Cultura | Dal numero
Come diventano virali le canzoni su TikTok
È il social dove la musica gioca il ruolo più importante, ma non c’è una formula magica per sapere prima cosa funzionerà o cosa no. Così le major discografiche si muovono tra caso e strategia.
Mick Fleetwood su TikTok
Questo è uno degli articoli raccolti nel numero speciale di Rivista Studio, tutto dedicato all’app cinese di proprietà di ByteDance, una piattaforma che in due anni sembra essersi evoluta più velocemente di quanto abbia fatto Instagram negli ultimi dieci. Per scoprire il resto del numero, con saggi, interviste, reportage e approfondimenti su come TikTok sta cambiando il senso della bellezza e del desiderio, la musica, la moda, la cultura pop e in generale il nostro modo di stare su internet, puoi trovarci in edicola o comprare una copia qui.
Come ve lo immaginate un ex percussionista di una rock band anni Sessanta? Io sto vedendo: calvizie dominanti, lungo codino bianco, barbetta, una maglia colorata. Catenine d’oro un po’ hippie ciondolanti sul petto. Forse ha un pick-up. Mick Fleetwood è il batterista dei Fleetwood Mac: non so che auto guidi, ma per il resto ce le ha tutte. Ci ha fatti rientrare nella sua vita qualche mese fa, grazie a un video pubblicato sul suo profilo TikTok: se ne sta su uno skateboard, trecciona al vento, mentre tende le labbra e cerca l’imboccatura di una bottiglia di succo rosso. Guarda in camera e sorride: ascoltiamo “Dreams” con lui, una delle hit della sua band. Accenna un lip-sync. Quello di Mick era un omaggio. Si è sentito in dovere di omaggiare il tiktoker che ha fatto tornare una sua vecchia canzone in classifica dopo 45 anni. O meglio, si è sentito di riprodurne la formula magica, la danza propiziatoria: qualche giorno prima un certo Nathan Apodaca si era ripreso e pubblicato su TikTok mentre faceva qualcosa di simile, sullo skate, sulle note della stessa traccia. Succo di mirtillo in mano, aveva portato “Dreams” a crescere del 184 per cento in termini di vendite in soli tre giorni, a più che raddoppiare gli stream medi giornalieri, a portare al 242 per cento la crescita del numero di utenti che l’hanno ascoltata per la prima volta. Otto milioni e mezzo di play in una settimana, sessanta milioni di views in sei mesi. E non l’aveva neanche fatto apposta. Stevie Nicks, storica voce della band, la donna che si sente cantare in “Dreams”, sulla Cbs si dice interdetta, stordita, non è in grado di spiegarsela. «Giuro, questa cosa di TikTok mi sta facendo scoppiare il cervello». Comprensibile. TikTok è un aggeggio ancora da decifrare per intero, eppure potentissimo. Qualche dato: a settembre 2021 l’app ha raggiunto e superato il miliardo di “monthly active users” globali. Stiamo parlando di una platea grande circa tre volte quella di Spotify, per una piattaforma dominata al 60 per cento da gente nata dopo il 1996, e quindi da Gen Z, la generazione che ha deciso che la musica è ancora rilevante, e che secondo vari studi ne farebbe uno degli interessi principali.
Non è un caso se nel 2020 sono state ben 176 le canzoni che hanno superato il miliardo di views su TikTok, e 70 gli artisti che la piattaforma stessa ha concorso a lanciare, a far finire in major, contribuendo a farli diventare virali. Così come non è un caso se la piattaforma sta diventando sempre più influente – se non centrale – nel mercato musicale. Ma prima: chiariamoci subito, e capiamo di cosa parliamo quando parliamo di musica e TikTok. In “A Year in Music on TikTok”, qualche tempo fa, Pitchfork parlava di giornalisti musicali abituati a pensarlo come un posto in cui i teenager ballano in preda a ritmi Edm che diventano hit, in un instancabile meccanismo ripetitivo fatto di mossette e viralità inspiegabile e, in generale, di una certa ritrosia a capirne i meccanismi da parte della stampa di settore. E invece, prima di tutto, è importante partire da qualche punto fermo. Si può partire da quello – numero uno – secondo cui su TikTok quasi sempre ti capita di vedere solo quello che interessa a te: il suo algoritmo è molto raffinato, lo capisce, ti capisce, ti tiene incollato allo schermo. Se vedi solo gatti, ti piacciono i gatti. Se vedi solo rap, ti piace il rap.
@420doggface208 ♬ Dreams (2004 Remaster) – Fleetwood Mac
Numero due, un video può finire nella tua pagina principale (“Per te”) anche se il profilo di chi lo ha pubblicato non ha niente a che vedere con il tuo: magari non lo segui, magari non lo segue nessuno, ma può comunque capitargli di fare un giro incredibile, diventare virale, aumentando esponenzialmente la possibilità che le cose accadano quasi per caso. Terzo: la musica su TikTok è di capitale importanza, proprio per com’è fatto il meccanismo di costruzione dei contenuti. Com’è noto, la piattaforma di ByteDance nasce come mezzo su cui adattare in video balletti e lip-sync musicali. Oggi ci si possono trovare clip ironiche, catturare momenti di vita, rivedere e ricondividere tendenze, riprendere meme, battute, coreografie e farle proprie. E qui veniamo al punto. Molte di queste “content opportunity” si abbinano in genere a una canzone, o meglio, a una determinata e ben precisa porzione della canzone: uno “snippet”. E quindi, producendoti in questo meccanismo di richiami musicali tendenzialmente “pop”, ti capiterà di utilizzare la stessa canzone del video dal quale hai preso spunto, o col quale stai facendo un “duetto”, aumentandone ancora di più la platea potenziale, in poche parole: facendola ascoltare a riprodurre a sempre nuove persone, che a loro volta possono riprendere e allargare il meccanismo. Poi, è chiaro che più sei “influente” su quella piattaforma, più questa canzone finisce nelle orecchie di sempre più persone, giustificando talvolta anche un certo tipo di tariffari che propongono anche gettoni da decine di migliaia di dollari, per la condivisione sulle pagine di alcuni creator. Ma che sia organico, che sia “a pagamento”, avrai quasi dal nulla un qualsiasi brano, inizialmente abbinato a uno specifico, innocente trend, capace di diventare virale, e sfondare nel mercato musicale, esattamente come se fosse stato lanciato come “singolo”, come se dietro ci fosse tutto quel mondo intricatissimo di relazioni, calendari, partnership e comunicazione che di solito sottende a una release discografica. Solo che non c’è. Comprensibile che a Stevie Nicks esploda un po’ il cervello, dicevamo. Perché la stessa, insondabile sorte è capitata anche a qualche altro vecchio successo – come “Rasputin” dei Boney M. o “Put Your Head On My Shoulder” di Paul Anka – così come a nuove, istantanee hit i cui casi si susseguono quasi ciclicamente.
C’è il caso emblematico di Bella Poarch, che da tiktoker da più di 80 milioni di follower esperta in scenette ironiche e piccole danze, è passata alla musica diventando uno dei migliori esordi musicali di sempre su YouTube, e raggiungendo la top 100 in praticamente ogni paese con “Build a Bitch”. O quello di PinkPantheress, che dai quattro like messi insieme su SoundCloud è finita a farsi produrre da Mura Masa, spinta da top creator come Charli D’Amelio, numero di iscritti: più di 130 milioni. C’è poi la parabola di CKay, artista nigeriano che, quasi nottetempo, a colpi di milioni di balletti ha visto diventare la sua “Love, Nwantiti” una delle più grandi hit di sempre del continente africano senza che se ne stesse praticamente accorgendo, e a scalare le classifiche delle ricerche su Shazam. O quella super rappresentativa di Megan Thee Stallion, la cui storia ci può aiutare a capire un po’ meglio il meccanismo della viralità musicale, e di come il successo possa arrivare attraverso un «highly managed curation process» anche quando sembra quasi casuale e organico. La citazione è tratta da un pezzo di Bloomberg Businessweek dal titolo “How TikTok Chooses Which Songs Go Viral”, nel quale Shelly Banjo racconta la storia di “Savage”, uno dei brani più famosi degli ultimi anni, una specie di “inno” di TikTok. “Savage” è un pezzo rap usato dai tiktoker in vario modo, solitamente per esprimere freddezza e decisione. Ha raggiunto la fama a fine 2019, ed è diventato uno dei pezzi con più stream degli ultimi anni anche grazie a una attenta gestione laboratoriale del prodotto da parte dell’etichetta, ma anche da TikTok.
Bloomberg racconta di mesi di “A/B testing” ed esperimenti per tentativi: a finire sulla piattaforma doveva essere un’altra canzone dell’EP, “Captain Hook”, ma pare fu proprio TikTok a consigliare a 300 Entertainment – la label – di provare a tastare il terreno con cinque tracce diverse, a leggere le metriche, e a trarne delle conclusioni puntando sul cavallo giusto. Risultato: gli utenti di TikTok ignorarono quattro dei cinque brani proposti e andarono dritti su “Savage”, attratti da una quote super memabile come «I’m a savage, classy, bougie, ratchet». A quel punto la canzone continuò a crescere in modo naturale, e fu inserita editorialmente in cima ad alcune playlist della piattaforma, diventando in poco tempo lo snippet più salvato dagli utenti per future adozioni a uso video. Fast forward: è marzo 2021 e Megan Thee Stallion sta ritirando il suo Grammy dal palco dello Staples Center di Los Angeles. Ringrazierà Dio, manager e famiglia, dimenticandosi però – completa Banjo – di mandare un meritatissimo bacione anche a TikTok. Non è una novità, né per il settore, né negli uffici del colosso cinese, che tra attori di scenari diversi si cerchi un modo per collaborare, per incontrarsi a metà strada, per trovare nuove idee. L’app di Byte-Dance ha da qualche mese lanciato un importante programma di partnership discografica che va dalla consulenza digitale per artisti – ai quali vengono a volte affiancati dei professionisti per aiutarli a sfruttare al meglio il social – alla chiusura di accordi specifici con le major, nell’ottica di diventare il posto in cui andare per ascoltare nuova musica, il partner che ti serve per monetizzare meglio, la pagina dove incontrare i propri ascoltatori e dove creare con loro cose sempre nuove. I top user ricevono, per esempio, mail periodiche con una specie di riassuntone che dice cosa funzionerà in futuro: su quali trend concentrarsi, qual è la strada verso cui si dirige l’attenzione degli utenti in quel momento, in modo da avere sempre un buon contenuto, da “controllare” la discussione, e da avere sempre contezza di quali possano essere opportunità e tempistiche per lanciare nuovi prodotti comprese le uscite discografiche, appunto.
@thexhan ¡nsta: thexhan.official 💙 hitting this dance one more time ( dc @tracy.oj ♬ Love Nwantiti – CKay
Il risultato è che tra il 2020 e il 2021 tutte e tre le principali major – Universal, Sony e Warner – hanno chiuso accordi per liberare tracce del loro catalogo, sperimentare nuove feature, lanciare live speciali e campagne ad hoc, scoprire nuovi talenti. E anche realtà specifiche e diversamente influenti, come Merlin e Believe, hanno deciso di fare la propria scommessa sulla piattaforma. Al di là dei numeri impossibili da ignorare, ci sono aspetti peculiari e quasi del tutto esclusivi di TikTok che ne fanno una delle piattaforme che oggi forse interpreta meglio le esigenze di artisti e fan, come se parlasse la lingua dei tempi, o comunque ci si avvicinasse più di altri. Prima cosa, stare su TikTok “da cantante” tende a renderti anche “creator”: ti permette di “diversificare”, di tenere un contatto diretto con la community, parlando con la sua stessa cifra e con un contenuto fresco – ammesso che lo si voglia fare, o lo si sappia fare – senza limitarsi allo slider fotografico, al comunicato, all’“official video lyrics” su YouTube. Secondo e più interessante: come sottolineato più volte dal Global Head of Music di TikTok, Ole Obermann, le metriche del successo su TikTok sarebbero da considerarsi diverse rispetto al passato, quasi rivoluzionarie se prese sul serio: spostano il fuoco sull’engagement coi fan, per esempio, stravolgendo decenni di reportistica discografica basata sul puro dato cumulativo dell’ascolto. Nel senso: un brano di successo sarà tale perché raggiungerà un certo numero di riproduzioni, ovviamente. Ma su TikTok – spiega Obermann – lo sarà anche perché la community l’ha preso e plasmato, l’ha riutilizzato, gli ha dato ogni volta nuova vita. Ogni duetto, ogni clip nata da un trend, insomma ogni creation – così le chiamano – vale quanto ogni ascolto, e ognuno vale per sé quasi come e quanto la star.
È il posto, in un certo senso, che sta riuscendo a rendere davvero social l’universo musicale al di là dei palazzetti chiusi e dalla lontananza forzata dai palchi, più di quanto i social stessi, o i tentativi di Spotify e Apple in tal senso, siano riusciti a fare. Sta avvicinando etichette e ascoltatori, musicisti e creator, in un gigantesco mercato in cui offerta e domanda di visibilità, denaro e contenuti si incontrano in modo sempre meno caotico. Poi è chiaro che ancora nessuno è riuscito ad addomesticare scientificamente il meccanismo che garantisce la viralità, come diceva anche la Music Executive Binta Brown a Quartz. Però «è come se fosse alla confluenza» di tanti flussi: quello dei «piccoli influencer che parlano della stessa cosa in modo organico» contribuendo al buzz; quello degli influencer di prima fascia, che in modo sempre più trasparente (e accettato) sposano cause sotto paid advertising; e quello dell’adattarsi a un mondo nuovo cercando di interpretarlo, la vera scommessa. Fuori dai grattacieli, negli studi di registrazione, buona parte delle popstar sa che ogni nuova produzione, se è pensata per essere una hit, a questo mondo deve poter ammiccare. Non vuole farlo Adele, che di recente ha spiegato che la sua musica non c’entra nulla con questa scena, che è «per trenta-quarantenni che stanno lavorando su loro stessi», che è troppo pesante per i teenager. Ma lo fanno altri, balletti inclusi: lo ha fatto Drake con “Toosie Slide”, lo ha fatto Justin Bieber con “Yummy”. Lo hanno fatto sempre (quasi) tutti per anni, declinando le produzioni a vecchie e nuove regole della discografia: il titolo buono per il Seo, l’intro ottimizzata per Spotify, la durata perfetta, il numero ben congegnato di hit e filler da alternare in un disco. Pare sia il momento di farlo con gli snippet, con nuove metriche, col succo di mirtilli in mano.