Attualità

Fare un late night show in Italia

Saverio Raimondo, comico e padrone di casa di Comedy Central News, spiega perché i paladini della libertà di espressione sono ridicoli quanto i censori.

di Studio

È in onda ogni mercoledì sera su Comedy Central, canale 124 di Sky, CCN, cioè Comedy Central News, il late night condotto dal comico Saverio Raimondo. Si tratterebbe della terza stagione, ma per Saverio e il suo team è un po’ come fosse la prima: un nuovo formato settimanale, una messa in onda “espansa” a venticinque minuti e un nuovo studio, con nuovi ospiti e nuovi segmenti. Abbiamo chiesto allo stand-up comedian romano di dire la sua sul dibattito sulla satira, e molto altro.

 

ⓢ Di recente, in un intervento alla Wired Next Fest, ti sei riferito al caso delle vignette di Charlie Hebdo sul terremoto di Amatrice per parlare delle sempre onnipresenti discussioni sul ruolo e i confini della satira: un dibattito su cui hai idee precise.

Idee che esporrò nel desk dell’ultima puntata di CCN (in onda mercoledì 5 luglio): trovo ridicolo che in questo Paese ci sia ancora (ancora?) un dibattito sulla satira. Cosa c’è da dibattere? È satira! Esiste da sempre (credo si facesse satira anche nel codice di Hammurabi) e sempre esisterà, e non serve a nulla (né la satira, né tantomeno il dibattito sulla suddetta), quindi non capisco perché scaldarsi tanto. E lo dico sia da una parte che dall’altra: trovo ridicoli sia i censori sia i paladini della libertà di satira. Trovo ridicoli i terroristi che uccidono per una vignetta, trovo ridicoli quelli che manifestano con lo slogan #JeSuisCharlie, trovo ridicola la Cassazione che nel 2006 ha dato una definizione giuridica di satira (in realtà trovo la Cassazione ridicola di suo, con quelle toghe in ermellino…). Trovo ridicola questa mia risposta, e anche la domanda. Tiè!

 

ⓢ Sei arrivato alla seconda stagione di CCN, con un format rinnovato e molte novità apprezzate dal tuo pubblico. Pensi che anche la tua comicità sia cambiata, o abbia comunque subito un’evoluzione di qualche tipo in questo periodo?

Cambiata no, ma evoluta forse – spero – sì. Ho 33 anni, Cristo c’è morto, e ho iniziato a lavorare ufficialmente nella comicità a 18 anni. Spero di essere artisticamente cresciuto: anche per compensare la mia nota statura al di sotto del livello del mare. Inoltre è ossessione tipica del comico (o dovrebbe esserlo) quella di essere sempre aggiornato, al passo coi tempi. Ora però sento la necessità di un “cambiamento”: coerente con me stesso e la mia proposta comica, ma che sia anche una novità. Voglio continuare con CCN e il genere del late night, e con la stand-up comedy dal vivo; ma sto lavorando (o meglio, ci sto provando) anche a qualcosa di diverso, che aggiunga nuove frecce al mio arco. Vedremo.

CICCIOLINA E RAIMONDO 1

ⓢ In tempi in cui gli spettacoli di stand-up sono molto più diffusi e facilmente fruibili di prima (e per rendersene conto basta aprire la schermata principale di Netflix, ad esempio), credi che la cultura che la accompagna sia più diffusa, qui in Italia?

Un po’ sì. C’è anche tanto equivoco, tanta speculazione su questo nuovo termine così esotico (Netflix che spaccia l’ultimo spettacolo di Grillo come stand-up comedy, vogliamo parlarne?); però parallelamente comincia ad esserci anche qui da noi un pubblico, tendenzialmente giovane, digitalizzato, mediamente colto e sessualmente attivo. E soprattutto, stand-up comedian e pubblico cominciano a incontrarsi, cioè cominciano a esserci serate: permettetemi di citare l’esperienza in Santeria a Milano. In soli 5 mesi e altrettante serate (tutte sold out) io e gli organizzatori (Giulio, Jacopo, Teo) abbiamo fatto di quel locale già un punto di riferimento per il genere in quella che è tradizionalmente la città della comicità in Italia. Il 18 giugno facciamo una serata conclusiva nel teatro grande, prima della ripresa in autunno; ovviamente siete tutti invitati lì a vedere un po’ di questa Italian Wave della stand-up comedy.

 

ⓢ Dei tuoi modelli comici ci avevi già parlato in un’intervista di qualche tempo fa, ma ora c’è qualche nome – americano o non americano, nuovo o meno nuovo – che stai seguendo con interesse?

Sul fronte dei late night, oltre al sempre superlativo Colbert che applaudo da solo davanti al computer tutti i giorni, seguo con interesse l’ottimo lavoro che sta facendo Samantha Bee su Pbs con il suo Full Frontal: divertente, nuovo, aggressivo; lei ottima.
Sta giustamente emergendo Hasan Minhaj: il suo discorso alla Cena dei corrispondenti è stato molto divertente, e puntualmente spicca nel Daily Show di Trevor Noah. Aziz Ansari con il secondo Master of None ha realizzato un’opera molto matura da tanti punti di vista. Louis C.K. eccelle sempre. Attendo con ansia la nuova stagione di Curb Your Enthusiasm di Larry David. Ah, e spero in una reunion del Bagaglino.

 

ⓢ Di te sappiamo anche che sei considerato, giustamente, fautore di una comicità diversa rispetto a quella che continua a farla da padrone nel mainstream italiano. C’è un comico – o un programma, se è per questo – che pensi abbia influenzato la nostra cultura e da cui ti senti particolarmente distante?

Farei prima a dire i programmi comici italiani a cui mi sento più vicino… Io mi sento molto distante sia dai cosiddetti scalettoni, i programmi con un comico via l’altro senza soluzione di continuità, possibilmente con carattere regionale spinto, sia dai programmi castigatori, dove il comico si fa giustiziere o tribuno. Poi non amo (ma è una questione di gusto) i programmi televisivi “teatrali”, con le quinte, le parrucche; e in assoluto, nutro una profonda disaffezione per le imitazioni. Se ci pensi, qualsiasi programma comico degli ultimi vent’anni rientra in una di queste categorie. Quindi, direi che mi sento particolarmente distante da tutta o quasi la tv comica italiana contemporanea.

 

ⓢ Qual è la battuta che ti ha fatto più ridere degli ultimi tempi? E perché, volendo darne un’analisi “tecnica”?

Recentemente, Woody Allen ha fatto un Facebook Live. Un’intervista. E all’intervistatore-biografo Robert B. Weide che gli chiedeva di dire qualcosa di saggio, Woody ha risposto: «Non ordinate mai la salsa guacamole in un ristorante polacco».
In questo non sequitur ci sono ben tre tecniche comiche: l’anticlimax che c’è fra la domanda e la risposta, l’incongruenza fra la salsa guacamole (messicana) e il ristorante polacco; il suono della parola guacamole (come tutti i bravi scrittori comici sanno, ci sono parole che suonano più divertenti di altre e può essere furbo utilizzare). Per non parlare del mondo che c’è dietro questa battuta: chi è che ordinerebbe della salsa guacamole in un ristorante polacco? Ma soprattutto, chi andrebbe in un ristorante polacco? Esistono i ristoranti polacchi? A parte in Polonia, intendo. Quante cose in una sola battuta, vero? Non a caso è (sempre) Woody Allen.

Immagini courtesy Comedy Central