Cultura | Letteratura

Gianni Celati ha cambiato la Pianura Padana

Con le pagine di Verso la foce, con l’aiuto di Luigi Ghirri, con le scene di Strada provinciale delle anime: lo scrittore morto il 2 gennaio 2022 ha raccontato evoluzioni e contraddizioni di un certo nord Italia come nessun altro.

di Davide Coppo

Dettaglio della copertina della prima edizione Feltrinelli di Verso la foce (1989)

Gianni Celati è stato molte cose, sia scrittore che regista e traduttore, e per scrivere un ritratto completo e onesto di tutta questa produzione occorrerebbe aver letto buona parte dell’opera scritta, per esempio, che sono trenta libri, e io non l’ho fatto. Inoltre Celati è anche stato tanti scrittori diversi in un corpo solo, come succede a quelli molto prolifici, e io conosco soprattutto quello diciamo “della Pianura”: il Celati di Verso la foce, di Narratori delle pianure, e anche il Celati regista di Strada provinciale delle anime, di Case sparse. È questo uno scrittore e un regista che è stato molto importante, sia in senso pubblico che in senso privato.

Verso la foce è il risultato di anni di vagabondaggi lungo la Pianura Padana e lungo il Po, fatti negli anni Ottanta dopo l’incontro con Luigi Ghirri, che risale al 1981 e segna l’inizio di un’amicizia e di una collaborazione fondamentali, e prima del 1989, quando il libro esce per Feltrinelli. Si tratta di un libro-passeggiata, impressionista eppure non da flanêur: più che un’allegra scampagnata alla Walser, si può immaginare come Gli anelli di Saturno della Pianura Padana. La Pianura che Celati percorre e racconta (e fotograficamente, la Pianura di Ghirri) non è più quella epica di Guareschi e di Bertolucci, rossi contro neri, un luogo di mitologia contadina e scioperi e partigiani, ma nemmeno quell’arcadia pre-civilizzata mostrata da Antonioni in Gente del Po. L’industrializzazione, dopo la Guerra, ha cambiato il dna di quello spazio sconfinato e piatto. E se quei contadini, quando Celati li va a trovare, sono ancora vivi, sono ora diversi: vecchi e abbandonati nei bar, sotto le insegne che Celati cita a più non posso come se fossero astronavi atterrate dove prima c’erano solo campi e vacche: «Accanto a me una ragazza punk molto grassa, jeans stracciati e giubbetto di cuoio, beve Cocacola in lattina; un vecchio contadino dalle guance rubizze la guarda; un bambino, anche lui molto grasso, si succhia in solitudine un enorme gelato; il barista, giovane, baffuto, arriva con scritto sulla maglietta: FROM THE EAST COAST OF AMERIKA».

I posti hanno sempre bisogno di qualcuno che li racconti e Celati è l’uomo di questi posti: ha ricreato una narrazione padana che si era interrotta a causa della globalizzazione piccolo-industriale, delle superstrade piene di camion, dei capannoni che punteggiano il paesaggio. I maiali che in Bertolucci facevano compagnia ai fascisti in Celati non si vedono più, spariti dentro gli allevamenti intensivi. Si sente solo l’odore della loro carne bruciata, «come una massa puzzolente che investe tutto». Il silenzio dei campi aperti e lungo gli argini diventato quello che Celati chiama «silenzio residenziale», sospeso tra le ville costruite con stili anche bizzarri e kitsch, case che «non sembrano case, piuttosto dimostrazioni di un’idea di casa, da opporre all’orizzonte pesantissimo pieno di camion e maiali. Sono attratto da queste casette incantate per qualcosa che non so spiegare, una sospensione, un dismemorarsi di tutto che mi viene in gola».

Leggere e scoprire Celati, per chi è nato in quegli stessi anni in quella stessa Pianura, è anche ritrovare una Heimat che per un certo periodo era diventata una vergogna a causa dell’exploit leghista, che aveva trasformato l’aggettivo “padano” in una politica di odio anziché un’indicazione fluviale

In questo paesaggio cambiato così drasticamente rimangono anche le rovine del passato appena passato, i casolari disabitati che vengono celebrati nel film Case sparse. E poi sempre questo contrasto tra il mondo di ieri e quello di oggi raccontato a tinte assurde e umoristiche, e pure malinconiche e polemiche: «Uscita da Casalmaggiore, AUTOMERCATO PEUGEOT TALBOT, pieno di bandierine. Il grande ponte sul Po, e sotto a sinistra una serie di lanche, quegli istmi a mezzaluna dove i materiali di deposito portati dall’acqua stanno chiudendo un’ansa, rimodellando il corso del fiume. In autobus verso Colorno, nove chilometri da Casalmaggiore. Cartelli sulla strada: SALOTTI MERLI COLORNO, VENDITA PESCEGATTO, PUBBLICITÀ ASTREA, RISTORANTE STENDHAL».

Poi c’è l’importanza privata: le esplorazioni di Verso la foce si aprono nella primavera del 1986, con una perlustrazione del Po piacentino subito dopo l’esplosione di Chernobyl. Lo scrittore cerca la centrale nucleare di Caorso, che verrà dismessa nel 1987 in seguito al referendum. Passeggia, entra nei bar, chiede un passaggio. Si ferma, gli vengono le vesciche. Mangia un panino con una birra. È una scrittura che va contro la “cartolinizzazione”, da un lato, e l’inchiesta sociologica a tutti i costi, dall’altro – anche se la politica è ben presente in questo e altri suoi lavori. Leggere e scoprire Celati, per chi è nato in quegli stessi anni in quella stessa Pianura, per chi è attaccato con radici lunghe generazioni a quegli stessi orizzonti piatti, è anche ritrovare una Heimat che per un certo periodo era diventata una vergogna a causa dell’exploit leghista, che aveva trasformato l’aggettivo “padano” da indicazione fluviale a sinonimo di disprezzo.

Spesso ho pensato che la Pianura, da Pavia al Delta, sarebbe un buon setting per uno spinoff europeo di Ken il guerriero, un luogo allucinato fatto di stratificazioni e ruderi, kitsch e violento. Quando in Strada provinciale delle anime si arriva a Comacchio, una giornata grigia di nebbia nonostante giugno, Celati affida a una voce fuoricampo dei pensieri in equilibrio tra la decadenza e una certa dolcezza: «Ho visto muri scrostati, case vuote, disabitate e inabitabili. Ma una specie di felicità per le strade, a star tra la gente. Ho visto molte facce con i segni di un destino, facce da guardare a lungo».