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Baby Yoda ha catturato la scena

Il personaggio della nuova serie tv The Mandalorian, ambientata nell'universo Star Wars, ha monopolizzato l'attenzione. Ma è un peccato.

di Giuseppe Giordano

Forse non ve ne siete accorti, ma viviamo in un mondo post-Baby Yoda. Sui social network migliaia di utenti hanno dichiarato il proprio amore alla star indiscussa di The Mandalorian, la serie tv Disney ambientata nell’universo di Star Wars. Poi è arrivato lo shopping compulsivo, tanto che Vulture ha pubblicato una guida al mercato nero del merchandising del maestro Jedi in miniatura: magliette, peluche, pupazzi, ciondoli e magneti prodotti senza licenza ma perfetti per portarsi avanti con i regali natalizi. Disney, nei cui store on-line non c’è traccia del personaggio, ha tentato di correre ai ripari: «Magliette e accessori stanno per arrivare», ha fatto sapere un insider a Cnbc. Infine è stato il momento dei revisionismi. Una seconda ondata di opinioni ha corretto le valutazioni su una serie tv che non era piaciuta al primo giro di recensioni. Cioè prima di, beh, Baby Yoda.

In effetti il successo di Baby Yoda non coincide con la prima puntata di The Mandalorian, disponibile al lancio (12 novembre) del servizio in streaming Disney+ negli Stati Uniti, in Canada e nei Paesi Bassi. Nel primo capitolo il nuovo pupillo del web si vede solo per pochi minuti, troppo pochi per non considerarlo un’apparizione estemporanea. Nel secondo e terzo episodio (l’ultimo uscito) acquista invece centralità, diventando il protetto dell’anonimo cacciatore di taglie protagonista, interpretato da Pedro Pascal sempre nascosto sotto un elmetto. Baby Yoda ha la testa a forma di palla da rugby, uno sguardo stralunato e, nonostante abbia l’aspetto di un neonato, la bellezza di 50 anni («Ogni specie invecchia in modo diverso», dice un personaggio della serie). Usa la Forza per compiere imprese portentose ma la somiglianza con il più famoso personaggio di Star Wars non deve indurci in errore: Baby Yoda non è…Yoda.

The Mandalorian è infatti ambientato cinque anni dopo Return of the Jedi, quando il mentore di Luke Skywalker è già morto. Il nome, ingannevole, arriva dalla community: nello show, infatti, il piccolo viene definito semplicemente «The Child». Una penuria di informazioni che ha messo le ali alle speculazioni dei fan: cos’è Baby Yoda? È forse un clone? Oppure è il figlio di Yoda e Yaddle, l’unico altro esemplare apparso su schermo della misteriosa specie spaziale? Questi e altri interrogativi (Vulture ne ha stilato una lista semiseria) restano per il momento senza risposta ma danno il senso del tam tam che il personaggio ha alimentato su internet. Era prevedibile? Probabilmente sì. Baby Yoda rientra in una categoria incarnata anche dai più recenti Porgs, mostriciattoli goffi e un po’ scemi, o i vecchi Ewok. Personaggi, anche se apparentemente troppo teneri per l’universo di Guerre Stellari, da sempre molto amati.

Tra le tante voci entusiastiche e le poche indignate, se ne leva una preoccupata. È quella di Deborah Chow, che ha diretto il terzo capitolo della serie tv e che, in un’intervista al New York Times ha dichiarato che secondo lei non ci sarà nessun altro baby personaggio. «Perché?», chiede il giornalista. «Baby Yoda ha catturato la scena», risponde lei. Effettivamente la stampa specializzata americana non aveva dimostrato di gradire The Mandalorian prima dell’apparizione. I giudizi meno lusinghieri hanno evidenziato l’eccessivo formalismo, povertà di contenuti, ritmo troppo lento.

Ma lo show creato da Jon Favreau è in realtà un esperimento incredibile, che tra i suoi riferimenti può annoverare Howard Hawks e altri classici del western: The Mandalorian è ricalcato sui classici del genere, con un’operazione da manuale. C’è la sparatoria all’interno del saloon (che in questo caso è una bettola ai confini della galassia), l’inquadratura della mano che si avvicina alla pistola o quella (altrettanto caratteristica dell’estetica western) di un personaggio ripreso in controluce nella cornice di una porta aperta. Non mancano paesaggi in cui si intersecano linee orizzontali e verticali, malinconici tramonti, viaggi solitari, colonie infestate da farabutti, tempi morti, silenzi e persino una colonna sonora da fischiettare come quelle di Ennio Morricone. Addirittura i titoli di coda ricordano le illustrazioni in apertura di El Dorado, il capolavoro di Hawks del 1966. Pistole blaster al posto dei revolver? Tutto qui? Tutto qui. Ed è per questo che The Mandalorian è geniale: è un puro esercizio di stile, ma con la proprietà intellettuale che non ti aspetti (e con Baby Yoda, ok).

In realtà, più che di Baby Yoda, bisognerebbe parlare dell’universo di Star Wars dopo che Lucas ha mollato la presa. La nuova proprietà ha moltiplicato i progetti. E se, da un lato, con tante uscite l’attesa è di volta in volta meno entusiasmante, un simile ventaglio di produzioni ha dato ai creativi di casa Disney la possibilità di sperimentare, come inserire Werner Herzog in The Mandalorian (c’è davvero, interpreta un lord con opache connessioni al decaduto Impero): certo, è il più grande regista europeo vivente, ma chi si accorge della sua presenza se non i cinefili? Ecco, The Mandalorian sembra fatto proprio per loro, ed è un peccato che si parli solo dell’adorabile, per carità, Baby Yoda. O forse è giusto così, se persino Herzog, apparentemente la persona meno incline di questo mondo ai buoni sentimenti, ha ammesso di aver avuto il cuore spezzato alla vista del pargolo: «È bellissimo», ha confessato sciogliendosi in un sorriso intenerito, «quando lo vedi ti viene da piangere».