Cultura | Personaggi

Chi era veramente Kenneth Anger

Vita, morte e carriera del Lucifero del cinema americano, leggenda della cultura underground, autore di alcuni dei film più tormentati e indecifrabili nella storia della Settima Arte.

di Gabriele Sassone

Dopo la morte, avvenuta l’11 maggio ma annunciata soltanto due settimane più tardi, gli aggettivi che si rincorono nel commemorare Kenneth Anger sono “trasgressivo” e “scandaloso”. È vero, nei suoi film spiccano soprattutto i riferimenti sessuali ed esoterici, quelli alle sostanze proibite, ma è altrettanto vero che tali aggettivi rischiano di stilizzare, di appiattire, una riflessione sulla condizione esistenziale molto più profonda. Dal mio punto di vista, Anger è stato uno fra gli artisti che meglio ha descritto le ambiguità umane, le conciliazioni degli opposti. Su tutte, quella fra il bene e il male. Fra la carne e lo spirito. Lo dimostrano già i primi minuti del suo capolavoro, un film tormentatissimo, Lucifer Rising (1970-81). Mentre sullo schermo spuntano i nomi del regista e di Bobby Beausoleil, brillante autore della colonna sonora e pluriomicida al contempo, un soffio di vento sfuma in una sinfonia distorta, dalla quale scaturisce, in modo sinistro, un riff di chitarra elettrica. Dunque, appare un’eruzione vulcanica. È quasi notte e il magma schizza con una potenza maestosa: il mondo, in via di costituzione, si prepara alla venuta di Lucifero. La simbologia è complessa, guarda all’antico Egitto e all’occultismo d’inizio Novecento, e restituisce l’immagine di un dio attraente, traboccante d’amore, che ispira la trasformazione delle cose.

Per Anger (tant’è che si è tatuato il nome sul petto), Lucifero è una sorta di angelo custode, di voce interiore, il principale contestatore di ogni ordine prestabilito. Ovviamente un simile approccio rende il regista statunitense una super leggenda nella cultura underground, anche se non mancano numerosi estimatori fra gli esponenti più noti della musica e del cinema mainstream. Tuttavia fermarsi all’aspetto provocatorio, non soltanto di Lucifer Rising bensì di altri film eccellenti come Fireworks (1947), Inauguration of the Pleasure Dome (1954-66), Scorpio Rising (1963) e Invocation of My Demon Brother (1969), significa ridurre il portato filosofico di una mente geniale e asistematica. Che non ama i dialoghi, non li inserisce mai, e lascia che le immagini e i suoni si sovrappongano secondo il principio del sogno.

Nel 2009 ho avuto la fortuna di visitare la retrospettiva dedicata al regista dal MoMA PS1 di New York. Formidabile: tanti schermi accesi, in simultanea, nel buio dello spazio espositivo. So che può sembrare assurdo, ma l’impressione, ancora vivida oggi, era di attraversare una dimensione ignota e familiare; una dimensione che mi aiutava a ricordare qualcosa di mai vissuto prima. Pur non essendo progettati con una trama vera e propria, tantomeno con una struttura narrativa tradizionale, i film di Anger (soprattutto se visti tramite uno schermo cinematografico) nascono per evocare un campionario di sensazioni difficili da gestire, di reciproca attrazione e repulsione. Anzi, per essere più coerente con le dichiarazioni del loro autore, posso affermare che questi film nascono con lo scopo di produrre effetti concreti sulla realtà, al pari di “armi magiche”. Si tratta di un’interazione non verbale, magica per l’appunto, che Anger apprende in occasione degli studi ossessivi sulla figura di Aleister Crowley (1875-1947), ingiustamente considerato il fondatore del satanismo contemporaneo. Di fatto Crowley, poeta e occultista, nonché esperto scalatore, propone nel suo The Book of the Law, un libro scritto nel 1904 sotto la dettatura di Aiwass, una sorta di divinità egizia, almeno due concetti essenziali per capire la filmografia di Anger. Il primo, forse il più determinante, è: «Fai ciò che vuoi», e cioè vivi secondo la tua natura; cerca di capire chi sei veramente. Il secondo, altrettanto determinante, è: «Ogni uomo e ogni donna è una stella», e cioè ognuno di noi è un essere unico nella molteplicità; è un’entità libera e preziosa. Purtroppo per Crowley questi e altri enunciati, tesi all’amore e alla liberazione dell’individuo, sono stati eclissati dalle accuse di adorare il demonio, di compiere sacrifici umani, e via dicendo.

Un destino per certi versi analogo a quello degli enunciati di Anger che, nonostante siano tesi a principi emancipativi, in particolare rispetto all’omosessualità, sono stati relegati nell’ambito della trasgressione e dello scandalo. Al massimo, della denuncia. La ragione principale, forse, sta nelle pagine del clamoroso best-seller che Anger pubblica in francese nel 1959 e in inglese quindici anni dopo. Hollywood Babilonia non è soltanto un libro che mostra i capricci e le miserie morali dello star system dell’epoca, piuttosto, come opportunamente sostiene Bill Landis, autore della biografia non ufficiale di Anger, scritta 1995, «Hollywood Babilonia è un festival di putrefazione e decadenza». Sono d’accordo. Infatti, sin dai primi paragrafi, Anger racconta che nel 1916 lo stesso Crowley visita gli studios hollywoodiani e conclude che «i cinematografari sono una banda di maniaci sessuali pazzi di droga».

È arduo stabilire se questa definizione sia un insulto o un complimento, giacché per Crowley le sostanze stupefacenti e il sesso, praticato in coppia o in gruppo, rappresentano il mezzo privilegiato per «mettere a fuoco la mente», per sostenere le pratiche magiche. Comunque sia, gli agganci ripetuti con l’occultista inglese (che, nelle scene finali di Lucifer Rising appare in un ritratto appeso al muro) spiegano una caratteristica unica del cinema di Anger: l’ostinazione nell’immaginare i corpi, nel costruirli con lo sguardo; nell’innalzarli a tempio dove gli opposti trovano una conciliazione. In una carriera lunga quasi nove decenni (Anger nasce nel 1927 e gira il suo primo film a 14 anni), questa sapienza muta e amorevole, la sapienza di posizionarsi fra il bene e il male, fra la carne e lo spirito, in parte è stata fraintesa, in parte messa ai margini, e in parte celebrata. Del resto, Anger ne è sempre stato consapevole: «Se sei un membro dei media, appartieni al pubblico. Hai fatto quel patto faustiano. Allora prendetemi, prendetemi tutto, sono vostro».