Stili di vita | Coronavirus

Le coppie del Covid

Quanto possono durare le relazioni nate durante la pandemia?

di Francesco Osculati

Molto si è scritto su come la pandemia abbia plasmato la vita di coppia e le relazioni sentimentali in generale. In principio, dopo la prima ondata, analisti, sociologi e psicologi si sono occupati di  interpretare tassi di divorzi, percentuali di natalità pre e post Covid, di matrimoni registrati, nuovi rogiti e così via. Questa florida parte di studi si basava perlopiù su coppie consolidate ben prima della pandemia, costrette alla condivisione di spazi o separate dalle restrizioni. Con l’imminente inasprimento delle misure di prevenzione e tutte implicazioni annesse molte coppie appena formate hanno però pensato di aver trovato l’amore appena in tempo, hanno sperato in una botta di fortuna. Una ricerca citata dal Times, in un articolo dal titolo profetico “Cosa abbiamo imparato sulle relazioni durante la pandemia”, sostiene come, contrariamente alle aspettative, i single non si siano accontentati «del primo che passava». Nonostante sia difficile stabilire se sia stata la Dea fortuna o solo una considerevole dose di intuito a qualcuno è andata bene. 

Se Airbnb Italia aveva addirittura messo in palio alcuni soggiorni romantici per la notte di San Valentino 2021 per le coppie formatesi durante la pandemia («Se hai trovato il tuo grande amore in questo anno di pandemia, candidati e raccontaci la tua storia. La storia più romantica in ogni regione verrà premiata») bisogna fare un salto indietro di un anno per la storia di Luisa, 30 anni, social media manager. 14 febbraio 2020, Milano, poche settimane prima della quarantena. Saltato un concerto e non rassegnata a passare la famigerata notte degli innamorati da sola L. sfogliando il catalogo geolocalizzato di Tinder conosce una ragazzo con cui riesce a uscire appena tre volte, prima del lockdown. «Durante la prima settimana andavo a casa sua facendo finta di correre o con paio di sacchetti della spesa, nonostante il rischio della multa, la voglia di vederci era troppa e in 10 minuti a piedi ero con lui», mi racconta. «Dopo una settimana gli ho chiesto di poter andare a vivere da lui, senza troppi giri di parole». Dopo un po’ di incertezze prende una valigia e si trasferisce nel monolocale («La sfida è stata anche quella, 30 metri quadrati sono pochi», aggiunge) del ragazzo conosciuto la notte di San Valentino e ci resta fino a primavera inoltrata, fino alla fine della prima ondata, quando tornare a vivere nelle rispettive case sembrava un passo indietro. «Ho avuto un solo momento di dubbio, una sera – mi confida – credevo stessimo correndo troppo, temevo di perdere quei bei primi appuntamenti e i primi baci sotto casa – mi dice- ma alla fine ho pensato: tutti questi mesi chiusi qui sono una buona base per una relazione importante». Un cambio d’indirizzo e un anno e mezzo dopo stanno ancora insieme. 

È indubbio che la situazione surreale abbia alterato le fasi che portano alla costruzione di una relazione, come ha notato Kate Mooney, giornalista freelance newyorkese del Nyt, di Vox, che ha lungamente analizzato sulle pagine di Gq il fenomeno.  «Normalmente, le nuove relazioni seguono un certo insieme di pietre miliari prevedibili: primo appuntamento, primo bacio, primo sesso. Questo percorso porta a una cosa: il discorso con cui si definisce la relazione. Il discorso che determina se tutto ciò che è al di fuori del sesso – e, implicitamente, il sesso  stesso- sia abbastanza buono per andare avanti. Ma il Coronavirus, ancora una volta, sta rovinando l’ordine naturale delle cose.» C’è quindi chi si è fidato dell’istinto e chi ha preso decisioni repentine per questioni emotive o burocratiche. Mi sentirò solo in quarantena? Fino a quando non potrò uscire con qualcuno? Per quanto non potrò fare sesso? Posso permettermi l’affitto del mio appartamento ora che la mia coinquilina è tornata dai suoi? Maria, 27 anni, romana a Bologna, sentendosi sola ha iniziato a frequentare un compagno di corso di un master, casualmente appena trasferitosi a pochi centinaia di metri dal suo appartamento. «Anche solo cenare con qualcuno sembrava un sogno e nonostante non fossimo molto in confidenza l’ho invitato a cena. Dopo qualche sera ho sentito un’attrazione a cui non sapevo dare un nome, proprio come la strana relazione che è nata poco dopo: non avevo idea se fosse la situazione assurda che vivevo o se questo ragazzo mi piacesse davvero», mi confida. Dopo mesi di titubanze e l’allentamento delle misure M. mi racconta che contro tutte le aspettative la quarantena, e le lunghe ore passate a casa, le ha dato modo di frequentare una persona che non avrebbe forse notato altrove, e in una modalità che per quanto singolare le ha permesso di sperimentare un approccio nuovo, più disteso. «Ci ho messo un po’ a capirlo, ma senza prevederlo ho una relazione in cui sono felice, e quando abbiamo potuto riprendere a vivere i miei dubbi sono scomparsi, l’dea che mi ero fatta su di lui in pochi metri quadrati sono state confermate». 

La questione si complica parlando invece di coppie formatesi tra un’ondata e l’altra, che hanno quindi condiviso un secondo lockdown più morbido, senza l’effetto totalizzante ed estraniante della quarantena originariamente intesa. Coppie nate sotto il segno del coprifuoco e dei cinema chiusi, delle cene a lume di candela in cucina e lunghi film sul divano. Le coppie degli spostamenti più o meno legali utilizzando domicili e residenze a piacimento, per intenderci. Quanto abbia pesato, e continui a farlo, la pressione del virus sulla vita relazionale è impossibile da calcolare, ma è probabile che nelle relazioni amorose le persone abbiano, in alcuni casi, ragionato in maniera diversa, meno lucida. Quello che per molti è stato un idillio, un dono dal cielo, per qualcuno si è trasformato in quello che Kate Mooney chiama «un effetto hangover dall’acceleramento della timeline della relazione»: bere l’ennesimo drink sembra un’idea geniale alle due di notte, il mattino dopo non la pensi allo stesso modo, la relazione che a marzo 2021 ti sembrava perfetta, qualche mese dopo non lo sembra più.  

Riaperte le gabbie con le temperature in rialzo, moltiplicati gli impegni all’aria aperta, organizzati festeggiamenti a lungo rimandati, molte coppie si sono rese conto che c’era un mondo al di fuori della propria relazione,  un mondo che a qualcuno piaceva più del microcosmo amoroso creato in tempo di guerra. A riprova di come le teorie della sbornia amorosa siano fondate, e ben radicate, c’è la storia di Vittorio, medico 35enne, milanese che ha vissuto a Torino per qualche anno.

«Lo conoscevo da tempo, in realtà ci eravamo già frequentati anni prima. Poi a febbraio, mi ha invitato a casa sua, non lontano da casa dei miei, per un bicchiere di vino e qualche settimana dopo parlavamo di vacanze estive, insieme». La relazione di Vittorio è finita da poche settimane, in maniera brusca, un disincanto rapido. «All’inizio era romantico passare weekend chiusi in casa, fare molto sesso e mangiare a letto, essere sempre in due. Era eccitante trovare sotterfugi per incastrare i rispettivi impegni di lavoro e il coprifuoco, mi sono però reso conto che avevamo corso troppo durante l’estate, dopo sei mesi che stavamo insieme». V. e il suo compagno abitavano in città diverse, motivo per il quale la routine aveva come perno l’appartamento del suo compagno. «Trasferitomi nuovamente a Milano ho capito che la storia reggeva proprio perché eravamo lontani, nonostante ci vedessimo tutti i fine settimana, e che entrambi avevamo preso un abbaglio, non eravamo chi credevamo, non avevamo gli stessi obbiettivi, non intendevamo le relazioni nella stessa maniera».

Imparare a conoscere qualcuno al di fuori delle mura di casa o in occasioni che non siano un tête-à-tête può avere implicazioni complicate. Se le relazioni hanno un lato privato e uno pubblico, molte coppie che si sono incontrate durante la pandemia stanno appena iniziando a cimentarsi con la parte pubblica e qualcuno paradossalmente, e per quanto sia assurdo, rimpiange il tepore amoroso della quarantena, dove tutto sembrava vero.