Dominic McLaughlin, Arabella Stanton e Alastair Stout sono stati scelti tra gli oltre 30 mila ragazzini che hanno partecipato al casting negli scorsi mesi.
Il primo libro di Harry Potter mi è stato regalato nel Natale del 2000, quando avevo otto anni. L’innamoramento fu immediato e totale, come per moltissimi miei coetanei in giro per il mondo, ma la vera deflagrazione avvenne un anno dopo, con il primo capitolo della saga cinematografica. La maglietta di Harry Potter, il diario di Harry Potter, i poster, le figurine, i dvd, la rilettura ossessiva dei primi quattro volumi, prima in italiano e poi in inglese, anche se non ci capivo nulla. Sono una vittima cosciente della Potter-mania, campione perfetto di cultura millennial globalizzata, figlia di un universo narrativo che ha strabordato confini generazionali e letterari per diventare un fenomeno di massa universale, e in quanto tale, oggi, credo di potermi fare qualche domanda su questo pezzo imprescindibile della mia, così come quella di molti altri, formazione.
Che fare, potteriani?
Ed è da questo sudato pulpito di potteriana trinariciuta che mi domando shakespearianamente essere o non essere, difendere o rinnegare, accettare o superare, Aufhebung o damnatio memoriae, Avada Kedavra o Expecto Patronum: che fare? Che fare quando l’autrice della saga di romanzi con cui sei cresciuto è diventata uno dei personaggi più controversi del dibattito internettiano contemporaneo? Che fare quando sei abbastanza vecchio da vederti passare sotto gli occhi il nuovo cast scelto per il remake Hbo delle fantastiche avventure di Harry, Ron ed Hermione, accolto con la stessa indignazione che accompagnerebbe un atto iconoclasta nel XIII secolo, che riapre la ferita mai chiusa sull’eredità di queste opere? Problemi scottanti del nostro movimento di persone cronicamente online che non riescono ad abbandonare l’infanzia – in altre parole, la Gen Y – per para-citare il compagno Lenin.
Non per mettere le mani avanti, ma il caso vuole che il primo articolo che io abbia mai scritto e che sia stato pubblicato – dettaglio importante dal momento che all’età di dieci anni curavo un rotocalco autoprodotto interamente dedicato al cast di Harry Potter – fosse un pezzo di polemica contro J.K. Rowling. Questo non per dire che io contestavo la scrittrice scozzese che fuma sigari al tramonto per festeggiare le sue vittorie orgogliosamente terfiste contro le minoranze before it was cool, ma un po’ anche sì, altra ragione che mi permette di affibbiarmi da sola l’etichetta di potterista illuminata.
Nello specifico, il mio problema con JKR riguarda la sua smania di riscrivere una storia conclusa, praticando revisionismo sui libri e manifestando un certo attaccamento morboso alle sue creature, sgretolando la forma di magia più potente che abbiamo a disposizione come lettori: la sospensione dell’incredulità. Tramite la piattaforma Pottermore, infatti, la scrittrice violava qualsiasi patto tra autore e lettore rivelando, per esempio, le origini del male in personaggi come Dolores Umbridge, detta anche la Thatcher di Hogwarts, o dichiarando l’imminente divorzio tra Ron e Hermione, che con la sua grande intelligenza, «furbizia e tanti libri», avrebbe meritato il matrimonio con il prescelto e un finale migliore di quello di How I Met Your Mother. Eppure, era stata lei a insegnarci che i morti riesumati con la pietra della resurrezione sono copie sbiadite e distanti delle persone che erano in vita.
La Voldemort delle guerre culturali
Non paga di questo perfido rimestare nelle paludi dell’infanzia per scombinarci i giochi, JoRo, come la chiama amichevolmente la youtuber transgender ContraPoints, autrice di due video di due ore ciascuno sul tema Rowling e la sua ossessione per biologia, ha anche intrapreso una crociata contro Jeremy Corbyn, oltre ad aver manifestato una certa tendenza al razzismo, disseminata in piccoli indizi come la rappresentazione impietosa o stereotipata dei personaggi non bianchi. Insomma, mentre il franchising di HP si espandeva come l’universo e gli zoomer cominciavano a bollare la saga con la peggiore maledizione senza perdono, ossia quella del cringe, la scrittrice famosa per essere diventata, tra le altre cose, più ricca della regina senza neanche aver assunto un goccio di Felix Felicis, costruiva la sua statura da villain perfetta per le nuove generazioni, la Voldemort delle guerre culturali.
Ed è qua che mi appello al più potente degli incantesimi, che non è la maledizione Imperio da applicare a chi legge queste righe per convincerlo di ciò che sto per scrivere né la paraculaggine del sempreverde e fin troppo generico «bisogna separare l’arte dall’artista», ma la cara vecchia ermeneutica. Sappiamo bene che bruciare i libri, sia metaforicamente che letteralmente, è un gesto che ricorda momenti un po’ più problematici del presente, e che tuttavia, in alcuni contesti, una copia de La Pietra Filosofale sugli scaffali della propria libreria Ikea da Millennial con le pareti in palette, proprio accanto all’insegna Live Love Laugh, potrebbe equivalere per iperbole a quella del Mein Kampf.
Tuttavia, sappiamo anche che liberarsi dei propri miti dell’infanzia, in modo particolare da quelli che ci hanno formati come individui dotati di gusto, oltre che di bacchetta di Olivander, può essere assai complesso, perché si toccano sfere di emotività delicate – io, per esempio, sto ancora piangendo per la fine immotivata dei Giochi Senza Frontiere, De Gaulle ne sarebbe fiero. Dunque, come conciliare le consapevolezze adulte agli istinti fanciulleschi senza diventare fanatici di una delle due parti, antipotteristi o propotteristi? La risposta non è dentro di noi, ma nelle pagine scritte da JKR.
Sconfiggere JKR leggendo JKR
La più grande lezione che ho imparato leggendo la saga di Harry Potter non è che l’amicizia vince sul male, che la pozione Polisucco dura solo qualche ora e che alle scale piace spostarsi, ma che pure chi si presenta come campione di umanità senza macchia e senza paura alla fine può essere uno stronzo. Anche Albus Silente, che tra tutti i personaggi è sempre stato quello su cui ho riversato un transfert emotivo preoccupante, alla fine non era quell’agglomerato impeccabile di saggezza e buonsenso che avevamo sempre creduto essere, dato il passato tra magia oscura ed esperimenti sulla sorella disabile. Anche il padre di Harry, che per migliaia di pagine sembra il ritratto dell’uomo più figo di tutta Hogwarts, alla fine era un bulletto che si faceva bello con lo sfigato di turno, il buon Severus Piton, professore di pozioni magiche ma anche massimo esperto di friendzone, per usare un’espressione molto babbana. E persino Harry, possiamo dirlo, alla fine si è beccato la fama e la gloria per un caso, non certo per merito, mentre il povero Neville Paciock, a cui è toccata una sorte molto simile, passa alla storia come un pavido che per pochissimo non è diventato eroe.
Capire JKR con JKR, o in altre parole, accettare le contraddizioni di personaggi inventati ed esseri umani veri, non vuol dire perdonare, lasciar passare, ignorare ciò che può costituire un problema nella biografia di un autore ma leggere. Leggere non solo le pagine di un romanzo per bambini che ha segnato un’epoca, ma la realtà che ci sta attorno, fatta spesso di persone che dicono e fanno cose che non ci piacciono affatto, ma che comunque esistono e che non spariscono certo con un colpo di bacchetta magica, o sussurrando le parole «fatto il misfatto».