Stiamo faticosamente aprendo, ribaltando, ripensando le coppie. Il libro "3. Un’aspirazione al fuori" ci suggerisce che, per migliorare le relazioni sentimentali, potremmo guardare a quelle amicali.
Sarebbe facile fraintendere Black Bag – Doppio gioco, scambiarlo per un film tradizionalista, conservatore. Un po’ perché si percepisce come, sotto traccia, il cinema mainstream statunitense stia riscoprendo intrecci e tematiche espressione di una visione conservatrice della società. Un po’ perché paragonato a film che spingono in direzione opposta, Black Bag sa quasi di antico.
Da una parte ci sono le le coppie che diventano triangoli, che carezzano la possibilità del poliamore, alla ricerca di un equilibrio utopico, possibile, raccontate da film come Past Lives e Challengers (i cui sceneggiatori sono, guarda caso, marito e moglie). Dall’altra c’è un film sceneggiato da una grande penna della Hollywood anni ’80 e ’90 che mette al suo centro il matrimonio tradizionale, intenso come legame inviolabile tra due persone. Perché no, il punto vero di Black Bag non è il suo intricato gioco di spie, con il più classico degli intrecci: all’interno dell’intelligence inglese, «c’è uno straniero in casa» e a un dirigente di medio livello di nome George (Smiley?) viene affidato l’ingrato compito di trovare il traditore tra i suoi colleghi. Tra i cinque sospetti però c’è anche sua moglie Kathryn, che sederà al tavolo insieme a tutti gli altri durante una cena in cui da dietro i suoi occhialoni con montatura nera il gelido, calcolatore George tenterà di trovare il traditore.
Se John Le Carré avesse scritto di relazioni
Il riferimento – quasi urlato – è John Le Carré. E dire che David Koepp per quasi tutta la sua sua carriera ha scritto uomini del fare, cinetici. Ha sceneggiato gli eroi di Steven Spielberg e Sam Raimi, che esistono per salvare il mondo. Da qualche tempo però Koepp scrive per Steven Soderbergh, il regista più iperattivo del cinema statunitense. Uno che sforna un film all’anno, regolare come un metronomo. Uno che prova ogni soluzione tecnica, ogni genere narrativo. Black Bag è figlio di queste due sensibilità apparentemente così lontane dall’understatement inglese, da quella modalità narrativa in cui un complesso intrigo internazionale viene pazientemente sbrogliato un dialogo alla volta. Questo scenario di grigi e gelidi burocrati, privati perfino dalla pretesa di credere davvero in qualcosa di alto come la patria o un’ideologia, questo mondo in cui l’intelligence sembra più che altro una grande azienda tossica, questo scenario è l’ultimo santuario del matrimonio.
Un’istituzione in condizioni critiche nel mondo reale e ormai rantolante al cinema, che ha trascorso la seconda metà del Novecento a sezionarla, rivoltarla, raccontarla in tutti i suoi angoli bui. Il matrimonio tradizionale, eterosessuale, monogamo ha – ad oggi – pochissimo da dire, perché è stato analizzato e scrutato in ogni suo segreto, in ogni sua crisi. Eppure Black Bag è – ridotto all’osso – la storia di tre coppie riunite attorno a un tavolo, a confronto. Tutti lavorano nell’intelligence, perciò tra i lui e lei della storia c’è un muro di segreti e silenzi: quando l’altro si spinge troppo vicino, basta rispondere alla sua domanda con un «black bag», equivalente di top secret, o di appellarsi al quinto emendamento. Solo che dentro il sacco nero dell’intelligence ci puoi mettere anche le cose che non vuoi far sapere al partner, belle o brutte che siano.
La borsa o la vita
È questo ciò che si trova a fronteggiare il George di Michael Fassbender. Un uomo così trattenuto e represso, così gelido, che i suoi occhi diventano un oblò sulla tempesta che ha dentro. Il punto debole dello Smiley di Le Carré era la moglie bellissima e crudele, fedifraga, che lo tradiva puntualmente. Tutti sanno quanto George sia un dipendente esemplare, ma anche quanto ami la moglie Kathryn. Quando gli viene chiesto d’indagare, gli viene ordinato di guardare in quella borsa nera in cui lui e la moglie ripongono i loro segreti, ovvero di cedere alla tentazione che sta al centro di tutte le relazioni monogame: venire meno alla fiducia reciproca e mettere alla prova il partner.
Questa crisi professionale che tracima nel coniugale viene ulteriormente testata dalle altre due coppie, a loro volta alla difficile ricerca di un equilibrio. Coppie fortemente influenzate dall’ambito lavorativo in cui sono nate, dove il tradimento e la manipolazione sono la base di partenza, la modalità di default. C’è chi scoppia, c’è chi trova un equilibrio impossibile e che talvolta ferisce i sentimenti, o fisicamente. Uno degli altri personaggi del film a un certo punto lo chiede, a George, come fanno lui e sua moglie a non crollare sotto la pressione del loro lavoro, dei dubbi. È la domanda al centro di Black Bag, un film che continua a contrapporre il più gelido e distaccato dei contesti lavorativi alle pulsioni di chi lo popola, trovando come unica risposta la fedeltà, in varie forme.
I matrimoni dei cattivi sono gli unici che funzionano
George, a sorpresa, risponde alla collega ed è forse l’unico passaggio in cui la voce di Fassbender si fa meno robotica, quasi sfumata di sentimento umano. La sua risposta è quella di un equilibrista sempre sul filo, sospeso sullo strapiombo. La soluzione è appunto la fede, nel senso di fiducia nell’altro, mettendo al primo posto il legame che unisce e fidandosi di ciò che l’altro fa. Ci si guarda le spalle – e talvolta ci si sorveglia, da spie e amanti – per desiderio di protezione, ben consci che l’altro (non solo per deformazione professionale) farà lo stesso.
Lo si potrebbe accusare di essere tradizionalista, se non fosse che Black Bag ci racconta l’eroico salvataggio di un matrimonio perfetto tra due persone completamente prive di scrupoli morali. Non pago, ci racconta un secondo legame in corso di consolidamento, in cui due personaggi trovano ciò di cui hanno bisogno nel peggio che l’altro ha da offrire, cioè vizi e traumi. Infine ci racconta di una terza coppia il cui legame naufraga proprio perché una delle due persone, a sorpresa, ha conservato un minimo di scrupolo, un minimo di moralità, che in questo mondo di spie e burocrati è un elemento alieno: un feticismo, quando va bene, un punto debole imperdonabile, quando va male.
Black Bag dunque trova qualcosa che forse non si era ancora detto sul matrimonio tradizionale: che può essere il legame perfetto tra persone che non sono i buoni, gli eroi per cui tifare.

Intervista alla scrittrice in occasione dell'uscita del suo nuovo romanzo, risultato di tre anni e mezzo di conversazioni con il boss Peppe Misso, con cui Ciabatti ha parlato di carcere, guerre di camorra, plastiche facciali e avvistamenti di Ufo.