Cultura | Personaggi

Del porno non abbiamo ancora capito niente

Come la pornografia è cambiata in questi anni, come ha cambiato le fantasie e abitudini di chi la guarda, come si è trasformata da liberazione sessuale a problema sociale: ne abbiamo parlato con Jessica Stoya, ex attrice, ora regista e studiosa del fenomeno.

di Federico Sardo

Sex sells, lo sappiamo da sempre. E infatti periodicamente escono lavori, reportage, articoli, libri, documentari che ci svelano il “lato oscuro” della pornografia. L’ultimo in ordine di tempo, in Italia, è stato il libro Non fatevi fottere di Lilli Gruber (Rizzoli, 2024) che, sia per tutti questi motivi che per la notorietà della sua autrice, non ha mancato di attirare ancora una volta l’attenzione di tanti sulle problematiche del mondo del porno. Il libro, va detto, ha posizioni molto più sfumate e approfondite di quanto la comunicazione intorno a esso suggerisca, soprattutto grazie al vasto numero di voci citate. Abbiamo deciso però di interpellare su tanti dei temi sollevati, una persona che il mondo del porno l’ha vissuto da protagonista della produzione americana negli anni tra il 2006 e il 2019 (successivamente, fino a poco tempo fa, ha concentrato la sua attività di creator soprattutto sulla realizzazione di photoshoot erotici su OnlyFans). Jessica Stoya ha vinto numerosi premi, lavorato con i più grandi attori e le più grandi case di produzione, ma ha fatto anche molto altro. Nerd, appassionata di arte e filosofia, da tutta la vita riflette sui temi che riguardano la sessualità e il porno e ne ha scritto per il New York Times, il Guardian, Vice e molte altre testate, ha contribuito a un podcast del Financial Times (Hot Money, fonte spesso citata da Gruber), e nel 2018 ha pubblicato il libro Philosophy, pussycats and porn. Il suo ultimo lavoro è la regia di un corto intitolato Dick for a day per la produzione di Erika Lust. Dal 2019 tiene una rubrica bisettimanale di consigli su sesso e relazioni per Slate, e attualmente lavora come relationship coach per Best Self Psych.

Cominciamo con una delle questioni più dibattute: l’accesso dei minori al porno. Pensi che si possa fare qualcosa a riguardo? Sarebbe possibile, o una buona soluzione, bandire tutto il materiale gratuito da internet?
Penso sia una domanda difficile se parliamo solo degli Stati Uniti, di meno nel resto del mondo. Se parliamo solo dell’Occidente, la nostra generazione è cresciuta con l’accesso a una quantità limitata di pornografia e con ancora meno educazione sessuale. La Gen Z è cresciuta e sta crescendo con accesso a qualsiasi tipo di video immaginabile e un piccolo quantitativo di educazione sessuale – ma, grazie a internet e supponendo che siano in grado di trovarla, comunque più di quella che abbiamo avuto noi. La discussione di tematiche specifiche come il consenso, per esempio, è semplicemente più matura e approfondita nelle sue sfumature di quando siamo cresciuti noi. Penso ci sia bisogno di un’educazione sessuale sex positive più accessibile, e accessibile prima dei video di intrattenimento per adulti. I contenuti gratuiti online sono un problema per varie ragioni. Al di là dei discorsi sulla proprietà intellettuale, e sul furto, tenere il porno lontano dagli occhi dei bambini potrebbe essere un’ottima ragione per limitare quel tipo di distribuzione. Però esistono le Vpn, e ci saranno sempre nazioni che saranno disponibili a ospitare server di pornografia gratuita. Non c’è modo di bandire interamente il porno gratuito da internet, dal momento che internet è una rete internazionale. I genitori però potrebbero attivare le restrizioni sui contenuti sui device che fanno utilizzare ai loro figli. Sono strumenti molto utili che, secondo una ricerca di Pew, venivano utilizzati solo dal 38 per cento dei genitori nel 2016, dal 46 per cento nel 2023 secondo TechJury. C’è una crescita, ma non siamo neanche lontanamente vicini a dove dovrebbe essere per diventare consuetudine. The Porn Conversation di Erika Lust aiuta i genitori e in generale le figure di autorità a portare avanti conversazioni su che cos’è il porno e che cosa comporta. Una cosa importante che i genitori possono fare è spiegare ai figli che cos’è il porno e per chi è: film sul sesso per adulti oltre i 18 o i 21 anni, nella maggior parte dei casi. Il porno, abbastanza per sua natura, non può fungere da educazione sessuale più di quanto i film d’azione non possano fungere da lezioni di autodifesa o di guida. Quindi si tratta di costruire un’educazione sessuale più realistica e adatta all’età, e renderla più facile da trovare di quanto non siano i video porno.

Un’altra questione che viene spesso sollevata è quella del mostrare atti disturbanti, per esempio si parla molto di incest porn. Ma non è un caso in cui il porno segue i trend della società? Penso che questo nasca dal fatto che ora ci sono molte più coppie divorziate che non decenni fa, e quindi molti più fratellastri, sorellastre, matrigne a scatenare fantasie. Questo si ricollega all’eterna questione: sono i media a dare forma al desiderio o il contrario?
Penso tu abbia ragione rispetto alle radici di quello che chiamano incest porn, che pure spesso mostra interazioni sessuali tra fratellastri o parenti acquisiti, e una crescita nel numero di persone che hanno famiglie allargate. Penso che per quanto riguarda quell’eterna questione sarebbe più utile pensare meno in termini di cosa arriva prima quanto a un circolo vizioso in cui i desideri e i media agiscono uno sull’altro. I media sono, in senso allargato, le fondamenta della storia di cui abbiamo testimonianza, quindi non possiamo sapere come fosse il desiderio prima dei media, ma possiamo vedere che anche nei primi testi o scritte di cui siamo a conoscenza c’è traccia di azioni o relazioni che troviamo ancora sordide o scandalose perfino oggi. Cleopatra era sposata con più di un fratello, gli antichi greci incoraggiavano il sesso come parte delle relazioni tra uomini e discepoli, e alcune divinità romane venivano celebrate con orge. Credo che parte del problema sia che la tecnologia progredisce così velocemente che non abbiamo avuto la possibilità di creare norme culturali adeguate al nostro presente. Quando riusciamo a pensare a come gestire un’innovazione, ce ne sono già altre due nuove. Per esempio, ci si chiede se guardare porno da soli sia infedeltà: come società non abbiamo praticamente neanche cominciato a pensarci per bene nel contesto di una persona che noleggia un dvd in un negozio, che già le webcam e lo streaming avevano aperto un’altra autostrada, molto più interattiva, per la masturbazione solitaria. La percezione collettiva delle relazioni intime sta assolutamente cambiando. Sento di ragazzi giovani che cominciano a prendere farmaci per la disfunzione erettile già dalla prima volta che fanno sesso, di ragazzini che chiedono in classe ai loro insegnanti del soffocamento, sento persone a malapena adulte chiedermi come soffocare in sicurezza (non c’è modo di soffocare in sicurezza, ma supporto il diritto degli adulti che lo sanno di soffocarsi lo stesso, se sanno quali possono essere i rischi).

Il porno, per sua natura, non può fungere da educazione sessuale più di quanto i film d’azione non possano fungere da lezioni di autodifesa o di guida

Come mai il porno è diventato più violento con il passare degli anni? È per via della natura umana e dei suoi desideri, per via del mercato, perché una progressiva assuefazione porta a dover alzare sempre di più l’asticella?
Non sono sicura che AnalVids e simili siano particolarmente più violenti che, per dire, le JM Productions o Max Hardcore degli anni Novanta e dei primi Duemila. Penso però che sia diventato più violento il porno che ci viene immediatamente presentato, e sospetto che questo abbia a che fare con i tube site. Per quanto vada comunque menzionata la riluttanza a fornire i dati della propria carta di credito per questioni di sicurezza, il porno rubato attira un certo tipo di consumatore: quello a cui non interessa molto se i produttori o le persone in video sono in grado di pagare le bollette. Quelle persone è più probabile che tollerino un certo quantitativo di misoginia, o che specificamente selezionino i video più aggressivi, e i tube site cominciano a indirizzarsi verso quelle preferenze. Un’intera generazione accede al porno attraverso questi canali e ne ottiene una forte impressione di cosa sia il porno e cosa sia il sesso. Le loro richieste dettano quello che il mercato mainstream produce. È un circolo vizioso orribile. Allo stesso tempo, i produttori di lavori incentrati sull’etica e sul consenso (noti come pornografia femminista, pornografia etica, o simili) sono cresciuti e sbocciati, ma non se ne parla quanto del materiale molto aggressivo, forse perché è difficile condannare un’industria tenendo però anche conto del lavoro progressista che produce. Quindi, cercate Erika Lust, Pink Label o Femme Productions.

Le critiche spesso riguardano il “donne che mettono in pratica atti sessuali che non hanno nulla a che fare con il loro piacere o la loro emancipazione”, e l’essere oggetti sessuali. Ma per esempio credo che nella tua carriera (e nella tua vita) tu sia sempre stata un soggetto attivo, con un buon grado di controllo sulle cose e che ci sia dell’arroganza nel decidere per altre persone che cosa sia o non sia piacevole o emancipatorio.
È estremamente condiscendente dire alle donne cosa a loro non piace, o spiegare a quelle stesse donne che un certo atto da loro praticato è inerentemente umiliante. Ci sono donne nel mondo a cui piace essere esibizioniste, a cui piace il sesso molto estremo, o le dinamiche di potere estreme. Che sia il loro modo di affrontare il patriarcato o meno è qualcosa di cui possiamo discutere, ma penso che ognuno debba poter elaborare il mondo in cui viviamo come preferisce. Spesso questo tipo di retorica viene da donne le cui interazioni con la realtà del capitalismo mi costringono a essere diffidente. Il piacere e l’emancipazione sono ideali stupendi, ma queste analisi non sembrano mai tenere conto del fatto che la vita in posti come gli Stati Uniti è estremamente costosa. La copertura sanitaria pubblica è solo per chi sta sotto una certa soglia. I servizi sanitari senza quel tipo di copertura sono notoriamente costosissimi. L’emancipazione è una grande cosa, ma pagare le bollette è una pressante e immediata necessità. E in quale altra professione pretenderemmo che i lavoratori difendessero, o addirittura articolassero, il livello di gradimento e piacere che trovano nel loro lavoro?

Un altro grande tema è il parlare sempre di performer che vengono da storie di abuso, o che vivono traumi terribili durante la loro carriera. Certo è vero che molte tristi vicende anche recenti non aiutano a cambiare questo tipo di idee. Cosa ne pensa qualcuno che ha vissuto in quell’industria per molti anni, incontrandone un sacco di esponenti? Siamo ancora molto distanti dalla possibilità di un’industria in cui predominino le esperienze positive per quanto riguarda il rapporto tra vita e lavoro?
Siamo ancora molto distanti dalla possibilità di un mondo in cui predominino le esperienze positive per quanto riguarda il rapporto tra vita e lavoro. Un’infinità di persone ha esperienze terribili nell’infanzia e va a fare lavori che non c’entrano con il sesso. Un’infinità di persone vengono molestate sul lavoro, limiti vengono continuamente superati, e abbiamo dovuto aspettare fino alla fine degli anni Dieci perché si cominciasse a discutere di queste cose. Quando parli delle tristi notizie recenti credo ti riferisca ai casi di overdose degli ultimi anni: la situazione dell’uso ricreativo di droghe negli Stati Uniti è talmente fuori controllo che ho perfino sentito di gente morta per via di erba che non sapevano fosse tagliata con il fentanyl. È un problema enormemente più grande di quanto possa riguardare i lavoratori dell’industria del porno, e considerando quanto è grave l’epidemia di oppiacei negli Stati Uniti in realtà sono sinceramente sorpresa che non stiamo vedendo anche un maggior numero di casi del genere all’interno del settore.

L’emancipazione è una grande cosa, ma pagare le bollette è una pressante e immediata necessità. E in quale altra professione pretenderemmo che i lavoratori difendessero, o addirittura articolassero, il livello di gradimento e piacere che trovano nel loro lavoro?

Mi ricordo che una volta hai detto che avresti potuto riconsiderare la tua scelta professionale se non fossi stata messa in guardia con discorsi tipo “che cosa penserà la gente”, ma invece ti avessero avvisata di problemi più quotidiani, tipo quanto è difficile aprire un conto in banca per una persona che lavora nell’intrattenimento per adulti.
Sì, i problemi con le banche sono una bella rottura. È brutto doversi preoccupare che l’account PayPal di un amico potrebbe essere segnalato perché gli hai mandato un paio di dollari per dividersi una pizza. Chiedersi se Airbnb scoprirà cosa fai per vivere e decida di bannarti è un altro effetto collaterale spiacevole. Potremmo fare un lavoro migliore nel sottolineare che cosa significa realmente lo stigma ai danni dei potenziali performer, prima che questi decidano di diventare tali. Per i giovani lo stigma tende a riassumersi in “qualcuno potrebbe pensare male di me”, il che 1) è in contrasto con la regola di comune buonsenso che prevede di essere se stessi e di non preoccuparsi di quello che pensa la gente, 2) non specifica che quel qualcuno diventa un problema solo nel caso in cui si tratti del dirigente di un ente bancario.

L’ultima grande rivoluzione è quella di OnlyFans e simili, e sembra essere un’ottima soluzione a molti dei problemi che i performer rischiano di incontrare nel corso della loro carriera. Lo è davvero? E le sue criticità sono poi tutto sommato simili a quelle di ogni altro lavoro in una società capitalista, o c’è del vero nella critica ricorrente che a renderlo molto diverso sarebbe il fatto di essere più legato alla sfera dell’intimità?
Il lavoro sui fan-site e la scrittura freelance, entrambe cose che ho praticato a lungo, sono molto simili una volta che allontani un attimo lo sguardo e metti da parte il vistoso dettaglio della sessualità. C’è la burocrazia. C’è l’autopromozione. C’è la presenza sui social media. C’è la pubblicità. C’è la ricerca di collaboratori (coprotagonisti o editori). E ci sono un sacco di mail e messaggi a cui rispondere che non si convertono direttamente in guadagni. Non sono molto d’accordo con quest’idea che sia l’unico lavoro legato all’intimità, lo è come molti altri. Lo è la psicanalisi, lo sono i massaggi, lavorare in un bar, fare l’influencer. Sono tutte attività con vari gradi di intimità, a volte profondissima, e anche lavori. Però difficilmente ci si chiede se in quei casi si tratti di vera intimità o “soltanto” di lavoro. E sì, penso che alla fine ogni performer o content creator potrebbe dare una risposta diversa a seconda delle proprie esperienze e del proprio rapporto con il lavoro.

Cercando di chiudere su una nota positiva: viviamo immersi nella tecnologia, i corpi con la loro carne e i loro desideri possono essere considerati un ultimo atto di resistenza alla sterilizzazione della società e dei rapporti interpersonali? E in questo senso il porno può essere dalla parte giusta di una rivoluzione?
Penso che il porno possa assolutamente aiutare gli adulti a esplorare la loro sessualità, ad aprire una finestra verso le fantasie degli altri, e a fornire intrattenimento. Penso anche che altre misure, come l’educazione per i minori, e per tutti una maggiore conoscenza di cos’è il porno, siano necessarie per raggiungere questo scopo. E che le aziende con attenzione per l’etica dovrebbero ricevere la stessa attenzione e discussione di quanta ce n’è intorno al materiale misogino.