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La leggenda dello Chateau Marmont

L’affascinante castello di Sunset Boulevard, segretissimo buen retiro delle star, e location dell'after party degli Oscar, potrebbe presto diventare ancora più esclusivo.

di Niccolò Sandroni

Direttamente o indirettamente, consapevolmente o inconsapevolmente, quando si parla di Hollywood, del cinema e del divismo in generale, si parla anche dello Chateau Marmont. Tuttavia, prendendo in prestito le parole di Bret Easton Ellis pronunciate per bocca del protagonista di American Psycho: c’è una vaga idea dello Chateau Marmont, una sorta di astrazione. Questo leggendario hotel situato al numero 8221 di Sunset Boulevard, West Hollywood, Los Angeles, anzitutto nasce non come un hotel ma come un condominio per ricchi. È il 1926, in una zona di periferia dove il trasporto cittadino e l’asfalto si fermano e i campi di cipolle proliferano, l’avvocato Fred Horowitz vede stagliarsi il suo sogno: un castello francese in stile gotico in cui possano abitare i facoltosi californiani. La sua è ben più di una vaga ispirazione, il progetto affidato agli architetti infatti prenderà forma proprio sulla base dello Château d’Amboise, castello del XI secolo situato nella Valle della Loira.

Lo Chateau Marmont apre ufficialmente il primo febbraio del 1929 e suscita subito molta curiosità, non solo per l’imponente struttura ma anche per i discutibili interni. Nessuna camera aveva la stessa dimensione e nonostante la sua destinazione, a causa di una mancanza di fondi, gli arredi provenivano da una vendita all’ingrosso e in parte proprio dalle case di Horowitz e soci. Quelle che oggi sono camere d’albergo erano presentate sul mercato come appartamenti, più o meno grandi, a seconda delle esigenze degli affittuari, comprensivi di cucina e posto auto. Purtroppo, come la strada che costeggia lo Chateau, il suo destino è stato subito in salita. Con la Grande Depressione, e solo per miracolo, venne scongiurata l’imminente vendita che divenne inevitabile tre anni più tardi. Saranno poi numerosi i passaggi di mano durante i quali la struttura diverrà un hotel che non è opportuno chiamare di lusso ma che invece è più corretto definire come un porto sicuro in cui riparare, in particolare se a cercare rifugio è una star del cinema.

C’è un noto adagio a Hollywood che dice “se vuoi essere visto vai al Beverly Hills Hotel, se non vuoi essere visto vai allo Chateau Marmont”. Quando arrivi al Beverly Hills Hotel, trovi due facchini per lato della macchina pronti ad aprirti lo sportello, un usciere sorridente all’ingresso e flotte di personale nei corridoi intente a salutarti e chiedere se hai bisogno di qualcosa. Al contrario, quando arrivi allo Chateau non trovi assolutamente nessuno, né personale né ospiti: il posto sembra abbandonato. Arrivi indisturbato nella hall e non sei assalito da facchini o accolto da anima viva. Devi suonare il campanello ed ecco che compare il concierge. Tutto questo potrebbe essere inteso come pessimo servizio ma un altro punto di vista, decisamente più consono allo spirito della struttura e a chi vi fa ricorso, è riconducibile a una sobria eleganza e ricercatezza, mescolata con il trasandato chic o bohémien. Un’atmosfera che fin da subito ti fa sentire a casa lontano da casa, non ospite ma residente.

Un altro adagio, ancora più noto e vero del precedente, recita: “se devi metterti nei guai, fallo allo Chateau Marmont”. Nel corso degli anni, proprio come conseguenza della grandissima discrezione del personale e della severa politica di non divulgazione circa quanto accade all’interno della struttura, divi del cinema, della musica e artisti si sono lasciati andare a ogni tipo di eccesso, eventi divenuti di dominio pubblico solo in seguito ed entrati a far parte della leggenda del luogo. Sono davvero troppi gli episodi curiosi qui avvenuti per riportarli tutti ma in merito fa un lavoro incredibile il libro Il castello di Sunset Boulevard di Shawn Levy. Il caso di John Belushi è tristemente noto, come le acrobazie di Jim Morrison da una terrazza all’altra o le avventure sessuali in ogni stanza dell’albergo da parte di Johnny Depp e Kate Moss. Altri episodi invece sono meno noti al grande pubblico. Come le abilità culinarie di Anna Magnani che con i suoi piatti profumava i corridoi e suscitava l’interesse degli altri ospiti, o di quando l’attrice italiana venne rincorsa dalla collega Shelley Winters rischiando la rissa a causa del tradimento del marito, ma venendo comunque raggiunta dalle offese (in italiano).

Esemplificativo di come veniva visto lo Chateau dalle star è il soggiorno di Montgomery Clift a seguito dell’incidente che lo ha quasi ucciso e sfigurato in volto. Dopo il forte trauma l’attore cercò di ritrovare se stesso in un luogo a lui caro come lo Chateau, ma la situazione finì invece per peggiorare. Appese il cartello “non disturbare” fuori dalla porta della suite, tolse tutte le lampadine e si perse nel buio più profondo anche a causa di alcol e antidolorifici.Di tanto in tanto usciva in stato di alterazione e disperazione, gridando e piangendo per i corridoi o nel terrazzo, talvolta nudo. Che lo Chateau sia stato anche un luogo di estremo riserbo lo dimostra il fatto che Roman Polanski, per sfuggire ai paparazzi durante il noto processo che lo ha visto coinvolto, abitasse in una suite e che proprio lì prese la decisione di andarsene dagli Stati Uniti senza farvi mai più ritorno.

In pieno spirito bohémien qui hanno preso forma opere letterarie, musicali e ovviamente cinematografiche. Il regista Nicholas Ray si vide palesare senza invito alla porta del suo bungalow con una capriola un semi sconosciuto James Dean, ed è così che proprio nel suo salotto prese forma Gioventù bruciata. Per oltre 20 anni il fotografo Helmut Newton, che viene considerato ancora oggi l’ospite per antonomasia dello Chateau, ha trascorso qui il periodo che va dal Natale fino a marzo, usando le camere e i bungalow come set per i suoi servizi fotografici e trovando anche la morte, al volante della sua auto, a seguito di un infarto, proprio davanti all’ingresso di Marmont Lane. La mattina di quel tragico giorno incontrò in ascensore una giovane Sofia Coppola con la quale scambiò alcune parole. La regista era molto affezionata all’hotel tanto da ambientarci poi un film, Somewhere, riuscendo a trasporre particolarmente bene l’atmosfera che si respira nella vita di tutti i giorni. Ma quello tra lo Chateau e i Coppola è un legame di famiglia: oltre ad essere ospiti abituali, compreso Nicolas Cage, per un periodo Francis Ford pensò seriamente di comprarlo. È lunga la lista di stelle che hanno avuto suite prenotate a loro nome per anni e che hanno deciso di abitarci a intermittenza pur avendo una casa di proprietà non molto lontano, come Keanu Reeves o Howard Hughes ad esempio. Prima di affermarsi nel mondo del cinema e di frequentarlo come cliente, Mark Ruffalo ci ha addirittura lavorato come barman.

Inevitabilmente la presenza dei vip ha assunto così un senso decisamente diverso rispetto al passato, con i giornali che se ne sono interessati sempre di più e ne hanno fatto il luogo di perdizione per eccellenza. Durante l’epoca della Golden Age di Hollywood le grandi case di produzione parcheggiavano qui gli attori per le loro scorribande e in pochi se ne curavano. Più o meno lo stesso avvenne in seguito, quando a frequentarlo erano gli attori dell’Actors Studio che ritrovavano allo Chateau Marmont un po’ della loro New York. Con il tempo, internet e gli smartphone si sono verificate inevitabili falle nella privacy degli ospiti e stare allo Chateau ha preso tutto un altro significato: le star che vi soggiornavano lo facevano per status e con certezza finivano in pasto ai media.

In questo senso sono famosi i casi di Britney Spears e Lindsay Lohan, la prima in escandescenze al ristorante, la seconda con un debito di oltre 46.000 dollari, entrambe poi accompagnate all’uscita. Ma una nuova tradizione hollywoodiana, inaugurata da una delle coppie più in vista dei nostri tempi, si sta facendo largo a Los Angeles. Dal 2018, quest’anno compreso, dopo ogni edizione degli Oscar, Beyoncé e Jay-Z tengono una festa allo Chateau, un ritrovo di stelle paragonabile alla Walk of Fame, un after che viene chiamato Gold Party.

Nel corso degli anni le costanti sono state tre: la presenza di personaggi illustri, i loro eccessi con relativa discrezione del personale, gli interni praticamente mai oggetto di restauro se non quello conservativo e solo quando la situazione stava degenerando. Anche quest’ultimo aspetto, se adattato a qualsiasi altra struttura ricettiva, può essere definito come un intollerabile difetto, allo Chateau invece ha assunto tutto un altro significato, come se la polvere sui divani, gli spifferi dalle finestre, la moquette logora o le piastrelle scheggiate, fossero preziosissimi segni del tempo che solcano un bellissimo volto. Tutto questo ovviamente fa parte di una magnifica illusione, come ben sa l’attuale e più longevo proprietario André Balazs, un’illusione che a Hollywood padroneggiano dai tempi di Buster Keaton e che ancora oggi funziona e attrae alla perfezione. A più di novant’anni dalla sua apertura, il castello di Sunset Boulevard, nonostante i numerosi cambiamenti della Strip, è ancora lì, immutato, imponente, sotto gli occhi di tutti, in un modo o nell’altro conosciuto da tutti eppure quasi segreto, nascosto, discreto. Qualcosa però è destinato a cambiare, anzi, a tornare come era un tempo.

Nei piani di André Balazs per l’imminente futuro c’è un ritorno al passato con l’ingresso di altri soci nella proprietà dello Chateau, una partecipazione allargata a futuri inquilini che decidano di trasferirsi nella struttura in modo più o meno stabile, usufruendo dei servizi tipici di un hotel che diventa di fatto un club esclusivo con tanto di maggiordomo personale. Ai comuni mortali sarà concessa solo la frequentazione del ristorante. I nuovi azionisti di questo circolo di fatto saranno proprio quei condòmini facoltosi a cui mirava il primissimo proprietario e custode del sogno Fred Horowitz alla fine degli anni ’20. La nuova sfida di Balazs, oltre a quella di sopravvivere agli scandali e alla pandemia, è realizzare quel sogno e mantenere intatto il culto dello Chateau Marmont anche senza le incursioni di chi (ancora) non è famoso.