Stili di vita | Moda

I jeans definiscono ancora l’epoca in cui viviamo?

Dalla morte degli skinny alla resurrezione dei “mom’s” fino al ritorno prevedibile, ma non per questo meno foriero di brutti ricordi, della vita bassissima, la confusione del momento si riflette nei pantaloni più amati.

di Silvia Schirinzi

A osservare le passerelle, e certe modelle specializzate nel rigurgitare i vecchi trend a uso e consumo dei social, dove tutto è nuovo almeno il tempo di un hashtag, lo sapevamo che sarebbero tornati. Forse c’entra la rivisitazione storica di personaggi come Britney Spears e Paris Hilton, la nostalgia che pervade il mondo digitale e la sua ossessione nel guardarsi indietro e rielaborare anche il più recente degli spunti, ammantandolo di significati altri, ma che i jeans a vita bassa si stiano prendendo con prepotenza il discorso su come ci vestiremo dopo la pandemia è comunque divertente, per quanto foriero di brutti ricordi adolescenziali per chi è stato teenager nei primi anni Duemila. Dopo la morte degli skinny, che pure hanno caratterizzato la decade immediatamente successiva del nuovo millennio, e il ritorno ai “mom’s” (ovvero a quella silhouette anni Novanta che ha accompagnato la riscoperta del minimalismo nella moda), era solo naturale che tornassero anche loro, i jeans che si assestano senza pietà molto al di sotto dell’ombelico, quelli scomodi, che stanno bene solo a un 10 per cento della popolazione mondiale, che si accompagnano a top cortissimi, catene e cinture vistose, decolorazioni e mèches che pensavamo di aver lasciato nella prima stagione di The O.C., che pure ci manca ma forse non fino a questo punto. 

Ma visto che viviamo nell’epoca dei dibattiti, questo ritorno, che The Cut nel 2018 profetizzava si sarebbe compiuto nel 2020 (ne parliamo nel 2021 perché l’anno scorso avevamo altre urgenze), non è certo privo di polemiche accese, e si è già allontanato dalle finte paparazzate e dai post Instagram di Bella Hadid e compagne per arrivare su TikTok, dove abbondano i video di chi è felice di ricreare i look che hanno immortalato nella memoria dei Millennial l’imbattibile Paris, Jessica Simpson, le gemelle Olsen quando erano ancora bambine (e non ancora sacerdotesse della moda) e con loro tutte le starlette di cui erano pieni i giornali di gossip con cui siamo cresciuti all’alba della digitalizzazione social di massa, quando non sembrava un problema che la moda ti dicesse “puoi metterteli solo sei magra, sorry”.

Spesso si tratta di video che hanno come tema l’haul o il thrifted, in cui il look si costruisce usando capi comprati su siti che vendono capi a prezzi stracciati (come Alibaba e simili) o recuperati sulle app e i negozi di seconda mano o dell’usato, in un cortocircuito che dimostra bene quanto l’interesse per il riutilizzo dei capi sia oggi complementare, ma anche speculare, a quello per un guardaroba più sostenibile. Li girano soprattutto i ragazzi della Generazione Z che, è lecito pensarlo, non erano ancora nati quando Britney si esibiva nel 2001 con “I’m a slave 4 U” sul palco degli Mtv Music Awards, indossando un top a fascia verde smeraldo, un grosso serpente al collo e un paio di jeans strappati che sfidavano la forza di gravità. È un po’ come se giocassero a mettersi i vestiti dei loro fratelli maggiori sfigati, che stanno lì a dire no, per carità, ce n’eravamo liberati, cosa abbiamo fatto gli hashtag e la body positivity a fare se ora ci tocca rimetterci questa roba, #freeBritney ma anche #freeleovaie.

E proprio sul territorio del corpo, e di quello femminile nello specifico, si consuma la linea teorica dei jeans, indumento working class per eccellenza diventato uno di quei capi universali che sembravano impossibili da mettere in discussione, ma su TikTok c’è anche, e non si tratta solo dei Millennial traumatizzati, chi dice che questo è un trend che mette al centro il corpo delle donne, e non gli abiti, e solo un certo tipo di corpo, e quindi non va tanto bene, torneranno in un modo in cui potremmo metterceli tutti o continueranno a stare bene solo, beh, alle magre? A meno di cambiar le leggi della fisica è piuttosto improbabile pensare, o realizzare, a un jeans a vita bassa che stia bene a tutti, almeno non secondo quel canone di bellezza che permetteva di insultare Britney o la povera Simpsons non appena mettevano su qualche kg. Se c’è una cosa buona di tutte quelle battaglie social, però, è che hanno definitivamente mostrato quanto i meccanismi della moda siano oggi sovvertiti e non esista più un unico canone.

Sulle passerelle quell’estetica Duemila è già tornata da un bel po’ (esempio più recente: Blumarine di Nicola Brognano), così come su Instagram nei cosiddetti photo-dump, le gallery che sono pressoché l’unica tipologia di post a essere ammessi visto che tutto succede nelle Stories, si rivedono gioielli e piccoli oggetti che fanno ripensare a quel periodo, le farfalle, i glitter, le mollette e le pinze per capelli colorate, gli accessori plasticosi, in un grande calderone in cui tutto si mescola. Non è un caso che Alessandro Michele, in occasione della sua ultima collezione per Gucci, abbia parlato di “ultra-pop”, un termine che ben descrive l’attuale stato della cultura popolare, e essa della moda, e che ci ricorda come non importi più che jeans mettiate, se larghi, a vita bassa, a vita alta oppure se non se li indossiate proprio, i benedetti jeans: l’estate post pandemia non sarà elegante come i ruggenti anni Venti, ma siamo giustificati a metterci un po’ quello che ci pare.