Cultura | Ambiente

Teneteveli, i vostri grani antichi

L'ossessione quasi religiosa per l'agricoltura rurale, portata avanti quasi sempre da chi di agricoltura rurale non sa nulla, è solo l'ennesima prova della maniera distorta in cui discutiamo di ambiente, sostenibilità e transizione ecologica.

di Antonio Pascale

Così, per controllare i danni alle calamità naturali, me ne vado in giro per le aziende agricole (è il mio lavoro ispettivo al Masaf) e faccio due chiacchiere, cosa coltivate? Che problemi avete? Cose così, e in genere concordiamo su un range di problemi, tipici dell’agricoltura italiana e auspichiamo soluzioni che però non sono tipiche dello Stato italiano, ma questo è un altro discorso. Poi visito aziende che non sono propriamente agricole, fanno agricoltura sociale, inclusiva, molto belle e interessanti, però ci tengono a dirmi, con un’espressione di chi ha capito tutto: qui coltiviamo grani antichi. E va bene, visito queste aziende e mi complimento per la dimensione sociale e inclusiva e intanto però il mio occhio tecnico è attratto da queste varietà di frumenti antichi, altissime e tuttavia preso dall’onda emotiva non dico quello che penso: al primo soffio di vento si allettano tutte, nell’antichità era un dramma serio. Hanno fatto tanto per abbassarla, l’altezza dico. Nazareno Strampelli ci ha lavorato decenni: l’uomo che dove c’era una spiga di grano ne fece crescere due, dice la targa celebrativa.

Poi vado in un ristorante particolare, in aperta campagna. Si cucinano prodotti a chilometro zero. Molto bene, però ci devi arrivare tu e quindi in qualche modo i chilometri li fai tu, ma sono sottigliezze, comunque – mi dicono – il ristorante è un vero gioiellino di raffinatezza e difatti arriva il proprietario. In effetti, molto raffinato, elegante, barba curatissima e dice, con lo sguardo di chi la sa lunga: vi consiglio la nostra pasta fatta con grani antichi. E tutti prendiamo la pasta fatta con grani antichi, un po’ costosa, ma che vi devo dire: vuoi il proprietario elegante e raffinato, vuoi il fatto che i commensali annuiscono e sussurrano: una pasta così buona mai assaggiata, metti che hai fatto 50 chilometri e sei stanco, insomma, preso dall’onda emotiva, non dici quello che pensi, e cioè: a me sembra una pasta comune. Voglio dire, non tutte le varietà di frumento duro producono una buona semola, almeno per gli standard della cucina italiana, e comunque negli ultimi decenni sono state selezionate varietà di frumento duro idonee per la produzione di pasta di alta qualità. Ma niente, nessuno le conosce, almeno non il ristoratore elegante e raffinato: esiste solo il grano antico.

Mi capita di fare conferenze dove si affronta il futuro del mondo. Grandi temi, insomma, e a parlare di solito sono intellettuali. Si sa che gli intellettuali umanisti si sono ridotti un po’ come i religiosi, a interpretare i testi sacri della saggistica e in genere viene fuori Pasolini o saggisti simili e si abbonda sia in apertura del talk sia in chiusura con le citazioni – un poeta antico lo si trova sempre. Certo, mentre parlano ti rendi conto che bisognerebbe affrontare il problema con strumenti tecnici e adottare misure condivise, invece si va avanti con le opinioni personali che comunque concordano su un fatto: l’agricoltura è un serio problema, bisogna tornare a un’agricoltura rurale.

Cioè? Come cioè, bisogna tornare ai grani antichi. A questa dichiarazione segue applauso molto intenso, complice anche la citazione giusta. Siccome ti ospitano e ti pagano pure, e c’è pronto il buffet fuori, pensi l’agricoltura rurale la faceva mio nonno e finché non arrivò lo spandiletame non riuscì a sposarsi perché lavorando nelle stalle e maneggiando il letame puzzava di stallatico. Finalmente grazie alla meccanizzazione riuscì ad affrancarsi dalla triste agricoltura rurale. Anche mio padre contadino è riuscito a studiare perché è arrivato il trattore e non doveva dedicare 30 ore del suo tempo per ogni quintale di grano coltivato (ma si sa, sono calcoli di estimo, a chi vuoi che interessano e poi mica reggono il confronto con Pasolini), insomma preso dall’onda emotiva non dici niente e cioè che se tuo nonno tornasse in vita e si trovasse a fare agricoltura rurale direbbe: oh no, stiamo ancora qui, ma che mi avete risvegliato a fare? Pensi a tutto questo, ma mica lo dici.

Poi un po’ scocciato vuoi distrarti e ti leggi un bel quotidiano. Però quegli opinionisti che parlano di grandi temi ambientali sono un po’ come i religiosi, citano e spiegano i testi sacri all’infinito, in genere Pasolini, e se per curiosità chiedi: ma abbiamo strumenti per produrre l’acciaio, il cemento, la plastica e l’ammoniaca, senza usare fonti fossili? No, perché se non ce l’abbiamo è un gran casino, visto che ci siamo posti l’obiettivo di scendere a zero emissioni entro il 2050 e in questo momento – sottolinea Vcal Smil – l’84.5 per cento delle energia globale è ottenuta da fonti fossili e visto anche la lentezza fisiologica di certe transizioni energetiche, visto che un altoforno non l’accendi con i pannelli solari, insomma è veramente un casino, e niente, loro ti rispondono con una citazione di un poeta greco che forse aveva già capito tutto 2000 anni fa. Così creano un effetto emotivo niente male che li illumina. Dunque, alla fine se voi doveste chiamare uno che discute di estimo e un altro che cita il poeta greco, scusate, voi, per fare numero, chi chiamereste? Poi dite che la cultura sta in crisi.

Infatti, per questo lavoro quegli opinionisti sono strapagati. Quando incontro un amico che mi dice ma tu sai quanto guadagna quello che parla di tematiche ambientali ma non sa quanto acciaio si produce in un anno, e tuttavia cita Pasolini o il poeta greco che aveva capito tutto, io dico: guarda, io non cado in questa trappola tipica dei 5 Stelle o della peggiore destra che sta sempre a controllare quanto guadagni, non ci casco, non mi interessa. Poi quando il tuo amico ti dice la cifra, tu ripensi all’agricoltura rurale, ai grani antichi e dici: non ci posso credere, ma veramente fai? E cominci a dire: ecco perché i giornali stanno in crisi ecc. e ti rendi conto che hai sbagliato tutto nella vita, dovevi occuparti di grani antichi, tanto due citazioni di supporto le trovavi, pure meglio di quelle che di solito si usano.

Allora vuoi distrarti e leggi uno di quei bei settimanali patinati, abbastanza irreali, ma appunto vuoi distrarti con l’irrealtà, e vedi la casa di grido dell’architetto di grido, costruita in mezzo a una campagna – che ti viene un po’ da dire, ma i permessi di edificazione ce li avrà? Perché mica è giusto che condanniamo il non finito calabrese edificato in mezzo alla campagna ed elogiamo l’architettura organica costruita pure in mezzo alla campagna. Una villa ecosostenibile, con roseto da centomila euro, piscina a filo e vista sulle colline. Quando il proprietario di questa casa si dichiara di sinistra tu dici: non cado in questa trappola, tipica della peggiore destra che mette in caricatura solo ciò che dell’avversario è ridicolo e grottesco. Siamo tutto sommato nel paese di Masterchef, cioè dell’abbondanza e alcune questioni, come l’ecologismo per esempio, sono tipiche del capitalismo avanzato, mio nonno dell’ambiente non si preoccupava tanto, perché doveva mangiare, ora che mangiamo tutti ci preoccupiamo giustamente dell’ambiente. Resisti insomma, ma quando leggi della tenuta moderna e di grido, fatta con materiali di ultima generazione, costosissimi ed ecologissimi, quando leggi che in questa tenuta si coltivano grani antichi, siccome c’è solo il bar e non c’è nessuno che ti ha invitato al buffet, allora libero da sensi di colpa gridi: c’avete rotto il cazzo voi e i grani antichi.

E continui! Cominci cioè a interrogare i poveri presenti. Chiedi: preferite farvi operare da un dentista degli anni ’30 o da uno moderno? Non esce fuori nessuno pazzo che vuole il trapano di una volta: ah, come si trapanava una volta… E allora perché se chiedo preferite un grano moderno o uno antico tutti dicono quello antico! Ma poi, antico quanto? Ma poi questo concetto di antichità riflette una mentalità di stampo creazionistico. Poi dice che sono gli americani a credere alla Bibbia. Ma pure noi però, quando pensiamo che una specie pur antica, una volta messa in campo, sia immutabile finché morte dell’universo non sopraggiunga. Che si mantenga antica per sempre. Che sia sempre stata antica, perché le specie antiche di oggi erano le novità, spesso maltrattate di qualche decennio fa. Che non abbia bisogno di essere rimodellata, perché intanto tutto scorre e le cultivar si adattano allo scorrimento. Che la natura sia un bel giardino e non sia, come Leopardi sottolinea nello Zibaldone, un ospedale, visto le battaglie che nei giardini si verificano ogni istante. E visto che le cultivar senza le nostre cure, senza la nostra tenda ad ossigeno, non sopravviverebbero, e noi con loro.

Perché nella dimensione agricola non crediamo all’innovazione? Perché il passato garantisce qualità e gusto e il moderno è solo corruzione di valori e di gusto? Perché non c’è nessuno agriturismo o chef raffinato che mi dice: sto provando una varietà nuova, dove si sta sperimentando una associazione con i batteri, capaci di ridurre gli effetti dello stress idrico. Perché non c’è nessuno che crede nella genetica moderna e ci buttiamo sui prodotti della classica e poco elegante selezione massale, cioè, scegliamo la pianta più bella e va bene così. Niente, dentista sì, agricoltura no. Ci sono problemi da affrontare. E ci vogliono cultivar moderne, più efficienti, ci vuole la genetica, ci vuole studio, dati, esperimenti, misure in campo, non opinioni. E ci vogliono persone disposte a provare cose nuove.

Poi senti l’ambulanza, probabilmente è la neurodeliri che ti viene a prendere. E prima della camicia di forza, per dimostrare la mia sanità mentale, volevo finire il pezzo con una citazione classica, ma è meglio finire con un consiglio: un bellissimo libro di Luigi Cattivelli, Pane nostro. Grani antichi, farine e altre bugie (Mulino). Uno dei nostri scienziati migliori, che spiega per bene la questione dei grani antichi, con calma, senza nervosismi e idiosincrasie, un libro che forse facevo bene a raccontare per esteso, ma poi sapete com’è: ho sempre paura che le cose tecniche non riescono a formare la necessaria onda emotiva.