveva o raccontava e come pareva vivere realmente ha sempre creato un rapporto speciale tra lui e il suo pubblico di lettori. Quella corrispondenza tra scritto e vita reale, tra personaggio pubblico e privato è sempre stata la sua cifra. Era socratico prima ancora di mettersi a spiegare Socrate e così, quando l’ha fatto, ha raddoppiato il suo successo. In questo modo, con la sincerità, ha tenuto assieme le sue due grandi passioni. Dopo aver cantato Napoli si è dedicato alla filosofia, prima, e poi ai miti greci, ha venduto milioni di copie in Italia, è diventato cittadino onorario di Atene, e ha venduto molto anche all’estero (Così parlò Bellavista rimase in classifica in Germania per 94 settimane, altro che Heidegger o le pistole sui piatti di spaghetti), e continuo a sospettare che se, ancora oggi, ci sono libri sulla classicità greca in classifica lo devono a lui.

Aveva la rara dote (che in altri napoletani sa essere esasperante) di tenere assieme concetti all’apparenza contraddittori. Sapeva dimostrare che la differenza non sta tra chi ama i fuochi d’artificio e chi li detesta, oppure tra chi ama il Napoli e chi lo detesta, il caffè, l’arte contemporanea, l’ordine. La differenza è solo tra chi è fanatico e chi non lo è. Un fanatico è uguale a un fanatico, anche se la pensano all’opposto su un argomento. Chi sa parlarsi si assomiglia, anche quando non è d’accordo.

Luciano De Crescenzo apparirà presto sui cartoni della pizza – e lo dico con la sua ironia – come se i cartoni della pizza fossero davvero l’Olimpo dell’immortalità, gli uomini che diventano miti, e custodissero la napoletanità, con Totò, Troisi, Maradona, Peppino ed Eduardo. In uno dei suoi film, mentre i protagonisti camminano per strada, la macchina da presa stacca su un necrologio e si legge di un uomo che «si è spento serenamente all’età di 101 anni» e qualcuno, sotto, ha aggiunto a penna «e vulevo vedè ca faceva pure storie!». Di lui non oseranno.

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