Le attiviste che hanno lanciato la zuppa di pomodoro sui Girasoli di Van Gogh hanno compiuto un gesto narrativamente perfetto ma che lascia un dubbio: si può discutere della crisi climatica compiendo azioni così radicali?
Cosa si dice dell’autobiografia di Emily Ratajkowski
Emily Ratajkowski, attrice, modella, star sui social e sui tappeti rossi di tutto il globo, ha debuttato come scrittrice con l’autobiografia My body, una collezione di saggi, 12 per l’esattezza, in cui esplora il suo passato con la lente della sua immagine: come è stato percepito il suo corpo, e soprattutto come lei stessa l’ha percepito. Vulture ha recensito l’opera prima, analizzando passo per passo la maggior parte dei saggi, partendo dalla citazione che sembra aver dato il nome al libro: Ratajkowski racconta di come in un viaggio di promozione di un hotel alle Maldive canticchiasse l’incipit del cortometraggio del 2014 dell’artista e scrittrice Hannah Black, in cui si sentono Beyoncé, Rihanna, Ciara e Mariah Carey cantare le due parole «My body», estrapolate dai loro successi, come critica alla concezione bianco-femminista del corpo. L’autrice scrive a proposito: «”Il mio corpo!” Ho cantato ad alta voce con la mia migliore voce di Rihanna, pensando al pezzo di Hannah Black mentre entravo in acqua, aggiustando il mio bikini bagnato per tirarlo più in alto». La critica non sembra aver totalmente apprezzato My body, come Judith Newman, per Airmail , che si interroga: «Ratajkowski può essere una pensatrice interessante sull’apparire e sul suo valore, ma continuo a chiedermi se lo scopo del libro sia quello di deviare l’invidia, un motto come “Non odiarmi perché sono bella” per gli anni ’20. Se è così, missione compiuta!».
L’attrice parla di «bellezza, abuso e potere, cercando di rivendicare la sua immagine attraverso narrazioni di scoperta di sé e di evoluzione femminista», analizzando sopratutto il rapporto con le immagini: “Buying Myself Back” il saggio (pubblicato su The Cut nel settembre 2020) in cui Ratajkowski parla dell’impossibilità di autocontrollo della propria immagine nell’era digitale: partendo dalla causa intentata da un paparazzo per aver postato su Instagram una foto agli sforzi per recuperare alcune immagini da un ex fidanzato e da un fotografo “predatore”. Jordan Taliha McDonald prosegue nella recensione per Vulture: «Le frasi di Ratajkowski sono chiare, riflessive e dichiarative: dialoghi esterni e interni siedono uno accanto all’altro. Ratajkowski è archivista, guardando indietro nella speranza di andare avanti.[…] Potrebbe voler collocare le sue esperienze all’interno di un discorso femminista occidentale più ampio, ma è in conversazione, prima di tutto, con se stessa». Ed è proprio questa la critica che viene mossa: anche Maddie Crum del Washington Post sostiene come Ratajkowski sia meno interessata alla pluralità di quanto dice di essere, e definisce il libro «una raccolta intelligente ma miope sul corpo individuale della sua autrice: i crimini commessi contro di esso; la vita offerta da esso; e anche i suoi limiti». È emblematico il titolo della critica del Nyt: “In un mondo che sfrutta le donne, Emily Ratajkowski sfrutta se stessa. È questo il progresso?”.

Come funziona Jigsaw, la divisione (poco conosciuta) di Google che sta cercando di mettere la potenza di calcolo digitale del motore di ricerca al servizio della democrazia, contro disinformazione, manipolazioni elettorali, radicalizzazioni e abusi.