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06:32 domenica 16 novembre 2025
In Cina Wong Kar-wai è al centro di uno scandalo perché il suo assistente personale lo ha accusato di trattarlo male Gu Er (pseudonimo di Cheng Junnian) ha detto che Kar-wai lo pagava poco, lo faceva lavorare tantissimo e lo insultava anche, in maniera del tutto gratuita.
In Giappone un’azienda si è inventata i macho caregiver, dei culturisti che fanno da badanti agli anziani Un'iniziativa che dovrebbe attrarre giovani lavoratori verso una professione in forte crisi: in Giappone ci sono infatti troppi anziani e troppi pochi caregiver.
Rosalía ha condiviso su Instagram un meme buongiornissimo in cui ci sono lei e Valeria Marini  Cielo azzurro, nuvole, candele, tazza di caffè, Rosalia suora e Valeria Marini estasiata: «Non sono una santa, però sono blessed», si legge nel meme.
Hideo Kojima si è “giustificato” per la sua foto al Lucca Comics con Zerocalcare dicendo che l’ha fatta senza sapere chi fosse Zerocalcare Non c’era alcuna «intenzione di esprimere sostegno a nessuna opinione o posizione» da parte di Kojima, si legge nel comunicato stampa della Kojima Productions.
Anche Charli XCX si è messa a scrivere su Substack Il suo primo post si intitola "Running on the spot of a dream" e parla di blocco della scrittrice/musicista/artista.
A poche ore dalla vittoria al Booker Prize è stato annunciato che Nella carne di David Szalay diventerà un film Ad acquisire i diritti di trasposizione del romanzo sono stati i produttori di Conclave, noti per il loro fiuto in fatto di adattamenti letterari.
Il nuovo film di Tom Ford è già uno dei più attesi del 2026, per tantissime e buonissime ragioni Un progetto che sembra quasi troppo bello per essere vero: l'adattamento di uno dei più amati romanzi di Ann Rice, un cast incredibile, Adele che fa l'esordio da attrice.
Nel primo teaser del Diavolo veste Prada 2 si vede già la reunion di Miranda e Andy Le protagoniste salgono insieme sull’ascensore che porta alla redazione di Runway, riprendendo una scena cult del film originale.

Easy Rider ha ancora qualcosa da dirci

Il cult del ’69 di Dennis Hopper è arrivato su Netflix e riguardarlo è un'ottima idea.

04 Maggio 2020

Quasi allo stesso livello di guardare  Midsommar – l’horror di Ari Aster su una comunità svedese dedita a riti di purificazione che comprendono l’auto-eliminazione degli over 70 – nei giorni in cui la Svezia è l’unico Paese d’Europa a rifiutare il lockdown, c’è guardare Easy Rider nei giorni in cui dobbiamo stare chiusi in casa (o quasi). Dal primo maggio si trova su Netflix che, forse in corrispondenza della fine della quarantena, ha deciso di festeggiare la ritrovata semi-libertà con un film che nell’edizione italiana recava il sottotitolo «Libertà e paura». Per i troppo giovani che non sanno di cosa si parla (molto grave): uscito nel 1969, è il film più rappresentativo – non necessariamente più bello – del ventennio ’60-’70. Più di 5 pezzi facili (1970) o di Punto Zero (1971) o di Zabriskie Point (1970) o di Duel (1971), tutti i film di culto di quel passaggio di decade, ma usciti un anno o due anni dopo e quindi tutti debitori in qualche modo di almeno un’ispirazione. (C’è da dire però che a sua volta il soggetto di Easy Rider è dichiaratamente ispirato al Sorpasso di Risi).

La storia produttiva di questo film, che renderà canonica la definizione di “road movie”, è quella di un lungometraggio a basso costo (400 mila dollari) girato, come si dice, in famiglia. I due attori protagonisti, Dennis Hopper e Peter Fonda, sono rispettivamente il regista e il produttore (oltre che, insieme a Terry Southern, gli sceneggiatori). Il terzo attore è un pazzescamente ispirato Jack Nicholson, avvocato di buona famiglia, ma ribelle e perennemente ubriaco e, in definitiva indimenticabile, oltre che candidato all’Oscar come non protagonista e da lì in poi lanciato verso la carriera che sappiamo (era nel giro da una decina d’anni ma senza mai arrivare alla fama).

Il successo di pubblico è tanto immediato quanto inaspettato. Uscito il 14 luglio del 1969, Easy Rider diventa subito il film da vedere di quell’estate per arrivare a conquistare il terzo posto nei maggiori incassi di quell’anno e a ottenere due nomination all’Oscar (“Miglior sceneggiatura originale” oltre a quella per Nicholson).

La trama è di una semplicità disarmante: Billy e Wyatt acquistano una partita di cocaina in Messico e la rivendono negli Stati Uniti. Coi soldi che guadagnano dall’operazione comprano due grandi motociclette chopper, che da lì in poi diventeranno icona storiche anche quelle, e partono per un viaggio dalla California a New Orleans, il famoso coast to coast, che cercano di raggiungere in tempo per il Mardi Gras. Il film è il racconto di questo viaggio che attraversa l’America, un Paese in cui si affacciano le prime manifestazioni della controcultura – gli hippie, le canne, le comuni – che resta però sostanzialmente bigotto e conservatore. Ma anche una specie di lungo video ante litteram per una una sequenza di canzoni che resteranno scolpite nella storia: “Born to be wild” (Steppenwolf), “The Weight” (The Band), “The Ballad of Easy Rider” (The Byrds), “If six was nine” (Jimi Hendrix) tra le altre.

Per chi è nato negli anni ’70, Easy Rider è stato un po’ un battesimo culturale, così come lo sono stati pochi altri film o libri o dischi di quegli anni. È su quegli anni che la mia generazione si è “formata” e sono stati quegli anni che, soprattutto quando eravamo più ingenui, abbiamo vagheggiato di rivivere. Credo sia stato così anche per quelli nati prima di me; dopo non so. Mi sono chiesto quanto siamo lontani adesso da lì, riguardando il film, che l’anno scorso festeggiava il suo cinquantenario. Il calcolo è che dei ragazzi che oggi hanno 15 o 20 anni sono lontani dal 1969 come quanto lo era per me la Seconda guerra mondiale, cosa che, più che farmi sentire vecchio, mi dà un senso di assurdità del tempo. Non so se gli anni ’90 rappresentino per un diciottenne di oggi quello che gli anni ’70 hanno rappresentato per molti diciottenni di ieri, ma non mi pare che al di là dei codici estetici, un’epoca abbia mai irradiato con così tanta potenza i suoi messaggi.

Quei messaggi Easy Rider li incarna tutti, compreso il messaggio più forte e banale, quello che visto con i nostri occhi di rinchiusi fa ancora più impressione, la libertà. La libertà di farsi crescere i capelli e di vestirsi come si vuole e il viaggiare senza meta e avere una vita senza programmi o convenzioni sociali. Guardare Easy Rider in questi giorni mi ha fatto pensare che, nel progredire ciclico della storia, potremmo ricominciare a volere cose che ci sono sembrate raggiunte o superate, un bisogno di rifiutare certe costrizioni, il desiderio di fuga. Gli anni ’60-’70 sono tornati sotto forma di revival molte volte, ma chissà, forse sotto un’altra forma, potrebbero riapparire ancora.

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