Attualità | Polemiche

Carlo Rovelli ha bisogno di un anno di riposo e oblio

L'intervento durante il concerto del Primo maggio a Roma è solo l'ultima uscita polemica del fisico, che nell'ultimo anno è diventato uno dei volti e delle voci dello sgangheratissimo fronte pacifista italiano.

di Francesco Gerardi

Forse erano tutti troppo impegnati a maledire la pioggia o a chiedersi di che cosa diavolo stesse parlando Ambra Angiolini nel suo inintelligibile monologo, e quindi nessuno tra il pubblico si è accorto dell’incredibile fenomeno naturale verificatosi sul palco del concertone del Primo maggio di Roma. A un certo punto, una persona si è trasformata in un’altra, un uomo ha assunto le sembianze di un altro uomo: il fisico Carlo Rovelli si è trasformato in Fedez. Nessuno sa esattamente né come né perché sia successo, ma gli scienziati sono al lavoro e le teorie in elaborazione. Il fenomeno deve avere a che vedere almeno in parte con l’acqua: quando Rovelli ha cominciato il suo intervento era circondato da acqua, a causa del maltempo che ha funestato la festa dei lavoratori dello scorso lunedì. Questo deve aver favorito la trasformazione in Fedez, anche lui circondato dall’acqua nell’ultima occasione in cui ci siamo ricordati della sua esistenza: la canzone-invettiva-monologo contro il vice ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Galeazzo Bignami, sfuriata avvenuta mentre il rapper solcava il Mediterraneo a bordo di una nave da crociera Costa Concordia.

C’entra l’acqua, quindi, ma pure la musica: la trasformazione di Rovelli in Fedez è avvenuta nel bel mezzo del concertone, l’altro grande evento musicale italiano assieme al Festival di Sanremo, il palcoscenico scelto dal rapper per presentare l’inedito singolo antigovernativo di cui sopra. Quindi acqua, musica e, ovviamente, politica. Con il fare esplicativo di chi sa di avere davanti il pubblico di Rai Uno, nella sua esibizione Fedez si era portato dietro una foto di Bignami vestito da SS per far capire che era proprio di lui che stava parlando. Meno avvezzo alla società dello spettacolo, Rovelli è stato più criptico nel suo monologo e ha evitato di fare nomi: si è limitato a dire che «In Italia, il ministro della Difesa è stato vicinissimo a una delle più grandi fabbriche di armi nel mondo, Leonardo. Il Ministero della Difesa deve servire per difenderci dalla guerra, non per fare i piazzisti di strumenti di morte». Anche se non è stato fatto il suo nome, al ministro della Difesa Guido Crosetto non è sfuggito il fatto che si stesse parlando di lui ed è prontamente intervenuto: facesse il fisico, ha intimato a Rovelli, e venisse a pranzo da me così ne parliamo di persona. Grazie, come se avessi accettato ma me ne sto a casa mia, ha risposto il fisico: «La questione non è personale ma politica», ha spiegato. Fosse stata personale, la questione, sul palco del concertone del Primo maggio si sarebbe portato la foto di Crosetto.

Un giorno nel futuro non troppo lontano (si spera), un gruppo di ricerca interdisciplinare composto da storici, sociologi e soprattutto psicologi pubblicherà un paper grazie al quale finalmente capiremo gli effetti della guerra in Ucraina sul dibattito pubblico italiano. Sicuramente ci sarà un capitolo dedicato agli intellettuali del nostro Paese e alle conseguenze del conflitto sul loro equilibro psicoemotivo. Le conseguenze della guerra su di loro potrebbero essere raccolte sotto l’evocativo ed efficace nome di effetto Orsini, inevitabile per una sorta di sindrome apparentemente capace di mutare il più mite e pacato degli esseri umani in un polemista incontenibile e incontentabile. Uno dei case study più importanti di questa ricerca, se non il più importante, sarà senza dubbio il professor Carlo Rovelli. Fino al 23 febbraio 2022, Rovelli era il professore dalla voce gentile e dai capelli arruffati che si era preso il disturbo di spiegare la fisica a uno dei popoli meno avvezzi alle hard sciences che ci siano al mondo. Sette brevi lezioni di fisica, il delizioso libricino Adelphi che lo ha reso il padrino dei nerd d’Italia, era scritto esattamente nel modo in cui Rovelli parlava: con la serenità e la gentilezza di chi sa di avere davanti una persona che probabilmente non capirà mai davvero di che cosa si sta parlando. Modi e toni che avevano fatto di Rovelli il Carl Sagan italiano, l’Alberto Angela dei millennial, l’ultimo erede della gloriosa casata dei divulgatori scientifici italiani. Rovelli era il volto umano della scienza, l’anti-Burioni, il contro-Odifreddi. Aveva tutto il curriculum accademico e tutte le citazioni – New York Times, Foreign Policy, Forbes – e niente della spocchia e della sicumera che talvolta vengono da queste affermazioni personali. Ci sono luoghi al mondo dove più che le regole è importante la gentilezza, il titolo del libro-intermezzo pubblicato tra L’ordine del tempo e Helgoland. La gentilezza.

E poi è arrivato il 24 febbraio 2022, le truppe della Federazione russa hanno superato il confine con l’Ucraina, l’inizio di una guerra che doveva finire in tre giorni e che invece si trascina ormai da così tanto da non superare più la soglia dell’attenzione collettiva. Quando lessi del post su Facebook in cui Rovelli metteva a confronto due devastazioni per provare non si capisce ancora quale punto – «Un’immagine di Kiev devastata dai russi. Ah no, scusate, mi sono sbagliato. Questi erano gli americani a Hiroshima», il commento – ero convinto di essermi imbattuto in un refuso: sicuramente non si trattava del professor Rovelli quello della gentilezza ma del quasi omonimo Ravelli, accademico marxista, opinionista duro e puro sempre presente quando si tratta di dare un volto e una voce allo sgangheratissimo fronte “pacifista” italiano. E invece era proprio il professor Rovelli quello della gentilezza. Che nelle settimane e nei mesi successivi avrebbe rilanciato con articoli sul Corriere, interviste (ovviamente) al Fatto, interventi sui social, sostenendo strampalate teorie per le quali Zelensky e Putin pari sono («due maschioni tatuati di periferia che si picchiano di santa ragione e sono disposti a tutto pur di non cedere»), ribadendo che ogni aiuto strategico-militare all’Ucraina costituisce un’offerta portata all’altare della guerra e condividendo bufale smentite pure da Amnesty International sull’esercito ucraino che bombarda edifici civili e scava fosse comuni a Donetsk.

Non so perché succede né perché succeda così spesso, questa cosa dell’effetto Orsini. Forse è la vanità e la sovraesposizione mediatica e l’information overload. Forse è la pervicace e novecentesca malattia dell’intellettuale impegnato o, peggio ancora, dissidente. Forse siamo nell’epoca in cui il dibattito pubblico funziona proprio come la guerra guerreggiata: l’escalation è l’unica progressione possibile, la ritirata la scelta impensabile, la resa quella inaccettabile. Se la si spara grossa una volta, poi la si può solo sparare un po’ più grossa in tutte le volte successive. E quindi, se si comincia facendo una classifica della distruzione in cui Kiev vale uno e Hiroshima dieci, non si può che finire sul palco del concertone del Primo maggio di Roma a parlare di piazzisti della guerra, mentre chi guarda vede un fisico trasformarsi in un rapper. In tutto questo, è avvilente riconoscere la difficoltà persino di uno scienziato di arrendersi a quel principio di competenza – sapere davvero cosa sia un buco nero non implica sapere anche cosa sia successo davvero in Donbass – che così spesso la categoria usa per imporre la resa agli altri. A quanto pare, quel principio vale solo quando la competenza è la propria. In tutti gli altri casi, invece, vale la libertà d’opinione ed espressione, che spesso, lo sappiamo, è la scusa degli incompetenti.

Per scrivere questo pezzo ho rivisto più volte il video dell’intervento di Rovelli durante il concertone. Alla fine del suo monologo, Ambra Angiolini e Fabrizio Biggio, presentatrice e presentatore, si premurano di precisare che sul palco del Primo maggio «non c’è censura». Mi hanno fatto tornare in mente un episodio assai simile: il commento di Amadeus dopo l’esibizione di Fedez durante l’ultimo Festival di Sanremo. Mai avrei pensato di sentire un intervento di Rovelli commentato alla stessa maniera di uno di Fedez. Ma non avrei mai pensato nemmeno di vedere un fisico che si trasforma in un rapper.