Cultura | Personaggi
Louis Garrel, ultimo divo analogico
Giovedì 11 aprile esce nelle sale italiane L’uomo fedele, diretto e interpretato dall'attore francese più "generazionale" di tutti.
Louis Garrel alla 43esima edizione dei Cesar Awards, alla Salle Pleyel di Parigi (2 marzo 2018, foto di Thomas SamsonAfp/Getty Images)
Vincent Cassel, ci ho parlato di recente, mi ha detto: esistono gli attori, e poi esistono gli attori generazionali. Quelli che marcano un’età precisa, cronologica ma più di tutto umana. Lui, sfacciatamente ma giustamente, si è messo tra i secondi. Passa una generazione, cinematograficamente parlando, ed ecco Louis Garrel, volto anch’egli della seconda risma, in più accomunato al collega da altri tratti. Il naso importante, certamente. E i natali nobili, sempre cinematograficamente parlando: là Jean-Pierre Cassel, attore genere charmant; qua Philippe Garrel, anch’egli attore ma soprattutto autore, ancora attivissimo, di titoli venerati dai cinefili. C’è una differenza sostanziale, e guarda caso generazionale. Nell’Odio di Mathieu Kassovitz, il film che l’ha consacrato, Vincent si buttava nelle strade in cui divampava la violenza sociale. In The Dreamers di Bernardo Bertolucci, Louis non scendeva nelle piazze sessantottine ribelli: stava dentro casa a scopare. Ricordo quando lo vidi alla Mostra di Venezia, avevo vent’anni. Quel film parlava, attraverso tre ventenni disengagé del Maggio francese, dei ventenni che disimpegnati lo sarebbero rimasti per sempre, dai primi anni Duemila in avanti. L’alibi, appunto generazionale, era lì pronto: il privato è politico.
Oggi esce nelle sale italiane L’uomo fedele, seconda regia di Louis Garrel dopo l’inedito Les deux amis (2015). È un film che sarebbe piaciuto a François Truffaut, lui sì politico nei suoi racconti sempre privati. È una storia di rimatrimonio, così l’ha definita il suo autore prendendo a prestito la commedia hollywoodiana degli anni ’30 e ’40; ed è una storia molto francese, diciamo noi. Abel (Garrel) viene piantato all’improvviso da Marianne (Laetitia Casta), incinta del migliore amico di lui, Paul; l’amico dopo qualche anno muore, Abel e Marianne si ritrovano al funerale, tornano insieme; di mezzo si mette Ève (Lily-Rose Depp), la sorella di Paul da sempre innamorata di Abel. È dunque anche una storia di fantasmi ma vivissimi, il morto non c’entra nulla coi garbugli di chi resta, con il thriller sentimentale che ci confezioniamo noi mondani per passione, per noia, per solitudine.
L’affronto generazionale di Garrel è girare un film che pare arrivare dal secolo scorso, restando però un uomo del suo tempo. Certo un tempo della bolla, della nicchia, della Francia che non è né macroniana né giletgialla. Di un’intellighenzia simpatica che non scende per le strade ma resta negli appartamenti a fare i conti con la propria irrealtà, e con l’eredità dei suoi padri. Il cinema di Louis è molto simile a quello di papà Philippe, di cui il figlio è stato negli ultimi anni l’interprete principale (recuperate almeno La gelosia, 2013). È anch’esso un cinema politico nel suo essere privato, contemporaneo nel suo rigore classico.
Di Louis Garrel sono perdutamente innamorate moltissime amiche mie. Amici meno. Nonostante la sensibilità assai femminile (è sempre una virtù francese?), resta, almeno lui, un baluardo decisamente etero. Ricevevo screenshot eccitati, l’altra sera quando era ospite di Fabio Fazio, da parte di donne e ragazze ormai disabituate a vedere maschi come lui. Maschi che le seducono ma insieme le comprendono, che le sfidano ma le rispettano. Pure nell’Uomo fedele, il più stupido di tutti è il suo personaggio. Non di certo Marianne, né Ève, che tessono la rete del raggiro erotico come piace e conviene a loro a loro: Abel, semplicemente, ci casca dentro.
Il privato di Louis Garrel è politico, ma pure professionale. I tanti film diretti dal padre, a cominciare dal suo esordio d’attore: Les baisers de secours, trent’anni fa esatti. Mai un titolo americano, incredibile ma vero, fino a quest’anno: a Natale sarà nell’ennesimo remake di Piccole donne, firmato Greta Gerwig. Nessuna critica nemmeno quando pare servita su un piatto d’argento: per Le Redoutable, in italiano Il mio Godard, i giornalisti a Cannes si sono scagliati contro il regista Michel Hazanavicius, quello di The Artist, ma non contro Louis nella parte rischiosissima dell’inventore della Nouvelle Vague, perché pure lì era irresistibile. Tante donne che, dalla vita, passano al cinema, o forse viceversa.
Con l’ormai storica compagna Valeria Bruni Tedeschi ha girato il capolavoro, di lei, Un castello in Italia, naturalmente nella parte del suo fidanzato complicato: è lui che fa quel bellissimo salto nel fermo-immagine finale, segno che c’è ancora futuro, c’è ancora amore. Golshifteh Farahani, iraniana vista in tanti titoli internazionali (il più cult è Paterson di Jim Jarmusch), era nell’opera prima Les deux amis. Laetitia Casta, splendida protagonista dell’Uomo fedele, è la sua sposa dal 2017. Le donne della sua vita stanno al gioco. Nell’ultimo film bello e incompreso di Bruni Tedeschi, I villeggianti, Riccardo Scamarcio ha la parte dell’ex amore di Valeria (sarebbe dunque Louis Garrel?); seduti su una panchina della Costa Azzurra, lei vuole riprovarci, lui per tutta risposta le indica la sua nuova conquista: una modella che posa in lingerie su un manifesto affisso alla fermata del bus (sarebbe dunque Laetitia Casta?).
L’inizio e la fine dunque coincidono: la famiglia. Una famiglia con un padre che non si contesta, anzi: si rifà il suo glorioso percorso. Una famiglia di donne diverse e felici, senza un uomo al comando: l’uomo è al loro servizio. Una famiglia privata e politica, ferma a un’idea di cinema che non esiste più ed esiste ancora, dove non c’è traccia di social network, ci si vede nei caffè per amarsi e per lasciarsi. Louis Garrel è nato nello stesso anno mio. Andiamo per i quaranta, forse perciò vogliamo tornare analogici almeno un po’: culturalmente, socialmente, sentimentalmente. È questa la nostra generazione, è lui il nostro attore.