È stato un dei più grandi compositori del Novecento, anche se non lo si è celebrato abbastanza quando era in vita. Una vita folle che ha rivoluzionato il pop.
Per ricordare Brian Wilson, Vulture ha pubblicato un estratto del suo bellissimo memoir
Si intitola I Am Brian Wilson ed è uscito nel 2016. In Italia, purtroppo, è ancora inedito.

Lo stanno dicendo tutti in queste ore, noi compresi: Brian Wilson è stato uno degli artisti che ha definito la musica pop e la cultura popolare del Novecento. Quando un personaggio di questa grandezza muore e lascia agli altri un’eredità così immensa, una delle cose più difficili da fare è trovare il modo, le parole, le azioni per rendergli omaggio. Cosa ricordare di una vita leggendaria, quale aneddoto, quale evento, quale incontro raccontare di un’esistenza del genere? Dire tutto è difficile, escludere è impossibile: che fare, dunque? È la domanda che da ieri si sono poste tutte le redazioni e tutti i giornalisti del mondo.
Vulture ha scelto di omaggiare Brian Wilson lasciando che fosse lui a raccontarsi. Oggi, infatti, sulla homepage del sito si trova un pezzo intitolato “Le voci nella testa di Brian Wilson”. L’ha scritto lo stesso Wilson, è un estratto del memoir che aveva pubblicato nel 2016, I am Brian Wilson (estratto che fu pubblicato su Vulture in contemporanea all’uscita del libri, nove anni fa). Era la sua seconda autobiografia, la prima, Wouldn’t It Be Nice: My Own Story era uscita nel 1991. «Nelle sue stesse parole, genio e follia camminano fianco a fianco, spesso nella stessa pagina», si legge nelle breve introduzione di Vulture a I Am Brian Wilson. Leggere la versione di Wilson, spesso brutale, può essere un’esperienza travolgente e anche straziante, soprattutto quando racconta gli anni in cui le droghe, l’alcol e la malattia mentale lo avevano ridotto allo stremo delle forze. Quella pubblicata su Vulture è l’apertura dell’autobiografia, che Wilson decise di far partire da un tristissimo pomeriggio londinese, nell’inverno del 2004. Quella stessa sera avrebbe suonato alla Royal Festival Hall. Parola dopo parola, Wilson ci riporta a quarant’anni prima, a un anno fondamentale per lui, per i Beach Boys, per la musica: il 1964.
Se qualcuno, qualche pazzo, avesse dubbi sul talento non solo di musicista e compositore e arrangiatore e produttore di Wilson, ma anche di scrittore, questo estratto basterà a fugare ogni dubbio, a cancellare ogni critica. In realtà, basterà l’incipit, che riportiamo nell’originale inglese in modo da non perdere nulla in traduzione: «It’s been hard and it’s been easy. Mostly, it’s been both». Speriamo che qualche editore italiano, adesso, decida finalmente di tradurlo e pubblicarlo anche nel nostro Paese, questo memoir. Sarebbe un giusto omaggio, anche se tardivo.

Pubblicato nel 2000, acclamato, dimenticato, ripubblicato e riscoperto nel 2016, inserito tra i 100 migliori romanzi del XXI secolo dal New York Times, L'ultimo samurai è asceso allo status di classico nonostante una travagliatissima storia editoriale.