20 anni di Borghetta Stile, il volto politico della musica pop

Abbiamo incontrato Daniele Ginger nel cuore di Roma Sud per scoprire cosa lega musica anni ‘90, senso di appartenenza e impegno politico-sociale.

19 Novembre 2025

La prima volta che sono stata ad una serata dance anni ’90 era il 2018. Ero nella mia città natale, una città di provincia che solitamente si dimentica di offrire alternative di divertimento notturno ai giovani che la abitano. Specie se non ami le discoteche pettinate, tirate a lucido, condite da musica commerciale e goffe oscillazioni del corpo erroneamente definite “balli”. Quella sera, invece, stavo aggrappata alle transenne, consumavo le Vans a furia di salti (miei) e di calpestate (altrui), cantavo le canzoni che mamma ascoltava nel suo lettore CD portatile, quando ancora ne avevamo uno. Dopo quella sera, queste scene si sono ripetute più volte, transenne e tutto il resto, perché dove c’era Borghetta Stile, ho iniziato ad esserci io. Dopotutto, l’unica cosa che desideravo era non ballare da sola.

Ecco com’è che sono finita a metà della salita che porta dal quartiere San Paolo a quello di Garbatella, accolta dal murales “You’re entering Free Garbatella”, nella sera di Ognissanti. Daniele — per gli amici Ginger — mi raggiunge in Piazza Damiano Sauli a bordo in una vecchia Fiat Panda verdognola, un mix di anacronismo e nostalgia che mi sembra calzante rispetto alla chiacchierata che faremo. Qualche ore prima era su un palco, nei panni di una specie di cadaverico Fantasma dell’Opera, e suonava gli O-Zone. Daniele è uno dei fondatori di Borghetta Stile, una delle serate più longeve della capitale, nonché baluardo di solidarietà per il territorio e impegno politico.

ⓢ 20 anni di Borghetta Stile: ti ricordi la vostra prima serata?
27 aprile 2006, il giorno del mio compleanno. Andavamo tutti a questo pub a San Lorenzo, il Sally Brown, frequentato anche da gente della nostra zona, Garbatella. È un pub molto vicino alla realtà antagonista, legato al movimento punk e, anche se noi non eravamo punk, ci andavamo con piacere. Con l’arrivo della bella stagione, ad uno dei proprietari del pub viene in mente di organizzare dei dj set tutti i giovedì sera per movimentare un po’ la situazione, perché la gente cominciava a bere in piazzetta, più che al pub. Noi non sapevamo proprio cosa fosse un dj set. Ci dice: «Sceglieteve un giovedì, vince chi fa più gente, chi fa più caciara». La vincita erano dei gettoni da convertire in birre per noi, fondamentalmente. Proposi la data del mio compleanno (ecco il primo trick!) perché sapevo che sarebbero venute più persone, per tirare gente. Così abbiamo iniziato a preparare questo dj set, scaricando le canzoni da Napster e preparando una playlist con musica dance anni ’90, un po’ di Britpop (di cui siamo da sempre fan) e un po’ di canzoni su cui poter cantare cori. Quando siamo andati effettivamente a suonare, arrivati al momento dance non siamo più riusciti a tornare indietro, perché la gente ha cominciato a salire sui tavoli, s’è scatenato il panico.

Da quella che chiamo la “data zero”, mi convinsero a fare un’altra serata solo dance anni ’90, come Borghetta Stile, qui a Garbatella al CSOA (Centro Sociale Occupato e Autogestito, ndr) La Strada, di cui eravamo militanti e frequentatori. Borghetta Stile nasce come un collettivo formato da tre persone — io, Efrem e Giampiero — e, in seguito, Micaela. Stavamo sempre insieme, andavamo a vedere le partite della Roma, ci beccavamo tutte le sere per fare un po’ di scorribande in giro per Montagnola, avevamo anche una web radio. La “serata uno” anni ’90 a La Strada è stata subito un successo, con un panico di gente.

ⓢ Quando parli di realtà antagonista, a cosa ti riferisci?
La realtà antagonista di Roma è la realtà dei centri sociali e dei luoghi legati ai movimenti studenteschi e movimenti di partito e/o extra partito di natura antifascista. Si tratta di una realtà che frequentavamo e di ideali che abbiamo coltivato per varie cose successe nella nostra zona. In realtà, i centri sociali, specialmente a Roma, non erano luoghi di nicchia: il centro sociale Villaggio Globale organizzava concerti da 3mila, 5mila persone. Era normale andare in un centro sociale, se eri di Roma Sud. Si tratta di luoghi ormai in via di estinzione, che io ritengo ancora preziosi. Tuttora, puntiamo a fare almeno 2 o 3 serate all’anno nei centri sociali, sia a Roma che fuori.

ⓢ Quando avete capito che Borghetta Stile stava diventando più di una semplice serata?
Ci sono voluti anni, direi da quando è arrivata Micaela. Abbiamo sempre organizzato serate per raccogliere soldi per gli amici in difficoltà, sostanzialmente. Mi hanno convinto così a me, non volevo farlo per soldi o per lavoro. Micaela ha dato la svolta decisiva: nel 2008, con l’avvento dei social lei decise di promuovere Borghetta Stile dandogli una vera immagine, facendo le foto ai frequentatori delle nostre serate, anziché ai dj o agli ospiti. Da quel momento, si è creato un vero e proprio movimento, perché portavamo nei centri sociali una musica che all’epoca era considerata commerciale. Portando la dance anni ’90 e mettendo canzoni come “Eins, Zwei, Polizei” di Mo-Do, che per i compagni grandi era “la musica che se sentivano i fasci” (nonostante Mo-Do sia attivista del movimento LGBT), tramite Borghetta Stile ci siamo riappropriati di un tipo di musica che non era più nostra. Ce la siamo ripresa. Contro le aspettative, sono arrivati tanti giovani che si affacciano alla musica dance anni ’90 come fosse una cosa nuova e tanta gente grande che non era mai andata a ballare, perché costava tanto, perché essendo musica commerciale non c’era la voglia di mettersi la camicia bianca per fare serata. Tutti andavamo a ballare, ma non era il nostro posto. Ci siamo riappropriati di quello che era nostro in maniera popolare.

ⓢ Gli spazi underground sono normalmente abitati da realtà alternative. Come è stato percepito l’ingresso della musica commerciale in questi spazi?
Inizialmente, c’è stata – specialmente da parte delle persone più grandi – un po’ di avversità e di invidia, perché il format funzionava molto. Le prime file delle nostre serate erano composte da punk e redskins. Questa cosa è rimasta, anche fuori Roma, abbiamo un giro di gente punk che preferisce Borghetta Stile ai concerti punk, perché Borghetta è aperto a tutti ed è molto più inclusivo. Io ho fatto politica per tanti anni, ma quello che sono riuscito a fare con questa serata a livello di politica vera e di iniziative, è stato molto più importante di anni di militanza. È una serata che nasce nell’invidia, ma questa città è così, insomma.

ⓢ Il vostro lavoro è stato definito “disco-politica”. In che modo il vostro lavoro si intreccia con l’impegno politico?
Non mi piace molto come termine, così come non mi piace il termine mala movida, ma me lo accollo, come si dice a Roma. Per me, politica è raccogliere soldi per le persone in difficoltà con le nostre serate ed essere sempre impegnati in progetti di solidarietà e beneficienza. La gente si fida più di noi e delle nostre iniziative, che degli enti istituzionali, perché noi siamo le persone che vengono alle nostre serate. Siamo così come ci vedi, sui social restituiamo la nostra immagine così com’è e la gente lo apprezza. Siamo con loro durante le manifestazioni, ci mettiamo sullo stesso livello delle persone. Il che potrebbe anche essere pericoloso, ma a noi non interessa.

ⓢ Raccontami un’iniziativa di cui andate particolarmente orgogliosi.
Spesso mi dimentico quali siano, ne facciamo in continuazione. Sicuramente, quella più sorprendente è stata la raccolta fondi fatta durante la pandemia. Durante il Covid, noi smettiamo di lavorare e non ci arriva nessun tipo di aiuto. Tutti quelli che fanno il nostro lavoro vanno in paranoia e cominciano a cercare modi per auto-sovvenzionarsi. In quel momento, mi capita di beccare al supermercato una persona che aveva lavorato per noi, in condizioni economiche di forte difficoltà. In quel momento, mentre le persone del mio settore erano interessate a fare soldi, per noi è stato diverso. Di fronte a persone che venivano alle serate e non riuscivano a fare la spesa, ci siamo detti: «Il Borghetta Stile potrebbe anche essere finito qui. A questo punto, facciamo qualcosa per aiutare tutte le persone». Con le realtà del territorio — tra cui la Casetta Rossa, i CSOA Acrobax e La Strada, il municipio e le istituzioni — abbiamo realizzato delle t-shirt con la grafica realizzata da ZeroCalcare per i 10 anni di Borghetta Stile. Il ricavato della vendita delle t-shirt è stato speso fino all’ultimo centesimo per acquistare cibo, medicine e beni di prima necessità. L’iniziativa è stata fondamentale per la nascita del Social Market Mompracem di Garbatella, oggi attivo da 5 anni, dedicato alle persone in difficoltà segnalate dal Comune di Roma e dal Municipio: in questo piccolo magazzino, raccogliamo alimenti e li distribuiamo alle famiglie in difficoltà. Oggi lo sosteniamo, insieme ad altre realtà di zona, finanziandolo con le nostre serate.

ⓢ Per quanto riguarda gli schieramenti politici, alle vostre serate potrebbero presentarsi antagonisti o addirittura chi non è interessato alla politica. Cosa ne pensi?
Negli anni, sono successe tante cose. Alla fine, parti dai centri sociali e finisci ad esibirti nei luoghi commerciali e convenzionali, come li chiamo io. La serata è sempre aperta a tutti. Noi dobbiamo avere la certezza che tu non dai fastidio dentro, che rispetti le persone, la loro sessualità, la etnia e tutta una serie di altri parametri che per noi sono fondamentali. Quei parametri che chiamano antifascismo e che, per me, sono la normalità, sono le regole per far parte della società civile e sono alla base della civiltà. Se tu rispetti questi valori, sei il benvenuto alle nostre serate; se non li rispetti, vai fuori. Non c’è alternativa. Decidiamo noi come si svolgerà la nostra serata e Borghetta è un posto sicuro. Questo vale anche per la sicurezza all’interno dei locali. All’interno dei club convenzionali, c’è sempre un nucleo di sicurezza istituzionale che il club dispone per legge: la possono pensare diversamente da noi, ma nel momento in cui lavori con noi, devi pensarla al nostro stesso modo. E ci siamo trovati a lavorare con persone che la pensavano diversamente da noi, ma siamo stati felici di lavorare insieme. In più, noi portiamo sempre con noi le persone del nostro nucleo storico di sicurezza, persone che lavorano con noi, con cui andiamo allo stadio, che sono stati a casa mia. Sono persone nostre, interne, con la differenza che sono più piazzati di me.

ⓢ Nel corso degli anni avete attraversato la capitale e le generazioni: com’è cambiata Roma in questi anni?
Roma è cambiata tantissimo, anche nel modo di affrontare le serate. Prima le persone si muovevano di più, anche per andare a ballare un po’ fuori Roma, oggi non è più così. Avevamo degli spazi molto belli un po’ fuori Roma, adesso dobbiamo scegliere posti facilmente raggiungibili. Per quanto riguarda la città, io vengo dal quartiere popolare della Montagnola e frequento Garbatella, due quartieri che non sono più considerabili popolari. La gentrificazione è avanzata tantissimo. Prendi il quartiere di San Paolo, una volta famoso per la banda della Magliana: adesso si è ripulito e con l’avvento dell’Università Roma Tre, che ha preso gran parte delle strutture in zona, si è riempito di fuorisede. Tutto questo cambia proprio la fisionomia della città. Borghetta Stile è ancora una serata ancora molto romana, con un’alta concentrazione di romani. È tutto in evoluzione e noi ci siamo ancora dentro.

ⓢ Parlando di musica, perché le hit anni ’90 riescono ancora ad unire le persone e a coinvolgere le nuove generazioni?
Questa è la magia di Borghetta. Quando organizzo la prima serata a La Strada, realizzo un volantino con un tizio sul motorino con lo smanicato proprio anni ’90 e comincio a fare pubblicità a persone che, all’epoca, avevano più di 30 anni e avevano già vissuto quegli anni. Alla serata, mi sono ritrovato ragazzini già del ’90, oggi mi ritrovo ragazzini nati dopo il 2000. Ventenni che ballano accanto a cinquantenni. Anche ieri sera c’era di tutto: qualsiasi tipologia di persona e di età. La musica dance ’90 è allegra, selezionata in un certo modo e strutturata bene, con una cassa molto dritta che può piacere anche a chi solitamente ascolta musica elettronica. È una musica italiana! Quasi tutti i producer dell’epoca, nonostante le canzoni siano cantate in lingua straniera, sono italiani. Mo-Do era di Bolzano, ma anche Gigi d’Agostino, Prezioso e Gabry Ponte. Questa musica è tutt’altro che trash, come viene spesso definita. È talmente forte e ben strutturata che “regge botta” ancora oggi. Poi, chiaramente, in Italia è un genere che va sempre: ormai ci sono ovunque serate di questo tipo, noi siamo stati i primi a fare serate revival.

ⓢ Tra le vostre collaborazioni c’è quella con il gruppo nord irlandese Kneecap e il fumettista Zerocalcare: cosa spinge queste collaborazioni?
Questo è interessante. Se vedi la nostra serata da fuori, dance anni ’90, io avrei dovuto collaborare con Gigi d’Agostino e Prezioso. Noi facciamo le cose con le persone che sono simili a noi. ZeroCalcare è un nostro amico, siamo cresciuti insieme nello stesso ambiente, per me è uno di noi. Le cose che fa sono in linea con ciò che faccio io. I Kneecap sono una deriva particolare del Britpop (anche se fanno rap in gaelico) di cui sono sempre stato fan. Fu la casa di distribuzione italiana a contattarci: uno di loro, frequentatore delle serate Borghetta Stile, ha pensato che fossimo adatti a spingere il film a livello promozionale. Il film è uscito in 16 sale in Italia, ma dopo la nostra promozione ci hanno chiamato 40 sale. Sono dei ragazzi come noi, nati in un quartiere popolare di una città ampiamente gentrificata: abbiamo fatto lo stesso percorso, ci vestiamo uguale, andiamo allo stadio, sono impegnati politicamente con la questione irlandese. Garbatella, poi, è gemellata con Derry. Alla fine, certe cose ci vengono naturali. Come essere impegnati sul sociale: lo abbiamo sempre fatto, farlo come Borghetta Stile è solo un trampolino in più.

ⓢ 20 anni di attività: cosa sogni oggi per Borghetta Stile?
La pensione garantita? Compiuti i 10 anni, volevo smettere. Poi, però, la gente continuava a venire alle serate… Il mio sogno è sapere che Borghetta Stile ha fatto qualcosa per Roma, e già l’ha fatto. Far parte della storia della città che amiamo e della sua storia sottoculturale e underground infinita, continuare a fare qualcosa di buono per Roma, finché possiamo e migliorando sempre: questo è ciò che sogno per il futuro.

ⓢ Se dovessi scegliere una canzone per rappresentare questi 20 anni di attività, quale sarebbe?
Domanda difficile, negli anni ci sono stati tanti inni. Auguro a Borghetta Stile “Live Forever” degli Oasis, anche se non la metto quasi mai, o “Bitter Sweet Symphony” dei The Verve.

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