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In tv vince chi fugge

Fenomenologia delle «persone che se ne vanno, in televisione» e di chi ha fatto dell'abbandono dello studio televisivo il gesto di rottura per eccellenza.

08 Aprile 2016

Solo pochi minuti prima di sentirsi obbligato a lasciare lo studio di Agorà, Christian Raimo, in polemica col racconto di Torpignattara come la Molenbeek de noantri, aveva detto: «Odio le persone che se ne vanno, in televisione». Immagino perché non pensava che avrebbe rischiato di andarsene da quella trasmissione e perché «le persone che se ne vanno, in televisione» è una categoria di cui non credeva di poter fare parte, mai.

«Le persone che se ne vanno, in televisione» è un insieme che ci appare ben tratteggiato. Da cui si attinge se vuoi movimentare una puntata. Se ne vanno Salvini (dall’Aria che tira, Myrta Merlino), Ravetto (dalla Guerra dei mondi, David Parenzo), Livia Turco (da Tetris, Luca Telese), Di Pietro e La Russa da Agorà. E se non sono politici se ne vanno gli affini: Cacciari (da Robinson, Luisella Costamagna), Travaglio, Mastella, Emilio Fede (da Annozero, Michele Santoro), Ferrara (diretta speciale La7 di Gad Lerner) o i veri performer dell’abbandono, come Vittorio Sgarbi: l’unico in grado di spettacolarizzare allo stesso modo una discussione con Cacciari e una discussione col proprio figlio (il figlio lo accusa di averlo abbandonato e Sgarbi con una mise en abyme da gran maestro lo abbandona di nuovo, in uno studio tv).

Da chi invece non fa parte delle «persone che se ne vanno, in televisione» siamo abituati a una fiducia nelle parole e nelle discussioni diversa. Voglio dire, avete mai sentito di un dialogo in cui Socrate a un certo punto sbotta: “Sapete che c’è? Non capite niente. Io me ne vado!”. In realtà, da un po’ di tempo a questa parte, il gesto di andar via è sdoganato. Non se ne vanno più via i soliti noti ma va via anche la società civile. Ha di recente abbandonato lo studio di Tagadà (Tiziana Panella, La7), l’antropologa Amalia Signorelli in polemica con Alessandra Mussolini; la modella Claudia ha abbandonato lo studio di Open Space (Nadia Toffa, Italia1) perché a suo dire il programma lasciava intendere che nella moda lavorino solo le anoressiche, ha lasciato lo studio di Announo (Giulia Innocenzi, La7) l’imprenditore Gian Luca Brambilla in collegamento, ovviamente da Milano (anche se ormai i Brambilla si candidano pure a Napoli) perché le Femen stavano offendendo la Chiesa e Papa Francesco.

Partial view of the TV studio in Boulogn

Eppure se googlo uno di questi programmi, per esempio Open Space, già nella prima pagina delle ricerche trovo la notizia della modella perché, involontariamente, dove James Corden ha il carpool karaoke, Jimmy Fallon ha la lyp sync battle, Jimmy Kimmel ha le celebrità che leggono “mean tweet”, il talk italiano realizza una clip virale quando un ospite lascia lo studio. Nella storia dei colonnini di destra non è mai stata segnalata una risposta brillante o ben argomentata di un ospite di un programma tv, nemmeno dietro supplica di un ufficio stampa, mentre gli abbandoni diventano immediatamente “tema caldo”.

Questo “quello che se ne va dagli studi televisivi” lo sa. Si carica d’ira come l’innamorato prima della scenata. Sa che quella è la sua occasione per traumatizzare tutti, compreso se stesso (non è un caso che alcuni dei migliori abbandonatori di studi, tipo Sgarbi o la Mussolini, siano a loro volta causa di abbandono in altre puntate) perché l’abbandono azzera tutto. Vai via, senza che nessuno possa inseguirti davvero, come nei film dove abbiamo tutti imparato le uscite plateali e sconvolgenti. Nella vita vera c’è sempre un mezzo ripensamento o uno che ti insegue. Nello studio tv l’unico che può inseguirti è il microfonista a cui non frega nulla della discussione, ma solo che tu non esca in pieno delirio d’onnipotenza ad affrontare il vento in strada col microfono dello studio. Altrimenti domani qualcuno lo accuserà di negligenza.

Andarsene è come l’Aventino, ma stavolta efficace. Per questo piace tanti ai politici. Paola Concia lascia lo studio di Tagadà, Giarrusso lascia lo studio di Coffee Break, Santanché lascia lo studio della Gabbia. Inoltre resta solo quello. Intatto. In amore e in talk show vince chi fugge. Quando sei fuggito chi si ricorda se avevi ragione o meno? Ormai sei andato. E con te la verità. Perfino nelle stesse clip che mostrano l’accaduto conta la fuga molto più del motivo. Per esempio io credo che Raimo avesse ragione a dire che avevano mandato in onda un servizio su Torpignattara in qualche modo paranoide per lo spettatore indifeso. Ma gli credo senza averlo visto perché nel video caricato su youtube non c’è. Ne sono certo perché ho visto la sua reazione. Altrimenti non si sarebbe incazzato così.

Partial view of the TV studio in Boulogn

Il pubblico, poi si sa, pensa che tanto quella del talk è tutta una messinscena. “Fingono di litigare e poi vanno a cena assieme” dicevano i complottisti quando i complotti non esistevano ancora, allora il gesto di rottura per eccellenza, il coup de thèatre per drammatizzare la propria sconfitta e trasformarla in vittoria: “non posso spiegarvi perché sbagliate e allora lo dimostrerò col corpo” lascia la speranza che “uscirò io e con me il mio pubblico”. Cioè tutto il pubblico, stavolta. Che, come me, non si presta alla vostra messinscena.

Per questo è un gesto che di solito associamo ai politici o agli agitatori. Perché devi innanzitutto credere di avere un pubblico – “l’ho fatto per il mio pubblico, è quello che avrebbe voluto il mio pubblico” – per lasciare uno studio, e deve essere un gesto per quanto identico a decine di altri, ripetuto come fosse il gran rifiuto, la prima volta. E forse oggi s’è allargato oltre “le persone che se ne vanno” proprio perché chiunque appaia è convinto di avere “il suo pubblico” da qualche parte. Magari sui social dove si sarà già premurato di avvisare: se a qualcuno interessa sto per dire la mia sul fratello di Parascandolo su Radio Falsa Modestia.

Poi c’è l’altro solito sospetto: è tutto programmato. L’accusa torna anche molto in piccolo ciclicamente

Poi c’è l’altro solito sospetto: è tutto programmato. Berlusconi venne accusato di aver programmato l’abbandono dello studio di In 1\2 ora di Lucia Annunziata (che a sua volta lasciò una puntata di Annozero) ma l’accusa torna anche molto più in piccolo ciclicamente, a ogni abbandono. Pure Michela Murgia è stata accusata di aver programmato la sua fuga da Lineanotte (che una volta era stato abbandonato anche da Carfagna) lamentando la posizione nella scaletta del programma (posizione che è identica in quel programma da almeno dieci anni a questa parte). Come se fosse un reato pianificare un abbandono e non un segno di quanto con intelligenza si sappiano padroneggiare i meccanismi dei media.

(Qui occorre una piccola parentesi: Murgia non abbandonò lo studio ma più precisamente abbandonò il collegamento. Ecco, quella dell’ospite in collegamento è una situazione più complicata. E in cui la fuga è sempre giustificabile. Sei solo. Il conduttore ti ha invitato per horror vacui ma poi gli ospiti in studio gli bastano. Non ti fanno intervenire. Le parole dello studio ti arrivano con cinque secondi di ritardo e provi questo continuo esprit d’escalier. Manchi sempre il timing giusto laddove il tempo della risposta è tutto e conta più del senso della risposta. E poi i dipendenti attorno una volta assicurati che il canale di trasmissione funzioni non si curano minimamente del messaggio e guardano partite del campionato bulgaro in bassa frequenza. La solitudine fa venire voglia di far saltare il banco. Quantomeno ti giuri, e lì per lì ci credi pure, che non accetterai mai più un invito).

E comunque quanto l’abbandono dello studio sia un picco di spettacolo ideale non ce lo dicono tutte queste chiacchiere ma ce lo ricorda quanto sia diffuso il meme «No Maria, io esco» di Tina Cipollari (anche titolo del libro che raccoglie i suoi «punti di vista sulla propria vita e sulle proprie esperienze televisive»). Perché meglio ancora dei politici Tina Cipollari ha trasformato “l’uscita” nel gesto liberatorio per eccellenza: l’uscita è una possibilità sempre a portata di mano. Siamo tentati di interessarci alle cose umane, di fare la nostra parte, di dire la nostra opinione sperando serva a qualcosa o a qualcuno ma poi solo con l’uscita si torna puri, mondati dalle schifezze del mondo con cui non si vuole avere più niente a che fare.

In testata: uno studio di Al Jazeera Morocco (Abdelhak Senna/Afp/Getty Images); nel testo: uno studio della tv francese prima di un confronto tra Segolene Royal e Nicolas Sarkozy nel 2007 (Joel Saget/Getty Images).
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