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Il grande ritorno di Jennifer Lopez, di cui a nessuno importa più un granché
Prima la reunion con Ben Affleck, poi la ripresa della sua filmografia romcom, adesso il nuovo disco a dieci anni dal precedente: J.Lo sta facendo di tutto per ricordarci che è ancora una popstar.
L’andamento delle carriere delle pop star può essere imprevedibile, ma per diventare intoccabile serve «arte sapienza maestria e sacrificio» e, probabilmente, una visione, ampia, di sé e del prodotto che si vuole vendere. Per alcune di loro il flop diventa letale non tanto perché certifica una mancata vendita, una mancata performance, ma soprattutto perché riflette una perdita di identità, di riconoscibilità (spesso infatti è sufficiente un cambio di messa in piega). In questo panorama variegato, in cui marketing e camp convolano in una bizzarra unione, la carriera di Jennifer Lopez resta un ibrido un po’ misterioso: sul mercato musicale dal 1999, ha inanellato grandi hit, grandi flop e grandi boh. Ora, celebra sé stessa e la sua carriera con un nuovo album, promosso con un ambizioso “film”, e a nessuno pare importare un granché. This is me… Now è una sorta di sequel (forse un reboot) di This Is Me… Then, album del 2002 con canzoni d’amore per Ben Affleck (“I’m glad, Baby I love U!”, “You Belong to Me” di Carly Simon). I due poi si sono lasciati e adesso si sono ripresi. C’è quindi questa idea di fili da ricucire, di circolarità da raccontare, sui giri che fanno le storie d’amore, e quelle robe lì.
Un passo indietro. Come nasce J. Lo? Siamo nel 1998, Mariah Carey ha appena divorziato dal suo primo marito, Tommy Mottola, allora presidente di Sony Music: inizia così una guerra delle rose con i fiocchi e Jennifer Lopez diventa protagonista (inconsapevole?) di una lunga operazione di vendetta e sabotaggio che porta Mariah dritta verso il disastro di Glitter e un esaurimento nervoso. Dopo il successo cinematografico di Selena, la Sony lancia sul mercato discografico Jennifer Lopez e le fa fare tutto quello che era stato impedito a Mariah Carey: musica RnB e pellicole di successo, il tutto con un’immagine da bomba sexy. A sua disposizione un team con gli autori e i produttori più aggiornati del momento (Darkchild, Cory Rooney), c’è anche lo zampino di Sean “Puffy” Combs (con cui ha una storia). Il suo primo singolo, “If You Had My Love”, è un successo immediato, cavalca alla perfezione il momento d’oro dell’RnB.
Nell’album, On the 6, intitolato alla linea che prendeva per andare a lezione di danza quando era povera squattrinata, c’è anche un pezzo scritto da Gloria Estefan (“Let’s Get Loud”) e una cover spagnola di “Non amarmi” di Aleandro Baldi (“No me ames”) cantata con Marc Anthony – suo futuro marito. È un paciugo praticamente perfetto, riflesso precisissimo dell’aria di globalizzazione che si respira a cavallo del millennio, di cui “Waiting for Tonight” diventa l’inno. Nata nel Bronx da genitori portoricani, canta musica con influenze urban e hip-pop perché è quella del quartiere in cui è cresciuta, e contemporaneamente accarezza i ritmi latini perché sono quelli del suo albero genealogico. Melting pop, si diceva una volta. Jennifer Lopez imbrocca tre album, con molte hit sia in Usa che in Europa (“Play”, “Ain’t Funny” e “I’m real” nelle loro versioni remix, “All I Have”) e qualche pellicola di successo: The Cell, thriller del visionario Tarsem Singh (il regista del video di “Losing my Religion” dei R.E.M.), Prima o poi mi sposo e Un amore a 5 stelle, che sembrano incoronarla nuova reginetta delle romcom.
Poi arriva Ben Affleck, un grande amore mediatico e i primi disastri al botteghino (Gigli è un duro colpo). Jenny From The Block («nonostante i gioielli che indosso sono sempre Gennara dal blocco», recitava una parodia su YouTube), singolo di lancio di This is me… Then, l’album dedicato a Ben Affleck), anche grazie alla produzione di Troy Oliver e Cory Rooney – che uniscono in un unico brano tre sample micidiali, “Watch Out Now” dei The Beatnuts, “Heaven and Hell Is on Earth” dei 20th Century Steel Band e “South Bronx” dei Boogie Down Productions – segna il punto più alto della discografia di J. Lo. Il videoclip vede la power couple, i Bennifer, nelle immagini “rubate” da pararazzi e telecamere di sicurezza, in barca, in piscina, in automobile. Lei è più bella che mai, coperta da una pelliccia bianca («ma quale freddo, sono qui in lingerie»). La matrice voyeuristica è stata fin da subito uno dei dispositivi su cui di Jennifer Lopez ha impostato la narrazione del proprio personaggio pubblico, proponendosi scientemente come (s)oggetto del desiderio: il videoclip di “If You Had My Love” omaggia Sliver, il thriller smutandato di Phillip Noyce con Sharon Stone spiata da William Baldwin in un condominio pieno di telecamere e occhi indiscreti. Il boom del Grande Fratello è dietro l’angolo, Google inventa Google immagini perché in rete tutti vogliono trovare le foto di Jennifer Lopez vestita con il jungle dress di Versace, non si parla d’altro.
Lasciato Ben Affleck a un passo dal matrimonio, con la stampa in subbuglio, Jennifer si fidanza e poi si sposta con Marc Anthony: è il suo terzo matrimonio, c’erano già stati un cameriere e un ballerino, durati poco. È qui la carriera musicale inizia a zoppicare, e Rebirth, l’album post breakup, segna la prima battuta d’arresto nella sua carriera da pop star: è il 2005 a negli Stati Uniti c’è spazio solo per il ritorno di Mariah Carey (è l’anno di “We Belong Together”, che per Billboard diventerà la canzone del decennio). Segue un album in spagnolo, perché dopo la Bennifer era lei decide di essere più riservata, ma fino a un certo punto, insieme a Marc Anthony gira anche un film, El Cantante. Con On the Floor (in compagnia di Pitbull e RedOne), che campiona la Lambada (gulp!) e diventa una smash hit planetaria, Jennifer sembra riuscire a dare una scossa alla sua carriera musicale, impantanata per colpa di un album come Brave, un pasticcio disco-RnB che incarna alla perfezione la crisi del genere nella seconda metà degli anni Dieci.
Jennifer Lopez ha costruito fin da subito, con strategie più sottili prima, poi sempre più lampanti, il brand di sé stessa, è la sua rilevanza come pop star probabilmente ha iniziato a vacillare proprio quando il prodotto messo in vendita non sono state più le canzoni (o i film), ma semplicemente sé stessa. Lei come icona di stile, come esempio di self branding, come modello di imprenditrice, come moglie, come mamma. Le romcom vanno bene, Quel mostro di mia suocera diventa un classico moderno del genere, Shall We Dance? fa il suo lavoro al botteghino. Lo stesso non si può dire per i thriller e i drama, in cui viene puntualmente stroncata dalla critica (Il ragazzo della porta accanto, Lila & Eve), fino Hustlers – Le ragazze di Wall Street, che finalmente sembra portarla verso l’ambitissimo traguardo, il riconoscimento della critica e un Oscar tutto suo. La nomination però non arriva, e lei continua – imperterrita, indefessa, instancabile – con la sua filmografia matrimonialista, Merry Me e Un matrimonio esplosivo. La romcom ormai è un genere considerato in disuso, non viene più spinto come un tempo, i copioni sono scritti con i piedi le uscite finiscono subito in streaming (ci penseranno Jennifer Lawrence con Fidanzata in affitto e Sydney Sweeney con Tutti tranne te a invertire la tendenza).
Saltando gli album andati male e una marea di singoli usciti a casaccio e finiti immediatamente nel dimenticatoio, arriviamo oggi a This Is Me… Now, il suo album testamento, l’ultimo probabilmente, dice lei. Torna a ritmi che ricordano i primi album, con un RnB un po’ demodè, che strizza l’occhio al revival Y2K. Lei è tornata felicemente con Ben Affleck, una trovata pubblicitaria, si diceva inizialmente, ma la storia prosegue, in vista non ci sono film di coppia (avranno imparato dagli errori del passato, sembrerebbe). L’album, accolto con vendite oltre il livello minimo di scarsità è stato promosso con un film, un visual album (Now: A Love Story, lo trovate su Prime), un videoclip sfarzosissimo di 65 minuti prodotto e girato meglio del 70 per cento dei film a marchio Netflix, con scenari alla Myst III: Exile. Tristemente, però, del suo ritorno si è parlato soprattutto perché è stata l’occasione per scoprire cosa ne pensa di lei la nuova star Ayo Edebiri: «La sua carriera è tutta una lunghissima truffa», aveva detto l’attrice in un episodio di un podcast al quale aveva partecipato prima di diventare famosa (lezione per future celebrity: non parlate male mai di nessuno in nessuna circostanza, potreste ritrovarvi a condurre una puntata di Saturday Night Live assieme all’oggetto delle vostre critiche). La risposta di J.Lo: è venuta nel mio camerino e mi ha chiesto scusa in lacrime.
L’ambizione del progetto This Is Me… Now lascia tuttavia ammirati, una lunga corsa alla ricerca del significato dell’amore “vero” che parte dal racconto di una leggenda portoricana (le radici), tra confessioni in terapia, incubi distopici con una futuristica fabbrica di cuori teatro di canzoni e coreografie (alla Dancer in the Dark?), un consiglio celeste di segni zodiacali (Jane Fonda è il Sagittario, Post Malone il Leone, Kim Petras la Vergine, Sofia Vergara il Cancro) che veglia sulla malcapitata protagonista. Un’inguaribile romantica ossessionata dall’amore con tre matrimoni naufragati alle spalle, che passa da una storia all’altra, incapace di stare da sola, vittima di dipendenza affettiva, che riguarda in continuazione Come eravamo con Barbra Streisand e Robert Redford, recitandone le battute a memoria… Io, io io. Ma, semplicemente, le canzoni non ci sono e anche se ci fossero non sono più le canzoni a stare al centro del discorso pop. Non basta più esser stata il motivo dell’invenzione di Google immagini per sopravvivere a un mercato che ha deciso di poter fare a meno anche di una Claudia Schiffer con la voca di Tina Turner.