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17:04 martedì 9 dicembre 2025
David Byrne ha fatto una playlist di Natale per chi odia le canzoni di Natale Canzoni tristi, canzoni in spagnolo, canzoni su quanto il Natale sia noioso o deprimente: David Byrne in versione Grinch musicale.
Per impedire a Netflix di acquisire Warner Bros., Paramount ha chiesto aiuto ad Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi e pure al genero di Trump Lo studio avrebbe chiesto aiuto a tutti, dal governo USA ai Paesi del Golfo, per lanciare la sua controfferta da 108 miliardi di dollari.
Sempre più persone si uniscono agli scream club, cioè dei gruppi in cui invece di andare dallo psicologo ci si mette a urlare in pubblico Nati negli Stati Uniti e arrivati adesso anche in Europa, a quanto pare sono un efficace (e soprattutto gratuito) strumento di gestione dello stress.
Dopo il furto dei gioielli, ora il Louvre è nei guai a causa delle infiltrazioni di acqua e degli scioperi dei dipendenti Le infiltrazioni hanno danneggiato 400 documenti della biblioteca del Dipartimento delle antichità egizie, confermando i problemi che hanno portato i lavoratori allo sciopero.
Le cose più interessanti dei Golden Globe 2026 sono The Rock, i film d’animazione e i podcast Più delle candidature per film e serie tv, queste categorie raccontano come sta cambiando l’industria dell'intrattenimento oggi.
Quentin Tarantino ha detto che Paul Dano è un attore scarso e i colleghi di Paul Dano hanno detto che Quentin Tarantino farebbe meglio a starsene zitto Tarantino lo ha accusato di aver “rovinato” Il petroliere, definendolo «un tipo debole e poco interessante».
Già quattro Paesi hanno annunciato il boicottaggio dell’Eurovision 2026 dopo la conferma della partecipazione di Israele Spagna, Paesi Bassi, Irlanda e Slovenia hanno annunciato la loro intenzione di boicottare questa edizione se davvero a Israele verrà permesso di partecipare.
Pantone è stata accusata di sostenere il suprematismo bianco perché ha scelto per la prima volta il bianco come colore dell’anno L'azienda ha spiegato che dietro la scelta non c'è nessuna intenzione politica né sociale, ma ormai è troppo tardi, la polemica è esplosa.

La Primavera che non c’è

La Turchia non è l'Egitto (ma neppure la Svezia). Tre frasi per capire piazza Taksim, oltre le dicotomie destra/sinistra e dittatura/democrazia.

04 Giugno 2013

Piazza Taksim, il centro nevralgico della Istanbul moderna e cuore pulsante della Turchia laica e “occidentale”, da giorni è in rivolta contro il governo del primo ministro Recep Tayyip Erdoğan, leader del partito di ispirazione islamica AKP, in carica dal 2002. A poche ore dall’inizio dell’insurrezione, l’hashtag #occupyGezi (dal nome del piccolo parco che, in procinto di essere riconvertito in centro commerciale, ha fatto da innesco alla rivolta) inondava i trending topic internazionali. Il bilancio è di almeno due morti e centinaia di feriti.

Per capire qualcosa in più sulle ragioni e la natura delle proteste, e sul perché il “modello turco” sembri improvvisamente in crisi, abbiamo raccolto qualche citazione autorevole:

«La Turchia non è governata da Mubarak. Ma non è nemmeno la Svezia»

In Turchia non c’è nessuna dittatura, ribadisce la blogger turca Zeynep Tufekci, membro del Centre for IT Policy dell’università di Princeton. Certo, c’è un establishment sempre più marcatamente autoritario, insofferente alle libertà individuali e, in secondo luogo, anche più islamista. Per dirne una: recentemente le istituzioni hanno posto severe limitazioni al consumo di alcol in pubblico, e questa è una delle cose che hanno probabilmente contribuito ad esacerbare il malcontento. Ma resta il fatto che, a differenza dell’Egitto di Mubarak, la Turchia di Erdogan è governata da un esecutivo democraticamente eletto. Nessuna Primavera sulla falsariga del Cairo nel 2011, insomma. Anche se – fa notare la blogger – qualche similitudine tra le proteste delle due piazze, Taksim e Tahrir, c’è, a cominciare dalla trasversalità di partecipazione: negli scontri con la polizia, per la prima volta nella storia recente turca, stanno intervenendo nazionalisti, ambientalisti, laici e anti-capitalisti, uniti nello scandire slogan contro il governo.

«I socialisti vogliono che Taksim sia anti-capitalista. I laici vogliono che sia anti-islamista».

Questo tweet di Iyad El-Baghdadi, attivista della Primavera araba noto soprattutto per il suo “Manuale del tiranno arabo“, sintetizza la particolarità del caso turco: Erdogan è contemporaneamente simbolo dell'”islamizzazione” e della crescita economica, tutta capitalista, della Turchia.

Dopo un periodo in mano al CHP, partito nazionalista che fu di Mustafa Kemal (meglio conosciuto come Atatürk, il Padre fondatore dello Stato turco), dal 2002 la Turchia è governata dall’AKP, il partito del premier, una formazione spesso indicata come islamica moderata. Erdogan – dopo una fase iniziale che, sospinta da crescite economiche da boom e percentuali di consenso bulgare, aveva attirato lodi sperticate e la definizione di ‘modello turco’ come esempio di Islam riformista – negli ultimi tempi ha adottato politiche autoritarie nei confronti di giornalisti (un anno fa il Guardian denunciava che la Turchia è il paese con più reporter dietro le sbarre), comunità locali (con progetti di costruzione di impatto ambientale opinabile, vedi alla voce “terzo ponte sul Bosforo a Istanbul”) e persino consumatori di alcol e coppie prodighe di effusioni (nella metropolitana di Ankara a maggio due ragazzi sono stati invitati a tenere atteggiamenti “morali”).

Il risultato è che tutte le persone preoccupate da questi provvedimenti oggi si ritrovano nella cornice chiassosa di piazza Taksim, richiamate dal megafono dei social media e dal timore che – mentre si discute una riforma costituzionale presidenzialista che potrebbe aumentare i poteri di Erdogan – la leadership inasprisca il suo pugno di ferro repressivo.

«Il quadro è più complesso di quanto la contrapposizione laici/islamisti possa far credere».

Come scrive Massimo Rosati dell’Università Tor Vergata, in Turchia le dicotomie tradizionali destra/sinistra e democrazia/autoritarismo non tengono. I laici stanno con l’esercito, il partito di centro-sinistra (CHP) è anche la casa dei nazionalisti più intransigenti, quelli che vedono l’islamismo come una minaccia all’unità nazionale. Il CHP però è da anni una formazione in declino, chiusa tra un’opposizione sterile e inconcludente e un calo netto nei consensi alle ultime tornate elettorali.

I liberali, inoltre, avevano iniziato a dare fiducia a Erdogan, fautore di alcune liberalizzazioni che hanno contribuito a creare la congiuntura economica più felice della storia turca. Anche perché, da ex sindaco di Istanbul che nel 1998 era finito in prigione per un reato politico (avendo declamato pubblicamente una poesia di contenuto religioso), Erdogan si era presentato come l’homo novus, lontano dalla corruzione dell’apparato politico-militare che dominava il Paese. Ora, però, se c’è una cosa che questi disordini hanno messo in chiaro è che l’alleanza tra i liberali e l’AKP è saltata. Perché, agli occhi dei progressisti, Erdogan si è rivelato una piena espressione del sistema (semi)autocratico che volevano combattere. Come quei figli che promettono che non assomiglieranno mai ai padri e poi un giorno, all’improvviso, si scoprono uguali a loro.
 

La foto è tratta da occupygezipics.tumblr.com

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