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Come crescere una figlia femmina

Secondo Annalisa Monfreda, come se non fosse femmina: lo spiega nel suo libro, che parte dal viaggio di una madre con le sue bambine.

07 Maggio 2018

Per anni, mi sono rifiutata di considerare la narrativa femminile come una categoria, di pensare che educare un figlio fosse diverso da educare una figlia, e perfino di dare spazio nella mia vita a un’entità definibile come le mie amiche. Credevo che associare letteratura, pedagogia, carriera o rapporti umani a una questione di genere fosse l’ammissione di una differenza che non volevo riconoscere, perché mi piaceva crederla superata, almeno nella nostra metà di mondo.

Quest’anno, dopo la ribellione social partita delle attrici di Hollywood – il luogo più evoluto del globo, dove pensavo il succo di kale avesse guarito qualsiasi ingiustizia – mi sono ritrovata a regalare pacchi di Storie della buonanotte per bambine ribelli alle amiche, e a discutere con colleghi, editor e blogger raffinati sull’opportunità di questo best-seller mondiale tanto vituperato in patria. Sempre nell’ultimo mese, ho assistito a panel come “Uomini che leggono le donne” o “Donne nella fantascienza”; ho riflettuto sul confine tra sesso e violenza nei rapporti di potere, attraverso il libro di un’amica; e chiacchierato di statistiche sulla differenza di retribuzione delle donne nel campo dell’editoria. Non ultimo, ho incoraggiato mia figlia a giocare a calcio con un gruppo di dieci maschi, mentre il telegiornale parlava, quasi ogni giorno, di femminicidio. Infine, nonostante avessi appena aperto la partita IVA nella prospettiva di pubblicare di più, ho portato avanti la gravidanza di un terzo figlio: un maschio.

Ed è qui che è arrivato il libro di Annalisa Monfreda (Come se tu non fossi femmina, pubblicato da Mondadori il 24 aprile) che racchiudeva un po’ tutto questo (ma dopo tutto, i libri scritti bene ci parlano sempre di noi). All’inizio, leggendo il titolo, Come se tu non fossi femmina, avevo pensato: peccato che non posso usare questo manuale col mio nuovo figlio. Mi sbagliavo. Annalisa, autrice e voce narrante, è una donna priva di senso dell’orientamento e goffa al volante, che decide comunque di partire per un viaggio on the road in Croazia con le sue bambine, per dar loro un esempio di indipendenza, ma soprattutto per seguire un proprio desiderio. Prima lezione: niente di meglio che seguire la propria felicità, per insegnare ai figli a essere felici.

I lunghi viaggi in macchina sono interrotti da domande che le figlie dell’autrice sembrano porre direttamente a me. Mamma, perché hai deciso di farci nascere, se prima viaggiavi in Medio Oriente e ora dirigi una rivista femminile? Ecco la questione spinosa che sopivo da mesi: come essere figure esemplari di parità di genere, nonostante una scelta di maternità che ha inevitabilmente deviato il percorso? Mi viene in mente che all’inizio de La scrittura o la vita, Annalena Benini racconta di come Marina Cveateava lasciasse la figlia morire di freddo e di stenti, per inseguire il demone della scrittura, o di come Alice Munro scostasse la sua bambina di due anni dalla macchina da scrivere senza vederla. Questa auto-affermazione di “felicità” non è esattamente la risposta che vado cercando, ma il libro della Monfreda mi fa subito bene, perché ci incoraggia a mostrare ai figli che non abbiamo smesso di palpitare e di affermarci. Realizzo che il consiglio mi è altrettanto utile per i due maschi: non solo affinché non mi chiedano di stirare i colletti, ma soprattutto perché non lo chiedano alle donne di domani.

Le lezioni che Monfreda vuole tramandare alle discendenti della sua famiglia storicamente matriarcale sono cinquanta, ognuna fiorita spontaneamente da un momento del viaggio. L’autrice tocca con la semplicità che si addice a due under-10 temi come temi come il ciclo, il rapporto libero col proprio corpo, un’idea di bellezza non standardizzata, la solidarietà tra donne, l’ambizione, l’educazione sentimentale. E lo fa chiamando in causa i testi di fiction e non fiction più importanti che dagli anni Sessanta a oggi sono stati scritti sull’educazione femminile, per chi se li fosse persi: dalle rigide costrizioni inflitte a Simone de Beauvoir nel suo Memorie d’una ragazza perbene, passando per il rivoluzionario saggio degli anni Settante Dalla parte delle bambine, sul condizionamento culturale nello sviluppo del carattere femminile, fino ad arrivare ai Quindici consigli per crescere una figlia femminista di Chimamanda Ngozi Adichie e addirittura all’Amica Geniale.

Mentre intesse un discorso vivo, ideale e pragmatico insieme, sotto l’ala di tanti numi tutelari – citati con la stessa solennità delle sue nonne – l’autrice non è mai snob né ideologica su nulla: riporta le biografie di alcune eroine incluse in Storie della buonanotte, ma poi insiste sul non censurare i classici, come vorrebbe un certo approccio revisionista alle fiabe. In macchina, tra Fiume e Spalato, c’è sempre un audiolibro che macina e tiene buone le passeggere. Bianca Pitzorno con le sue mille protagoniste femminili coraggiose e dai nomi strani è sempre un ottimo carburante. Ma che delusione, per due giovani esploratrici, quando alla fine di Piccole donne tutte si sposano! Non vogliono saperne più niente.

Ne Le donne amate, di Francesco Pacifico, il protagonista Marcello, alterego dell’autore, lotta per scrivere un romanzo diverso dai grandi romanzi di maschi dove «gli uomini si agitano, sbagliano, si sbattono in un flipper in cui le donne sono solo le sponde […] sembrano protagoniste», ma «in realtà sono pura funzione della pallina di metallo dell’uomo». Accanto a questa febbre di rivalsa, oggi apparentemente così necessaria, Monfreda afferma l’intenzione di non censurare i classici, nemmeno per le sue figlie di sei e nove anni, rimpiazzando Cenerentola con Rita Levi Montalcini. Piccole donne, spiega, «parla ancora oggi di un mondo tremendamente contemporaneo, dove tutti, uomini e donne, crescendo, finiscono per rinunciare ai propri sogni». Come Azar Nafisi, la professoressa che leggeva Lolita alle ragazze velate di Teheran, «non dobbiamo mettere i libri all’indice, ma leggere alle nostre figlie le pagine più contradditorie della storia della letteratura», indipendentemente dalle questioni di genere.

La posizione più convincente sul tema, Monfreda la trova in Virginia Woolf, a proposito della scrittrice immaginaria Mary Carmicheal di Una stanza tutta per sé: «Scriveva come una donna, ma come una donna che si è dimenticata di essere una donna; sicché le sue pagine erano piene di quella curiosa qualità sessuale che appare soltanto quando il sesso non è consapevole di se stesso». Come sarebbe bello, un giorno, che i miei figli maschi non dovessero moderare un panel tipo “Uomini che leggono le donne”.

Come se tu non fossi femmina mi ha ricordato che le cinquanta regole sarebbero inutili, senza coinvolgere i bambini in un’educazione paritaria. Il che non significa, come nei fanatici asili svedesi, insegnare alle bambine a urlare e ai maschi a stare composti. Significa che così come mia figlia vuole essere d’Artagnan, mio figlio potrebbe ispirarsi a Samantha Cristoforetti. Molte amiche mi chiedono: ma quando escono le Storie della buonanotte per bambini ribelli? Leggetegli quell’altro, quello delle femmine. Ma come quello delle femmine?! Sì, come se non fossero maschi.

Allo stesso modo, il libro della Monfreda non è un libro per genitori di femmine. Le cinquanta regole si devono applicare a tutti, come la ventitré, Non è il sesso a determinare il ruolo che uno ha nella società, o la ventinove, Nessuna forma di potere autorizza una mancanza di rispetto. Su questa strada, un giorno, le bambine di oggi incontreranno più uomini come il capo della Monfreda, che, affidandole la direzione di una rivista proprio mentre lei era incinta, le disse candidamente: «Non vedo dove sia il problema».

Foto Getty
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