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James Gunn, morto e risorto

Dopo essere stato cacciato dalla Marvel, per colpa di vecchi tweet e nonostante il successone dei Guardiani della galassia, ha lavorato con la concorrenza per il sequel di Suicide Squad, convincendo tutti.

di Francesco Gerardi

Foto di Daniel Leal-Olivas/Afp via Getty Images

James Gunn è tornato per dirci che quello che succede sui social media non è importante e non è la verità. I social network sono teatri delle ombre, i trending topic e le interazioni le ombre bestiali proiettate da mani interessate alla nostra attenzione, ad attirarla in un punto per distoglierla da un altro. Gunn lo sa, lo ha capito, lo ha scoperto, suo malgrado: i social network sono il palcoscenico e lì sta la finzione, la vita vera succede dietro le quinte. Una carriera può sembrare ridotta a zero a scorrere gli hashtag e invece raddoppiare, triplicare appena si allontana lo sguardo dal display sul quale va in onda la propria cancellazione (che è sempre un momento, che è per definizione temporanea, ormai si sa).

Tre anni fa Gunn era ciò che qualsiasi regista contemporaneo tranne Alejandro González Iñárritu vorrebbe essere: il protagonista amatissimo di un franchise popolarissimo. Tra il Vol.1 e il Vol.2 de I Guardiani della Galassia aveva fatto incassare alla versione cinematografica della Casa (madre) delle Idee un gruzzolo di 1.6 miliardi di dollari. Era al lavoro sul Vol.3 delle avventure di Star-Lord e compagnia e pronto ad accettare dal supermegadirettoregalattico Kevin Feige il compito di costruire il pezzo “cosmico” del Marvel Cinematic Universe (spiegato: tutto quello che in quell’universo succede in posti che non sono la Terra). In mezzo a tutti questi impegni Gunn riusciva anche a trovare il tempo per l’hobby preferito di mezza America tra il 2016 e il 2020: insolentire via tweet il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump. Gli impresari del teatro delle ombre decidono a questo punto che per Gunn è arrivato il momento di intrattenere il pubblico: va in scena lo spettacolo preferito nell’epoca dei social media, quello delle idiozie passate e delle rovine presenti.

Chi si ricorda Roseanne Barr? Questa è facile, proviamo con una più difficile. Chi si ricorda Valerie Jarrett? Valerie Jarrett era un’assistente dell’allora presidente Barack Obama. Che c’entra Barr con Jarrett? Nel 2018 Barr disse che Jarrett era il risultato dell’incontro tra la Fratellanza Musulmana e il Pianeta delle Scimmie in un tweet che le costò la seconda stagione del suo show Roseanne, un grandissimo successo in onda su ABC, network di proprietà di Disney. Barr diede la colpa ai sonniferi, una spiegazione alla quale molti decisero di non credere: troppo trumpiana, troppo complottista, troppo destrorsa. Seguì dibattito su libertà di espressione, politicamente corretto, cancel culture. Proviamone una ancora più difficile: chi si ricorda Mike Cernovich? Mike Cernovich è stato uno dei leader del movimento alt-right che ha contribuito a fare di Trump il juggernaut socialmediatico capace di portare la più antica democrazia del mondo a tanto così dalla crisi di nervi. Che c’entra Cernovich con Barr e Jarrett? Cernovich prende a cuore Barr e decide di farle da avvocato davanti al tribunale della pubblica opinione. Che è un tribunale indegno perché ipocrita, dice Cernovich: esso condanna la trumpiana Barr per una battuta brutta ma innocente e fa spallucce davanti al liberal James Gunn, che ora gira i film per bambini ma dieci anni faceva battute su stupro e pedofilia. E chi ci dice fossero battute, chiede Cernovich. Lo sapete, incalza Cernovich, che esiste un giro di very important people, tutti elettori del partito democratico, che sono pedofili e satanisti, che rapiscono i bambini e ne bevono il sangue? Cernovich è una delle menti (l’aggettivo decidetelo voi) dietro Infowars e Pizzagate, uno dei padri fondatori di Gamergate e Qanon, un Jake Angeli scornato e incravattato. Non gli importa nulla di Gunn, di Barr, di Jarrett, di Trump, meri strumenti e opportunità di un progetto la cui fine sarà (forse) a Capitol Hill nel gennaio del 2021. Le mani, le ombre, il teatro, si diceva.

A nulla servono gli sforzi di contestualizzazione di quei tweet di Gunn vecchi più di un decennio: i giornalisti del settore e gli addetti ai lavori cercano di spiegare quell’umorismo raccontando le origini artistiche di Gunn, parlando di Lloyd Kaufman e di Troma Entertainment. Ma un classico del b-movie come Tromeo e Juliet (1997, Gunn sceneggiatore e co-regista) lo hanno visto in pochi, ancora meno sono i conoscitori della saga del Toxic Avenger: Il passato di Gunn conta solo nei punti in quei quell’umorismo può essere equivocato nel modo giusto e piegato ai fini che interessano: il senatore repubblicano del Texas Ted Cruz dice che se le insinuazioni ai suoi danni fossero vere, allora Gunn dovrebbe essere processato perché non si scherza sulla pedofilia. Sic. Sulla pagina Wikipedia di Gunn compare un paragrafo intitolato “accuse di pedofilia”, e per fortuna le correzioni sull’enciclopedia libera arrivano prima delle rettifiche dei giornalisti e delle scuse dei senatori.

A questo punto James Gunn fa una cosa di cui nessuno sembra più capace, sceglie una via di cui nessuno pare più essere consapevole: non invoca il diritto costituzionalmente garantito a essere (stato, nel suo caso) un coglione. Non permette al dibattito di cominciare ad avvitarsi intorno ai soliti punti: la libertà d’espressione non c’entra nulla, dice subito, non si può biasimare Disney per aver deciso di licenziare uno che a quarant’anni ancora faceva battute come quelle, puntualizza poi, cancellazione e licenziamento non sono certo la stessa cosa, conclude. Quelle battute fanno schifo anche a me, ammette, ma quel che è fatto è fatto e quel che resta sono le scuse e la responsabilità. Guarda e impara come si sta al mondo, viene da dire oggi: Gunn muore per tre giorni e poi risorge, riceve la solidarietà da tutti quelli con cui ha lavorato in passato e da tutti quelli che vogliono lavorare con lui in futuro, non fa in tempo a portar via lo scatolone dall’ufficio nei Marvel Studios che già la DC (la Distinta Concorrenza) ha pronta per lui la sedia di regista sul set del sequel di Suicide Squad.

È il primo a passare la cortina di ferro che separa i due universi cinematicofumettistici (Joss Whedon non conta più, a Zack Snyder’s Justice League vigente). Il trailer uscito in questi giorni per presentare le nuove avventure della Task Force X è l’annuncio di un trionfo, un bignamino di variopinte stranezze che avrà fatto singhiozzare di commozione gli executive di TimeWarner: ce l’hanno fatta, glielo avessero detto prima che per battere la concorrenza bastava assumere quelli che essa licenzia (una modesta proposta: Edgar Wright aveva accettato di dirigere Ant-Man, dategli un personaggio minore quanto Scott Lang e lasciatelo fare e non ve ne pentirete), glielo avessero spiegato subito che per far ridere il pubblico è sufficiente pagare i comici di mestiere un tanto alla gag, li avessero avvisati all’inizio che tra i personaggi DC non ci sono solo Mosè interstellari, amazzoni e detective ma pure King Shark (sarà la volta che l’Academy dà a Sly l’Oscar che si è sempre meritato?), Polka Dot Man e Peacemaker (John Cena nuovo Dwayne Johson? La serie per HBOMax è già pronta).

Siccome non c’è storia di rivalsa che non sia anche una storia di ritorni, alla fine il cerchio si chiude nello stesso punto in cui si era aperto: passata la nottata e chiusa l’operazione di acquisizione di Fox (anche qui le mani, le ombre, il teatro: il punto non erano le battute sceme, il punto erano le battute sceme venute fuori nel momento in cui un colosso dell’intrattenimento stava comprandone un altro sotto l’occhio vigile del governo federale americano, il punto era un dipendente che mette in imbarazzo il capo), Marvel richiama Gunn e gli chiede se ha ancora voglia di dirigere il terzo volume della avventure dei Guardiani della Galassia. E come no, risponde lui, che si è già scordato il passato con l’intelligenza di cui è capace solo chi ha vissuto i divorzi veri. Gunn dirà sempre che con Marvel è andata e va come è andata e va con la sua ex-moglie: sono stati insieme sette anni, poi hanno divorziato, ora sono amici e nulla vieta frequentazioni costanti, reciproco arricchimento. Guarda e impara come si sta al mondo.