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Ferrero (e la Nutella) va così bene che starebbe per comprare la Kellog’s Per una cifra che si aggira attorno ai tre miliardi di dollari. Se l'affare dovesse andare in porto, Ferrero diventerebbe leader del settore negli Usa.
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Nell’internet del futuro forse non dovremo neanche più cliccare perché farà tutto l’AI Le aziende tech specializzate in AI stanno lanciando nuovi browser che cambieranno il modo di navigare: al posto di cliccare, chatteremo.
Trump si è complimentato con il Presidente della Liberia per il suo inglese, non sapendo che in Liberia l’inglese è la prima lingua Joseph Boakai, nonostante l'imbarazzo, si è limitato a spiegargli che sì, ha studiato l'inglese nella sua vita.
Ed Sheeran si è dato alla pittura e ha provato a imitare Jackson Pollock con risultati abbastanza discutibili Ma almeno si è sforzato di tenere "bassi" i prezzi delle sue "opere": meno di mille sterline a pezzo, che andranno tutte in beneficienza.
Dopo l’ultimo aggiornamento, Grok, l’AI di X, ha iniziato a parlare come un neonazista In una serie di deliranti post uno più antisemita dell'altro, Grok è pure arrivato a ribattezzarsi "MechaHitler".
La novità più vista su Netflix è un documentario su una nave da crociera coi bagni intasati Si intitola Trainwreck: Poop Cruise, è in cima alla classifica negli Stati Uniti ed è popolarissimo anche nel resto del mondo.

Sconcezze italiane

A Prato la mostra dell'artista Marialba Russo raccoglie (e problematizza) le locandine delle pellicole erotiche apparse nelle vie di Napoli e Aversa a cavallo tra gli anni '70 e '80.

10 Marzo 2021

“La contessa, la contessina e la cameriera”, “Rivelazioni erotiche di una governante”, “Voglia di donna”, “Confessioni di una concubina”, “Ho diritto al piacere”… Fino al 15 aprile le pareti del Centro Pecci di Prato si trasformano nei muri dell’Italia degli anni Settanta, quelli tappezzati dai manifesti erotici dei film che dominavano il panorama un po’ underground (e un po’ svergognato) di certe sale vietate ai minori. Un trionfo di culi, seni, ombelichi e cosce che nelle scene più osé lo spettatore era abituato ad ammirare, attraverso gli occhi del protagonista maschile, dal buco di una serratura, dalle grate di una finestra o dalla fessura di una porta socchiusa. 

La mostra Cult Fiction, firmata dall’artista Marialba Russo, è quasi un trattato di sociologia e di antropologia. Raccoglie le locandine delle pellicole più sconce apparse nelle vie di Napoli e Aversa tra il marzo 1978 e il dicembre 1980 e nel frattempo traccia un profilo dettagliato dell’evoluzione dei costumi italici, spesso contraddittori. Il periodo preso in considerazione è quello degli anni di piombo: la Penisola, oppressa dal buio, cercava di ammorbidirsi sulle curve di Edwich Fenech e Nadia Cassini, di Lilli Carati e Janet Agren. Divinità peccaminose in un Paese perbenista e bacchettone come il nostro. 

L’avvento del cinema per adulti aveva fatto scattare il dibattito: cos’è l’erotismo? Cos’è la pornografia? E l’oscenità? Secondo la coppia di sessuologi americani Phyllis e Eberhard Kronhausen, la distinzione tra la pornografia e l’oscenità è che la prima si limita ad esplorare la sessualità, la seconda unicamente a sfruttarla. Ma il tema è sempre rimasto aperto. Su una cosa però ci sono stati pochissimi dubbi: il tratto distintivo della commedia erotica italiana è stato soprattutto la ricerca della morbosità. Una ricerca esplicita, mai sussurrata. Se in Francia nel 1974 impazzivano per la sensualità raffinata di Emmanuelle, da noi era tutto più evidente, più marcato. I manifesti in mostra a Prato ci raccontano questa assenza di fronzoli, la totale mancanza di sottintesi. Ogni riferimento sessuale è audace, dichiarato, manifesto (appunto). Niente voli pindarici. D’altronde, perché perder tempo? Meglio andare dritti al sodo. Sembrano lontane ere geologiche le polemiche sulla declinazione femminile del termine direttore d’orchestra sollevate giorni fa da Beatrice Venezi all’ultimo Sanremo. Suffissi, discussioni linguistiche, generi: qui a Prato tutto è spazzato via da uno tsunami di geishe in posizioni compromettenti, ragazze pon-pon in microbikini e creature giunoniche avvolte da piume di struzzo. Ma sono il segno di una liberazione o di una sottomissione? 

Il progetto artistico di Marialba Russo, che Goffredo Fofi ha definito «l’esplosione di una vitalità ormai perversa nella storia della cultura popolare che ha avuto nel cinema la sua espressione più varia e scatenata», punta l’attenzione proprio su questo punto. Con i suoi sessanta manifesti l’artista ci offre una doppia chiave di lettura. Ma le due posizioni non hanno il medesimo peso. Se da un lato le opere raccontano la rivoluzione dei costumi di un decennio coraggioso, provocante e sfrontato; dall’altro rivelano una società e un cinema ancora declinato solo al maschile, in cui la donna appare oggetto di possesso. La ribellione culturale, politica e sociale che Russo documenta è solo parziale.

«I Settanta», ha raccontato l’artista, «sono stati anni fondamentali e irripetibili. Anni che hanno delineato tutto quello che è accaduto poi. Erano anni di grande presenza politica, di cambiamento che coinvolgeva ogni cosa: cultura, sesso e femminismo. Anni che hanno segnato profondamente. L’arte che si è espressa decontestualizzava tutto, anche quello che precedentemente aveva detto e fatto. Quasi un nuovo inizio». Che però, a quanto pare, non ha avuto la fine sperata. Se è vero, come diceva Kafka, che ogni rivoluzione evapora, lasciandosi alle spalle solo la melma di una nuova burocrazia. La melma che si è lasciata dietro la rivoluzione sessuale è in parte esposta nelle sale del Pecci. La scrittrice femminista Lucetta Scaraffia nel suo Storia della liberazione sessuale. Il corpo delle donne tra eros e pudore (Marsilio, 2019) ha definito questa rivoluzione «un’ubriacatura collettiva durata 50 anni in cui è stato ideologizzato tutto. Un viaggio che ha risentito di una visione maschile del mondo, a cui le donne si sono adeguate perché erano affamate di libertà e sapevano che avrebbero avuto molto da guadagnare. Ma nei rapporti sessuali gli uomini hanno continuato a dettare le condizioni». E i manifesti di Cult Fiction sono lì a dimostrarlo.

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